domenica 30 novembre 2025

Ifigenia XXXII L’assemblea studentesca. La pessima svolta nella seconda metà degli anni Settanta.


 

Non si deve dare troppa importanza al nuovo preside: non è stato il genio creatore del riflusso nel liceo classico meno antico tra i due della città, ma soltanto l’uomo messo nel posto giusto  al momento giusto dal punto di vista della reazione alla vivacità culturale e politica degli studenti e di alcuni insegnanti.

Verso la metà degli anni Settanta dopo un lustro di stragi, come ho già scritto nella storia di Päivi, era cominciata la reazione alla “moda” della sinistra che dal   j68 era seguita da gran parte del mondo delle scuole; dopo l’uccisione di Aldo Moro e il fallimento del compromesso storico tra i due partiti popolari  si era imposta del tutto questa era difettosa della solidarietà, della cultura, e su tale strada veniva metodicamente annichilito tutto il meglio dell’umanesimo, ossia dell’amore per l’umanità.

Ricordate la finlandese Helena che nel 1971 mi disse di amare di amore umanistico ogni persona?

Ebbene, alcune sere or sono ho visto un servizio televisivo che documentava ragazze e ragazzi finlandesi armati fino ai denti e addestrati alla guerra anche dentro le scuole.

Nei primi anni Settanta dunque erano di moda l’amore e la solidarietà globale, oggi la guerra e la violenza.

 

Ma veniamo all’assemblea degli studenti del novembre 1978

Molti tra i ragazzi del Minghetti provavano a contrastare la tendenza  intesa a diffondere intanto l’egoismo e il menefreghismo, ma in prospettiva di tempo l’imperativo trasmesso ai burocrati locali dal potere centrale era quello di penalizzare lo spirito critico: i giovani dovevano perdere la capacità di contestare chi trasmetteva ordini anche iniqui.

Nel 1977 nella zona universitaria di Bologna erano comparsi i carri armati e l’11 marzo uno studente, Francesco Lorusso era stato ucciso dalla polizia.

Andai ai funerali con molti dei miei studenti. Questo sicuramente non piacque a diversi colleghi ma c’era ancora il preside che mi apprezzava e sosteneva.

Al successo della reazione contribuiva una scuola dove si studiava sempre  meno e meno bene. Gli studenti migliori, a mano a mano che i mesi passavano, perdevano gli strumenti per fermare tale caduta  nella palude dell’ignoranza. Rimaneva loro il vitalismo dell’età che però, non sorretto da un logos disciplinato, educato dallo studio, e da un pathos che ama la vita, non escludeva il caos, il disordine di vizi anche deleteri.

Ifigenia parlò all’assemblea in modo efficace. Riferì alcune idèe che aveva discusso con me e seppe farlo con precisione non priva di grazia. Seppe recitare le nostre idèe con magnifico pathos illuminato dal suo splendido aspetto. Mi sentìi innamorato di lei più che mai. Le attrici belle e brave mi sono sempre piaciute, fin da bambino. Anche la mamma e la zia più importante, la madre “badessa” Rina, tendevano a recitare e mi hanno trasmesso tale vocazione del resto necessaria in un insegnante.

 

Ora so che a formare il mio sentimento amoroso e quasi paterno verso Ifigenia contribuirono in parti non minime il narcisismo, la vocazione di educatore e il desiderio di una figlia frustrato dall’abortimento di quella che Päivi aspettava da me dopo un mese di amore nell’estate del 1974.

 

Il narcisismo era stimolato dal fatto che in questa giovane collega vedevo riflessa la mia stessa immagine ringiovanita e imbellita; la vocazione di educatore mi faceva credere che avrei fatto una cosa egregia impiegando buona parte delle mie forze per aiutarla a crescere.

 

Ora che ne narro la storia so che il destino, disponendo il fallimento di questo amore, dopo quelli con  le tre finlandesi e l’aborto deciso dalla terza, mi spingeva a scrivere quanto state leggendo e quanto leggerete.

 

Intanto era entrato il preside che si stropicciava le mani come un usuraio.

Mi torna in mente questo particolare perché in fondo anche io avevo qualcosa del fenerator:  quanto meno l’utilizzo della ragazza per i miei scopi. Lei d’altra parte aveva i suoi.

 

Non che avessi intenzioni cattive, però non ero capace di amare e comprendere quella radiosa creatura quale persona indipendente e distinta da me, e se potevo ammirarne la bellezza e la vitalità, in quanto mi infondevano forza e salute attraverso il piacere, ne temevo le incertezze eppure  osservavo con sospetto il suo desiderio  e bisogno di svilupparsi diventando se stessa, chiunque ella fosse: giudiziosa o sventata, santa o demoniaca, docile e mite o piuttosto bipede leonessa, feroce quanto Päivi, sebbene non rossa. Una pantera nera .

Ora so che avrei dovuto aiutarla a diventare quello che era, come facevo con i miei studenti e con me stesso. Ma ne avevo paura: temevo che fosse lei a strumentalizzarmi. E non mi sbagliavo. La cosa più arcanamente temuta accade sempre.

 

La mattina  buia di giovedì 30 novembre 1978 dunque avevo confuso il senso della scena e dello spettacolo di cui Ifigenia era dotata e che nell’affollata assemblea poté esplicare, con una somiglianza dei nostri scopi che già allora probabilmente non c’era.

In ogni caso il suo recitare con efficacia le mie convinzioni mi affascinò al punto che quando l’adunata si concluse tra gli applausi le andai vicino con riverenza, quasi con timore, come ci si può accostare a una prima donna, una diva, e dissi: “Brava, sei stata magnifica. Io ti amo. Non scappare da casa, non mancare qui a scuola. Non posso sopportare l’idea di passare un giorno senza di te”.

Mi guardò con aria compiaciuta. Io allora, per piacerle ancora di più, aggiunsi: “Questa sera lascerò la buona Pinuccia. Voglio stare solo con te”.

 

Allora Ifigenia fece un sorriso che le impresse due piccole fossette festevoli, sibaritiche,  sulle guance. Come quando, dopo un giorno di pioggia, un raggio di sole imporpora le nuvole disaggregate nel trepido occidente da dove i mortali donne, uomini e uccelli  contenti traggono  auspici lieti con la promessa di un giorno luminoso dopo quello già tetro che si compie finalmente inviando un sorriso alle creature buone.

 

 

Lo dissi a Ifigenia che chinò la testa in segno di assenso. Adnuit mihi oranti. Eravamo felici. Al marito scimunito avrebbe raccontato una qualunque storia credibile. Gliel’avrebbe fatta credere. Il suo volto assunse un’espressione da menade festevole dopo essere stata triste poi anche tremenda.

Due anni e mezzo più tardi la parte dello scimunito sarebbe toccata a me. Si recita sempre.

 


 

Bologna 30 novembre  2025 ore 19, 50   giovanni ghiselli

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