Costeggiavo la pendice orientale del monte Laurio dalle cave che nascondono argento. Superata una breve salita, arrivai sulla punta meridionale dell’Attica dove vidi e ammirai il tempio di Poseidone, una splendida preghiera di marmo che leva le colonne quali braccia protese in preghiera verso l’azzurro del cielo pieno di dei, come il mare e la terra, come tutto il cosmo.
Questo stesso gioiello dorico è una traccia del logos divino.
Io però ero sudicio e stanco e chiesi al dio del mare la grazia di aiutarmi a trovare un alloggio per lavarmi le membra e riposare la mente affaticata dal sonno più del corpo sudato e impolverato, tuttavia vigoroso. Non aspettai, come faccio di solito, il tramonto del sole che già declinava sul mare. Temevo di rimanere nel buio senza l’alloggio né il cibo strameritati pedalando, perciò ripresi a spingere sui pedali con lena.
Per la volontà di mettermi a tavola e a letto, non misi a dormire il sole ringraziandolo, come faccio tutte le sere. Risalivo lungo la costa occidentale in direzione di Atene. Dopo una trentina di chilometri, al calar delle tenebre, mi fermai in un paese e mi diedi alla ricerca del rifugio per la notte.
L’indagine rimase infruttuosa per una mezzora. Sentivo l’orrore di passare tutta la notte su uno scoglio facile preda dei mostri marini come Andromeda, e senza un Perseo che venisse, pietoso, a salvarmi, o, meno peggio, di dovere stendermi su una panchina punzecchiato da zanzare assetate di sangue. Ma fu pietoso un dio, probabilmente Poseidone, oppure una delle Nereidi, e mi fece trovare una branda in un ostello della gioventù.
Entro sempre volentieri in un alloggio del genere, più che mai dacché sono vecchio. Mi metto in fila con i ragazzi e quando mi danno un paio di lenzuola pulite, seppure bucate, mi giro tutto giulivo verso i giovani retrostanti e, con aria complice, faccio: “che se dice, picciotti?”.
I contubernali per loro umanità nemmeno dopo i miei settanta anni mi hanno dato la baia replicando: “che cosa hai da sorridere, vecchio demente?”, anzi mi hanno sempre contraccambiato con sguardi e gesti di simpatia. Ragazze e ragazzi. Una delizia, un balsamo beato.
Ne sono ogni volta felice, come quando il giorno di ferragosto nella spiaggia di Pesaro bambine e bambini mi inondano di secchiellate marine mentre corro sulla riva sperando di ricevere quegli scrosci salati sebbene vecchio. Ringrazio e riprendo la corsa, tutto giulivo e stiro il collo al pari di un’oca
Bologna 25 novembre 2025 ore 11, 30 giovanni ghiselli
p. s. Un’aggiunta sul ferragosto pesarese
L’ultimo ferragosto ero ricoverato a Villa Fastiggi di Pesaro per riabilitare la gamba destra dal femore spezzato il 7 luglio e operato il 10. Sicché non potei andare sulla spiaggia.
Il 15 agosto nonostante l’appressarsi “dell’umido equinozio, che offusca l’oro delle sabbie salse”, è una giornata ancora calda quando spira il “garbino”, vento del sud, da me benedetto.
Il pesarese conformista invece lo maledice, esecra e depreca come si deve fare perché così “fanno quasi tutti ” appunto.
Bisogna girare addirittura con la faccia schifata e l’aria tormentata quando soffia questo vento meraviglioso. Io che non nascondo la mia felicità quando il termometro supera i trenta gradi, perfino i 35, e mi permette di girare svestito a festa, ricevo critiche. Le meno malevole dicono che sono una lucertola o un altro animale dal sangue freddo, le più cattive che sono un egoista sadico perché godo del male comune, che non sono normale né umano come chi soffre il caldo. Sostengono che amo il caldo perché sono magro e dovrei ingrassare invece di gioire del male comune. Questi pettegoli perfidi sono gli obesi che odiano il caldo anche perché fa spogliare le persone e ne rivela le deformità: la nudità è argumentum deformitatis
Bologna 25 novembre 2025 ore 12, 20 giovanni ghiselli
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