mercoledì 26 novembre 2025

Ifigenia VII Un esteta ridicolo, un seduttore pauroso, un donnaiolo vile, un bigotto sviato e una lupa famelica o una pantera infuriata.


Nei giorni successivi alla metà di ottobre studiai Il diario del seduttore di Kierkegaard, il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e il Piacere di D’Annunzio per assumere gli atteggiamenti dell’esteta superiore alle convenzioni e mettere alla prova la futura amante. Volevo capire se fosse capace di accettare e gradire lo stile dell’ uomo libero e  libertino. Ifigenia ammirava quelle mie pose ridicole proprio perché stava cercando un’analoga parte per sé e io gliene chiarivo alcuni aspetti, le rammentavo certe espressioni di effetto.

Recitavo prima di tutti il ruolo  di Giovanni, il seduttore che vive una vita obliqua, al congiuntivo,  almanaccante, priva di entusiasmi e slancio, in cerca di eccitazione da parte di una ragazza. Questa doveva versarmi nel petto stanco il torrente della sua fresca, sorgiva vitalità. Ribattezzarmi con i balsami squisiti  della sua gioventù. In cambio poteva ricevere  la mia tormentata complessità mentale, la mia cultura che avrebbe dato consapevolezza anche a lei, alla sua vita ancora prevalentemente istintiva.

“Ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino quel che in lei c’è di spirituale ha qualche cosa di vegetativo”. Queste parole avevo sottolineato in un libro di Kierkegaard, probabilmente il Diario del seduttore, una specie di bibbia in quel tempo per me.

Credevo di incantarla e mi sbagliavo: Ifigenia era ancora più disincantata di me: sapeva bene quello che voleva e calcolava tutto. Io  ero già piuttosto scettico riguardo al grande amore assoluto, eppure un briciolo di incanto lo mantenevo ancora.

So che mi riempio di ridicolo scrivendo queste parole ma scrivere è anche una terapia, una catarsi per l’autore e per il lettore. Avevo deciso di assumere pose dongiovannesche per non prendermi responsabilità di ordine etico, tanto meno matrimoniale, e anche perché capivo che tali atteggiamenti erano congeniali pure a Ifigenia e le piacevano.

Dopo tutto eravamo degni l’uno dell’altro.

Per procedere però dovevamo fare l’amore e io ne avevo ancora paura.

Ifigenia una mattina della terza decade di ottobre mi scavalcò nella posa che avevo preso da una decina di giorni.

Disse: “Ma che tipo di esteta sei tu giovanni ghiselli? Un libertino, un seduttore pusillanime, fiacco e codardo. Anche finto . Tu in realtà sei un moderato, un borghese, un perbenista, un bigotto o un prete traviato: una ragazza giovane assai, quasi una principiante che dovrebbe rappresentare la tua predominante passione, dongiovanni a parole,  Giovanni soltanto di nome, ti offre l’amore come unità della carne e del sangue di noi due ancora divisi e tu lo rifiuti mentre continui a chiacchierare vana mente,  senza costrutto”.

Mi trovai spiazzato da tanto ardimento e da tale aggressività.

Le risposi con sforzo e imbarazzo, parafrasando il testo di Kierkegaard o contaminandone un paio: “Io non ci tengo a possedere una ragazza in senso esteriore, voglio prima goderla mentalmente e artisticamente. Poi, per dirla tutta, aborrisco il fidanzamento. Roba da ciabattini. Di tutte le cose ridicole questo prodromo del matrimonio è la più assurda. Le nozze  possono  avere il senso di un contratto vantaggioso. Il fidanzamento è puro nonsenso”.

Ifigenia trasse altro ardire da queste parole prese a prestito e replicò: “ma chi vuole fidanzarsi? Io non ci penso nemmeno. Sono già malmaritata. Uno sbaglio che non ripeterò. Se  mi vuoi, devi uscire da questi schemi che dovrebbero venire rotti dalla spinta che senti verso di me, se davvero la senti. Io sono disposta a darti tutto quanto tu puoi volere da me . Ma devo sapere se davvero mi vuoi e che cosa puoi darmi. E voglio vedere se  tra noi ci può essere qualcosa di più e di meglio dei libri e della scuola. Sabato pomeriggio sono senza impegni né impicci,  e voglio passare con te qualche ora, non i soliti venti minuti dell’intervallo o del percorso per venire a scuola. Fuori c’è il mondo, ci siamo noi liberi di fare quello che ci va. Io almeno lo sono.”

“Va bene-risposi travolto da tanta sicurezza- Hai ragione. Scusami, sono stato avvilito, reso anche vile dalla retrocessione al ginnasio. Mi rifarò come ogni altra volta.

Vediamoci sabato pomeriggio alle tre davanti alla libreria Feltrinelli. Vieni con scarpe adatte per camminare sui campi dove ti porterò”.

Ma avevo ancora paura di lei. Non mi era mai accaduto di vedere tanta risolutezza in una donna così giovane. Le finniche sapevano pure loro quello che volevano ma in confronto a questa aquila imperiosa erano delle colombe spaurite.

 

Bologna 26 novembre 2025 ore 23, 58 giovanni ghiselli

p. s.

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