Lisistrata a Velia Teatro |
Arriva
un araldo spartano anche lui con un’erezione evidente.
Domanda
dov’è il senato aJ
gerwciva
o i pritani (980)
Il
pritano - pruvtani"
- presidente
- gli chiede se sia un uomo o Konìsalo, un demone della fecondità simile a
Priapo. Lo spartano risponde ka'rux ejgwvn , sono un araldo io venuto da
Sparta per la pace. Parla in dialetto dorico che non sembra essere solo la
“patina” dei cori tragici.
Perché
allora questa lancia sotto l’ascella? Dovru uJpo; mavlh" (985)
L’araldo
si volta per non far vedere la “lancia”
Ma
girato sembra che abbia un bubbone sotto l’anguinaia
Finalmente
il pritano capisce che si tratta di erezione ajll j e[stuka", w\ miarwvtate,
mascalzonissimo.
Lo
Spartano nega e dice che si tratta della skutavla lakwnikav, un bastone di legno intorno al
quale si avvolgevano le strisce con i messaggi di Stato, i dispacci.
Però
poi ammette che l’intera Sparta è ritta e tutti gli alleati sono in erezione:
c’è bisogno di donne (menziona Pallene, forse una prostituta)
Lampitò
ha dato il segnale, dopo di che tutte hanno scacciato i mariti dalle fiche ajphvlaan tw;"
a[ndra" ajpo; tw'n ujssavkwn (1001) - u{ssax (u|" - latino sus)
Cfr.
gli Acarnesi 780 - 781 dove il
Megarese, che vende le figlie come porcelline, fa a Diceopoli nu'n ge coi'ro"
faivnetai - ajta;r ejktrafeiv" ge kuvsqo" e[stai, sembra
una porcella ma cresciuta sarà una fica.
L’araldo
spartano aggiunge che i maschi girano per la città tutti curvi, “come se
portassimo una lanterna e le donne non si lasciano toccare se prima gli uomini
non fanno la pace”.
Il
Pritano ne deduce che si è congiurato dovunque dalle donne - pantacovqen
xunomwvmotai[1]
- uJpo; tw'n gunaikw'n. - 1007 - 1009 -
Quindi
chiede che mandino aujtokravtora" prevsbei", ambasciatori con pieni poteri.
Il
corifeo dice che non c’è belva più insuperabile della donna, neppure il il
fuoco e nessuna pantera così svergognata - oujde; pu'r, oujd j w|d j ajnaidhv"
oujdemiva pavrdali" - (1015).
Cfr la
tirata dell’Ippolito di Euripide dove
il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato
dalle donne, ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon
ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga",
v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[2]
("ajthrovn[3]... futovn",
v. 630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere: crh'n d j ej"
gunai'ka provspolon me;n ouj pera'n - , a[fqogga d j aujtai'"
sugkatoikivzein davkh - qhrw'n, Ippolito
645 - 647, bisognerebbr inoltre che dalla donna non andasse un’ancella ma fare
abitare con loro muti morsi di fiere. Non è che Ippolito cerchi la donna
intellettuale. La saputa anzi è peggiore sofh;n de; misw' (640). La stupida è
paradossalmente meno vicina alla follia.
L’esecrazione
inizia con l’idea che la propagazione della razza umana dovrebbe avvenire senza
la partecipazione delle femmine umane.
Traduco
alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
"O Zeus perché ponesti nella luce del
sole le donne, ingannevole male per gli uomini? Se infatti volevi seminare la
stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i
mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo,
comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e
vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo
per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa"
(vv. 616 - 623).
La
corifea domanda al corifeo perché le muova guerra, visto che capisce la forza
di lei.
Il
vecchio risponde: “wJ" ejgw; misw'n gunai'ka" oujdevpote pauvsomai” 1018),
perché non cesserò mai di odiare le donne
E’
una risposta alla maniera di Ippolito: “misw'n d j ou[pot j ejmplhsqhvsomai - gunai'ka" ”( Ippolito, 664 - 665), non sarò mai sazio
di odiare le donne.
La
corifea a questo punto gli fa un piacere togliendogli un moscerino dall’occhio.
Poi lo bacia anche
Il
vecchio ne trae beneficio: la zanzara ejmpiv", ejfrewruvcei[4]
- mi
trivellava l’occhio come un pozzo. (1033). La vecchia lo bacia anche, e lui
dice che le donne sono qwpikai; fuvsei, adulatorie per nature - qwpeuvw -
Comunque
vuole fare la pace. Quindi i due cori uniti cantano un canto di conciliazione
Arrivano
gli ambasciatori spartani con barba e una gabbia di maialini intorno alle cosce
per nascondere l’erezione.
Lo
spartano indica la loro situazione fallica e il corifeo ateniese dice che
quello sembra essere infiammato di brutto e anche peggio - deinw'"
teqermw'sqaiv te cei'ron faivnetai - (1079).
Arrivano
anche degli Ateniesi con la tunica scostata dal ventre.
Il
pritano chiede di Lisistrata. Se non ci sarà la pace saremo costretti a fottere
Clistene - Kleisqevnh
binhvsomen
(1092).
Era un noto omosessuale sfottuto anche nelle Rane (48)
Il
Corifeo suggerisce agli Spartani di mettersi il mantello, perché non li veda
qualcuno degli ermocopidi o{pw" tw'n eJrmokopivdwn mh; ti" uJma'"
o[yetai
(rischiano la castrazione).
Spartani
e Ateniesi insieme vogliono la pace.
Chiamiamo
dunque Lisistrata dice il Pritǎno, la sola che possa riconciliarci (1105).
