Salvini
ha detto: “quella giudice fa politica” Poi “mi sono rotto le
palle”. Inoltre ha cercato di squalificare Carola con gli epiteti
denigratori “sbruffoncella” e “ricca fuorilegge” (“la
Repubblica” 3 luglio 2019, p. 1 e p. 26).
Voglio
controbattere e non sommessamente. Chi agisce nel pubblico fa
comunque politica. I giudici, i professori, i preti, i medici e così
via. Il mio primo preside nel 1969 mi avvertì : “a scuola non si
fa politica” siccome il 15 dicembre avevo detto in classe:
“Valpreda è innocente”.
Ribattei:
“se non devo fare politica, non posso fare scuola.
“Cossa vu to” replicò in dialetto, senza avere capito,
credo. Comunque alla fine dell’anno mi diede un giudizio politico
“Valente” invece di “Ottimo” dato ai colleghi, nonostante io
fossi stato l’unico a superare l’esame di abilitazione in
primavera. Valpreda poi cpme si sa, venne assolto.
Salvini
ora è l’aspirante tiranno. Della gip Alessandra Vella ha detto
“Magari si sarà bevuta un bicchiere di vino” (ibid. p.
26).
La
letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che
esulta per la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti
Pittaco "to;n
kakopatrivdan"(
fr. 348 L P) dal padre ignobile, a Platone che certamente
non risparmia biasimi al turanniko;"
ajnh;r.
Costui, nella Repubblica (573c)
è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov"..
ejrwtikov".. melagcolikov"", incline
al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo
sostanzialmente servile"oJ
tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e),
della massima servilità e schiavitù e adulatore degli uomini più
malvagi.
Questa considerazione
che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento
personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno
psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga
dalla libertà sostiene
che" l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella
misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le
sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo
io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere"
(p. 144).
“In
senso psicologico la brama di potere non si fonda sulla forza ma
sulla debolezza. E' l'espressione dell'incapacità dell'io
individuale di reggersi da solo, e di vivere. E' il disperato
tentativo di acquistare una forza secondaria là dove manca la forza
genuina. Il termine "potere" ha un duplice significato. Uno
è il possesso di un potere su qualcuno, la possibilità di
dominarlo; l'altro significato è il possesso del potere di fare
qualcosa, di essere capace. Quest'ultimo significato non ha nulla a
che vedere con il dominare; esprime padronanza nel senso di
capacità"[1].
Metus tyranni - genitivo soggettivo e oggettivo.
Il
tiranno fa paura, come afferma Antigone a proposito della
sottomissione dei Tebani a Creonte (vv. 502 - 507) , ma nel fovbo"
turavnnou o metus tyranni troviamo
un genitivo soggettivo e oggettivo, ossia il despota vive
circondato dal fovbo" : fa
paura e ne ha. Un doppio ruolo sintetizzato bene da
Creonte nell'Oedipus di Seneca: "Qui
sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem
redit " (vv. 703 - 704), chi tiene crudelmente lo
scettro con dura tirannide, teme quelli che lo temono; la paura
ricade su chi la incute. In forma meno sintetica Cicerone fa la
stessa denuncia nel De officiis: “Qui se metui
volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est” (
II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è inevitabile che essi
stessi temano quelli dai quali saranno temuti. Cicerone fa gli esempi
di Dionigi il vecchio e di Alessandro tiranno di Fere il quale
sospettava perfino della moglie, non a torto del resto poiché questa
era un’altra furente che infino lo uccise “propter pelicatus
suspicionem (II, 25), per sospetto di adulterio. La
conclusione di Cicerone è. “Nec vero ulla vis imperii tanta
est, quae premente metu possit esse diuturna”, non c’è
nessuna forza di potere tanto grande che possa essere durare a lungo
sotto la pressione della paura.
La
paura che il tiranno ha dei migliori è stata messa in evidenza anche
dal cesariano Sallustio:"Nam
regibus boni quam mali suspectiores sunt, semperque iis aliena virtus
formidulosa est "[2],
infatti ai re sono più sospetti i valenti che gli inetti, e la virtù
degli altri per loro è sempre motivo di paura. Si ricordi ancora
il formidolosum dell'Agricola (39)
di Tacito.
Nell'Edipo
re di
Sofocle il tiranno di Tebe teme complotti e chiama Creonte
"lh/sthv"
t j ejnargh;" th'" ejmh'"
turannivdo"" (vv. 535), ladro
evidente della mia tirannide. Il cognato più avanti ribatte che
preferisce riposare tranquillo piuttosto che comandare con
paura ("a[rcein... xu;n
fovboisi",
v. 585). Perfino Eteocle delle Fenicie ,
il teorico del valore assoluto del potere, rivolge una preghiera
a eujlavbeia,
cautela, invocata come crhsimwtavth
qew'n,
(v. 782), la più utile delle dee.
Aggiungo
che oggi la moda dell’animalismo fa intendere che le bestie sono
migliori degli uomini, più buone, più degne di cura. I naufraghi si
lascino pure morire dunque, in fondo sono molto peggiori degli
animali che meritano ogni riguardo. Credo che l’amore eccessivo per
gli animali serva spesso a coprire l’odio per gli uomini e le donne
Nel
proemio delle Metamorfosi di
Ovidio, relativo alla creazione del mondo, la forma umana ha un posto
privilegiato per la sua vicinanza all’essenza divuna: “sanctius
his[4] animal mentisque
capacius altae”
(I, 76). Mentre gli altri animali osservano a testa bassa la terra -
pronaque
cum spectent animalia cetera terram - 84
- , il creatore chiunque egli sia, ille
opifex rerum
- 79 - os
homini sublime dedit caelumque videre - iussit et erectos ad sidera
tollere vultus
- 85 - 86.
Ma
gli uomini troppo simili alle bestie, quelli davvero non migliori di
queste, non guardano mai il cielo, come ho fatto notare altre volte.
Baci
a tutti gli umani umanisti gianni
[3]D.
Lanza, op. cit., p. 47.
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