Priapo |
Nel
Timone d'Atene di Shakespeare (1607) il protagonista diventato misantropo
per l’ingratitudine umana dice: All’s
obliquy; - there is nothing level in our cursed - natures - but direct
villainy. Therefore be abhorred - all feasts, societies, and throngs of men - His
semblable (similis - )yea himself, Timon disdains - (dedignari) - Destruction
fang - (azzanni, allied to latin
pangere conficcare affondare) mankind.
IV,
3, 18 - 24), tutto è storto, non c’è niente di diritto nella nostra natura
maledetta, se non la malvagità diretta al male. Perciò sono da detestare tutte
le feste, compagnie e folle di uomini. Timone disprezza il suo simile, anzi se
stesso. Che la distruzione azzanni l’umanità.
Plutarco nella Vita di Alcibiade (16) racconta che Tivmwn oJ misavnqrwpo~
,imbattutosi un giorno in Alcibiade che tornava dall’assemblea popolare
soddisfatto per un successo, non lo scansò come era solito fare con gli altri,
ma anzi gli andò incontro, gli strinse la destra e gli disse: “fai bene ragazzo
a crescere in potenza: mevga ga;r au[xei kako;n a{pasi touvtoi~, così
accresci di molto il male a tutti questi.
I
vecchi del coro minacciano calci nel dare i quali possono far vedere il sesso:
i vecchi sono pelosi, le vecchie invece depilate
Lisistrata
lancia l’allarme siccome si avvicina un uomo in preda al delirio di Afrodite.
Mirrina vede arrivare suo marito Cinesia Kinhsiva" (cfr. kinevomai, sono
eccitato).
Lisistrata
le dice che deve sedurlo e ingannarlo - ejjxhperopeuvein[1] - senza
concedergli quello che ha giurato sulla coppa di vino. - Arriva Cinesia con una
visibile erezione. Lamenta che spasmov", erezione, tevtano" (846)
tensione lo hanno invaso, e si sente come uno torturato alla ruota. Chiede a
Lisistrata della sua Mirrina
Lisistrata
gli dice che Mirrina si prende cura di lui e lo elogia.
Quindi
il marito le chiede di andare a chiamare la moglie: ha perso ogni gioia di
vivere da quando lei se n’è andata, quando torno a casa mi sento depresso - a[cqomai, tutto
mi sembra deserto e non provo nemmeno gioia a mangiare: cavrin oujdemivan oi\d j
ejsqivwn: e[stuka[2]
gavr (869)
ce l’ho ritto.
Mirrina
oppone resistenza.
Cinesia
spinge il figlio a chiamarla mammiva, mammiva, mammiva.
Il
marito chiede pietà per il piccolo che non è lavato nè allattato - a[louton ka[qhlon[3] - da
sei giorni.
Mirrina
ribatte che a lei il bambino fa pena, ma è il padre quello che lo trascura ajmelhv" aujtw'/
Cinesia
insiste e lei: oi|on
to; tekei'n: katabatevon che faccenda avere partorito, bisogna
andare laggiù, che altro posso fare? - tiv ga;r pavqw; (884),
Cinesia
la guarda avidamente e le dice che sembra diventata newtevra e più
dolce. E il fatto che è sdegnosa duskolaivnei e altezzosa brenquvetai è
proprio quello che mi strugge di desiderio m’ ejpitrivbei tw'/ povqw/ (888)
Commento
ai vv. 887 - 888 della Lisistrata di
Aristofane: Cinesia, il marito di Mirrina, dice che lo sdegnarsi della moglie e
il suo fare la ritrosa è proprio quello che lo strugge di desiderio
Cfr.
Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse
sequor (Ovidio, Amores, II, 20, 36)
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge
e scappa da chi lo insegue. Tale locus
ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure
nell'esperienza personale di ciasuno di noi: Teocrito nel VI idillio paragona
Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando
la bella estate arde:"kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei"
(v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso
Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella
presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo
anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra
l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco,
un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica:"Post - filosofici
sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare
teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva
ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente
dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"[4].
Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era
comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello
della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia
è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia
al particolare"[5]
(p. 141). La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post -
filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella di Goethe:"
Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di
una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche
concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia
a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico
segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con
lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre
Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla
poesia patetica, interiormente commossa"[6].
"Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12,
102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi
incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e
non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice:
"…Meus est amor huic similis:
nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio
questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta
relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la
tormentata forma dell'amore elegiaco: quod
sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)"[7],
evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o,
forse, della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo
qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina,
in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I,
9).
Una
situazione analoga troviamo in Il giocatore di Dostoevskij (1866) dove il protagonista Alexei dichiara il suo amore
a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto
intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo
dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è
indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto
bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di
viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile;
questo è molto probabile"[8].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca,
conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso
concetto:"Qualsiasi essere amato - anzi, in una certa misura, qualsiasi
essere - è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che
ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci
annoia"[9].
L'analogia
con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile.
Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso:"La verginella è
simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si
riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba
rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne
innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno
stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal
cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più
zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio
ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42 - 43).
Meno
noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha
realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina: "Lui la guardava
come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui
riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e
distrutto"[10].
Gozzano, su
questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di
rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[11].
Sentiamo infine C. Pavese: "Ma questa è la più atroce: l'arte della vita
consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con
loro, altrimenti si perdono"[12].
Mirrina
bacia il bambino ma rifiuta l’abbraccio del marito.
Gli
dice che non tornerà a casa se loro, gli uomini, non smetteranno di fare la
guerra.
Lui
le propone almeno un incontro svelto nel letto: d j ajlla; kataklivnhqi metj ejmou' dia; crovnou
(904)
Mirrina
risponde che gli vuole bene ma niente letto.
Cinesia
insiste e lei prende tempo per procurare una stuoia da stendere nella grotta di
Pan, un cuscino - proskefavlaion (926) e una coperta
Cinesia
è impaziente, non gli serve il cuscino: ajlla; binei'n bouvlomai, ma
voglio fottere (934).
Mirrina vuole prendere tempo profumandolo con
un unguento to;
muvron
(939)
Cinesia
fiuta che l’unguento serve a stropicciare, perdere tempo diatriptikovn e non
ha odore di nozze koujk o[zon gavmwn. (943)
Mirrina
gli dice che lui deve votare per la pace. Poi se ne va.
Cinesia
si lamenta: ajpodeivrasa
oi[cetai
(953), “se ne va dopo avermi sbucciato” - ajpodevrw, levo la pelle (ovviamente dal
glande). Infine invoca Kunalwvpex, Cane - volpe un tenutario di bordello.
Il
corifeo lo compiange per gli o[rcei" insoddisfatti. In italiano si direbbe
che ha l’orchite.
Quindi
il vecchio incita il marito che continua a chiamarla pagglukevra ,
dolcissima, a punirla, sollevandola in aria e facendola ricadere in modo che si
infili di colpo sul glande ejxaivfnh" peri; th;n ywlhvn (979),
data l’erezione.
CONTINUA
[4] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero
europeo , p. 372.
[5] Aristotele, Poetica ,
1451b.
[6]Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 371.
[7]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore , p. 43.
[8] F. Dostoevskij, Il giocatore,
p. 42.
[9] M.
Proust, La prigioniera, p. 183.
[10] L. Tolstoj, Anna Karenina,
p. 366.
[11] Cocotte, vv. 67 - 69.
[12] Il mestiere di vivere, 30
settembre 1937.
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