Entra
in scena Lisistrata salutata dal corifeo come ajndreiotavth, la più valorosa, e bisogna che
sia terribile - deinhvn - e
mite, buona e cattiva - ajgaqh;n fauvlhn - superba e amabile semnh;n ajganhvn , poluvpeiron, di
molta esperienza (1109.)
Lisistrata
domanda dove sia la Pace
e dall’alto scende con un argano una bella ragazza nuda che la personifica.
Lisistrata le chiede di recarsi a Sparta e tra gli Ateniesi con buone maniere.
E se qualcuno non ti dà la mano, prendilo per il bischero (th'" savqh"
a[ge
1119 cfr.
saivnw
scodinzolo).
Poi
cita un verso di Melanippe la saggia
di Euripide (fr. 487)
ejgw;
gunh; mevn eijmi, nou'" d j e[nestiv moi (1124), sono una donna ma ho
senno!
Queste
citazioni dei tragici soprattutto di Euripide, rende l’idea di quanto dovevano
essere popolari ossia noti al popolo i loro drammi.
Quindi
Lisistrata rimprovera i maschi che vanno a purificare con l’acqua gli altari a
Olimpia, alle Termopili, a Delfi, e mentre incombono i nemici barbari con gli
eserciti, distruggete uomini e città della Grecia [Ellhna"
a[ndra" kai; povlei" ajpovllute (1135).
I
veri nemici - vuole dire Aristofane - sono i Persiani, anticipando di decenni
Isocrate.
Ma
il Pritano ribatte: sono io che muoio, così arrapato (scappellato) - ejgw; d j ajpovllumai
ajpeywlhmevno" - ajpoywlevw - ywlhv , hJ - è il glande tirato indietro. yavw raschio.
Lisistrata
ricorda agli Spartani che Cimone portò 4000 opliti ateniesi in loro aiuto
contro i Messeni e o{lhn e[swse th;n Lakedaivmona (1144), salvò l’intera Sparta
(cfr. Plutarco Vita di Cimone, 16; Tucidide
I, 102).
Era
il 462 durante la III
guerra messenica (464 - 455). A Sparta ci fu un terremoto che fece cadere anche
alcune cime del Taigeto. Si ribellarono gli iloti della Laconia, della Messenia
e un paio di comunità perieciche dell’area montuosa. I Messeni si arroccarono
sull’Itome 800 metri
Gli
Spartani però temettero collusioni tra gli insorti e gli Ateniesi e il
contingente di Cimone venne bruscamente rimandato a casa. Atene si alleò con
Argo, con Tessali in senso antispartano e con Megara in funzione anticorinzia.
Cimone venne ostracizzato nel 461. L’ostracismo serviva già a regolare i conti
tra i partiti.
Lisistrata
dunque rinfaccia questo aiuto e l’ingratitudine degli Spartani e il Pritano le
dà ragione. Lo Spartano ammette il loro torto e ammira il culo della Pace,
indicibilmente bello: ajll j oj prwktov" a[faton wJ" kalov" (1148)
Lisistrata
poi per par condicio ricorda che gli
Spartani cacciarono Ippia nel 511 e liberarono gli Ateniesi dalla tirannide.
Quindi
lo Spartano elogia Lisistrata come la donna più buona e il Pritano dice di non
avere mai visto kuvsqon
kallivona
1158 una fica più bella (cfr. cunnus).
Tale
richiesta di pace e di parità si trova anche nelle Fenicie di Euripide rappresentate nello stesso periodo di tempo
(tra il 411 e il 409).
Giocasta
strappa a Eteocle l’aura eschilea del re preoccupato del bene comune. La madre
contrappone all’ambizione del figlio l’ jisovthς, l’uguaglianza, una norma del
cosmo come si vede nella distribuzione di ore di luce e di buio, uguali nel
corso dell’anno. Il più è invece il principio della discordia. Contro le trame
oligarchiche. Tucidide ricorda che nello stesso governo dei Quattrocento
prevalevano invidie e rancori poiché nessuno voleva l’uguaglianza ma ciascuno
pretendeva di essere il primo. Tali sforzi portarono alla rovina di una
oligarchia nata da una democrazia (VIII, 89, 3).
Giocasta
dunque professa un atto di fede nella democrazia e nell’uguaglianza e nella
pace.
Il
più ha soltanto un nome: tiv d’ ejsti; to; plevon ; o[nomj e[cei movnon ( 553) ,
poiché ai saggi basta il necessario (ejpei; tav g j ajrkounqj iJkana; toi'ς ge swvfrwsin 554), le
ricchezze non sono proprietà privata dei mortali (ou[toi ta; crhvmat j
i[dia kevkthntai brotoiv 555), noi siamo curatori di cose che gli
dèi possiedono (ta;
tw'n qew'n d j e[conteς ejpimelouvmeqa, 556) e quando essi vogliono ce li
ritolgono o{tan
de; crhv/zw's j , au[t j ajfairou'ntai pavlin (557).
A
Polinice Giocasta fa notare che i favori di Adrasto sono ajmaqei'ς cavriteς (569) e tu sei
venuto qua
porqhvswn povlin
a distruggere la città ajsuvneta, dissennatamente (Cfr. le Troiane).
Euripide
attraverso Giocasta si rivolge ai politici ateniesi di quegli anni: mevqeton to; livan,
mevqeton
(imp. aor m. duale di meqivhmi. 584), abbandonate l’eccesso, abbandonatelo. E’ un
monito alla parte oligarchica e a quella democratica.
CONTINUA
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