Subito dopo il 20 agosto del 1976 tornai in Italia e ripresi a studiare dalla mattina alla sera i miei classici. In ottobre fui sistemato nel liceo Minghetti di Bologna dove il preside gentiluomo Piero Cazzani mi aiutò a imparare l’arte dell’educatore. Nei ritagli di tempo nei quali mi permettevo di non studiare, scampoli davvero esigui poiché volevo conquistare anche gli allievi di questo istituto dopo quelli del Rambaldi di Imola del preside gentiluomo Davide Ciotti, cercavo una donna dotata di mente, dopo la relazione insoddisfacente con la palermitana Nefertiti, e, siccome a un’azione sbagliata ne succede spesso un’altra errata dalla parte opposta, entrai in contatto con una collega il cui aspetto non mi attraeva abbastanza .
Non potevo trasmetterle quello che non sentivo. Riguardo a tale carenza di attrazione le donne non si sbagliano: del resto simulare il pathos erotico è quasi impossibile, anzi proprio impossibile, come fingere l’erezione consentita e benedetta solo da Priapo.
“Crede mihi, non est mentula quod digitus” leggo nel Libro degli Epigrammi di Marziale VI, 23, 2)
Se non c’è un forte desiderio nemmeno il corteggiamento può essere efficace, anzi resta comtumaci anche il pathos oratorio.
“ Fac tantum cupias: sponte disertus eris” ci insegna Ovidio maestro d’amore (Ars Amatoria, I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo.
Un dialogo c’era, ma non toccava mai il problema di fondo che era la mancanza di attrazione.
Così in primavera smettemmo di frequentarci, e io nel dolore compresi che la spinta sensuale non è meno importante di quella spirituale.
Ci sono due tipi di imbecilli: l’uno dice che la venustà dell’aspetto è tutto, l’altro che è niente. Io dico che non è poco, anzi è molto, però non è tutto.
Nel Simposio di Platone, Diotima professoressa dell’amore, insegna a Socrate che Amore è la tendenza a possedere il bene per sempre (206 a) e vuole la procreazione nel bello secondo l'anima e secondo il corpo:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" ( 206 b).
Nel luglio del 1977 venne a trovarmi a Bologna Nefertiti. Facemmo l’amore, poi ripartì lasciandomi senza alcun rimpianto. Mi piaceva abbastanza per un rapporto erotico, ma avevamo ben poco da dirci, quasi niente. L’estate a Bologna o a Pesaro non pometteva grandi emozioni.
Sicché mi dissi: “ Quasi quasi mi imbarco”. Una battuta che avevo sentito in un film, Il sorpasso, dove Vittorio Gassman faceva il cialtrone, tanto per cambiare.
Ma io lo avevo detto sul serio, quindi montai sulla bicicletta e mi diressi verso il porto di Brindisi per salire sul traghetto diretto alla Grecia. Era la prima volta che andavo verso l’Ellade amata.
Ero con Fulvio, diventato e restato il mio migliore amico, lo spirito dei viaggi che facevamo insieme, l’occhio della via che ora mi manca-poqevw ojfqalmo;n th`" oJdou`.
Quel debutto nell’Ellade invero non andò benissimo: a San Benedetto del Tronto precipitai dal velocipede urtando con la ruota anteriore quella posteriore di Fulvio. Sbattei il petto sul duro selciato e mi ruppi una costola. Proseguìi tra dolori acuti fino a Termoli dove andai in ospedale per una visita al petto offeso. I medici mi diedero del pazzo per i tanti chilometri pedalati in quello stato e mi convinsero a lasciare la bicicletta. Proseguìi con mezzi pubblici. Vedevo Fulvio la sera.
Invalido com’ero, guardavo con invidia e ammirazione i balestrucci sfrecciare nel cielo e l’amico che arrivava in albergo dopo ore e ore sui pedali, beato lui.
Di questo primo viaggio ricordo le formiche del Peloponneso. Notai che erano grandi il doppio delle nostre e mi convinsi del tutto che il caldo favorisce e incrementa la vita. Mi piaceva molto quel calore, quel sole ardente, i colori vivi dei fiori, del mare, dell’aria.
Mi commossero le sculture del maestro di Olimpia, in particolare quelle del frontone occidentale raccolte in un Museo, piccolo in quel tempo, però elevato su un colle illuminato dal sole al tramonto. Rappresentano un conflitto tra il caos dei bruti e il cosmo ordinato da Apollo. Vi riconobbi la stessa storia della vita mia.
Andammo anche a Micene dove Fulvio, mentre eravamo stesi su brandine poste sulla terrazza dell’ostello sotto le stelle, ricordò l’assassinio di Agamennone e quello di Clitennestra, moglie e marito il cui sangue ancora scorre tra tante coppie di sciagurati. Salimmo poi a Delfi, io ancora in autobus, Fulvio in bicicletta, e pregammo sull’ombelico del mondo, ciascuno per suo conto chiedendo la grazia della salute e le grazie delle fanciulle graziose. Chiedevo di progredire nell’ amore e nel lavoro come avrei fatto tante altre volte, non solo a Delfi ma anche a Dodona, a capo Sunio, sul Partenone, nel tempio montano e remoto di Apollo Epicurio, cioè soccorritore, e pure in altri luoghi dell’Ellade Grecia che è ancora tutta piena di dèi.
Tornato a Termoli, recuperai la bicicletta e pedalai fino a Pesaro: egregiamente. Ero guarito e mi sentivo un leone.
Bologna 24 novembre 2025 ore 16, 15 giovanni ghiselli
p. s.
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