so.
Poi continuai: “Kaisa volentieri (1) morirei, piuttosto
che rinunciare a te”.
Intanto stavo seduto con il braccio destro che pendeva, ingessato, verso il
pavimento. Con quel gesto di resa volevo mimare il topos gestuale della
desolazione ricorrente nelle arti figurative: risale a un sarcofago romano con
la morte di Meleagro e viene riusato da Raffaello nella Deposizione
dove si vede il braccio destro del Cristo esanime, abbandonato nell’impotenza
della morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie
mani la sinistra di Gesù ().
Ero deciso a recitare un’altra volta la commedia di credere che la bella sposa immacolata non
potesse essere disposta a commettere la
trasgressione della fedeltà coniugale. Dovevo dissimulare il fatto che ero convinto del
contrario, senza farle escludere, però, che speravo ardentemente di indurla alla
complicità totale con me.
Sicché dissi queste parole quasi ridicole;
“Ti parlerò in modo ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla
tua persona. Ho riflettuto mentre scendevo poi risalivo le scale. Una catabasi
non proprio infernale e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te,
amore mio.
Ho elaborato con il pensiero le percezioni impresse sui sensi.
Tu, come un angelo mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata,
e ora quest’anima appena risorta alla luce non può procedere senza te, ma
rischia di tornare ad aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto
buio come il Tartaro, compiendo, per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro
che una confusa congerie di gesti insensati.
Eppure credo sia meglio soffocare nel petto questo sentimento
d’amore, povero amore mio chiuso nell’animo senza speranza, piuttosto che fare
torto alla tua immagine, senza dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa,
fedele, cara al marito, al figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. ”.
Così la adulavo senza decenza. E data la sua attenzione, non
smettevo, anzi rincaravo la dose. Esageravo fino all’assurdo proprio per venire
smentito.
La provocavo per vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se
mi avrebbe chiesto di non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi
spalancati, un lieve sorriso enigmatico, e non parlava .
Finché lei stava zitta, e le sue orecchie offrivano accesso alla mia voce,
alle parole mie, non dovevo smettere.
“Sì, preferisco fare del male a me stesso: soffocare la felicità l’immensa immaginata solo guardando i tuoi
occhi pieni di vita, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli
luminosamente neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di
donna maritata cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione
speciale, religiosa, assoluta, quella riservata alle spose sante. Io santo
purtroppo non sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro
veneratore di Priapo e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia sussurrato amen, insomma ho menato una vita da briccone coribantico, ma, da
quando ti ho vista, sono diventato un pentito, un penitente, un convertito
dalla carne allo spirito, dal naturale al soprannaturale del quale vedo un
riflesso chiaro, meraviglioso nella tua icona veneranda”.
Quasi credevo a quanto dicevo, recitando forse neanche male. E quasi
piangevo. O per lo meno gli occhi mi si velavano di un liquido equivoco tra il
sentimentale, umidità di cuore, e il
succo spremuto dalla libidine che, dentro di me, nera, pelosa e massiccia,
scalpitava davvero con furia impudica (3) e
tirava forte verso la pelle bianchissima, liscia di lei.
Certo è che Kaisa lo capiva e la cosa non le spiaceva, anche perché
celebrando la sua fedeltà, le toglievo comunque ogni timore di essere
importunata: se avesse risposto che il marito faceva bene a fidarsi di lei,
poiché la amava, del tutto riamato, la preda agognata e mancata mi avrebbe
fatto fuggire con la coda tra le gambe e le orecchie abbassate.
Latrando sì come cane pieno di zecche, bastonato e sciancato. O imprecando
come un Priapo castrato, fatto dolorosissimo e innaturale al massimo.
Invece disse: “Tu non mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.
E mi accarezzò la mano destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così
sperticati perché fino a oggi non hai trovato una donna del tuo stampo, della
tua levatura, capace di respirare cultura e bellezza, come sei solito fare tu”.
“Ora però ho trovato te, finalmente”, dissi.
Poi tacqui e pensai“Ce l’ho fatta:l’esito
non è più incerto, la bilancia inclina verso la realtà dell’amore, verso la sua
verità”.
Quindi aggiunsi:
“Infatti sentivo questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo
tu puoi colmare. Tu respiri il bello e me lo ispiri. Se solo ti guardo, tutto
il resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio di
gioia”.
Note
(1) Cfr. Dante Inferno, V, 73: poeta, volontieri-parlerei
a quei due che ‘nsieme vanno, e paiono sì al vento essere leggeri”. Si tratta
dei lussuriosi e adulteri Paolo e Francesca
(2) Un topos presente anche in altri quadri tra i quali il Marat
assassinato di David
Bologna 18 novembre 2025 ore 9 giovanni ghiselli
p. s.
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