venerdì 1 settembre 2023

Percorso sull’amore IX 11 Ovidio Remedia Amoris Antologia da v. 251 a v. 370. Donne maghe.


 

Gli incantesimi della magia non servono, altrimenti Medea e Circe avrebbero avuto successo. La via del veneficio è vecchia:"Ista veneficii vetus est via " (v. 251, con l'allitterazione che sembra soffiare e spazzar via gli incantesimi sulfurei). La terapia giusta sono i versi sacri  (sacrum carmen ) del poeta Ovidio ispirato da Apollo (v. 252).

 La figlia del Sole non chiese molto a Ulisse: solo un differimento della partenza:"Ne properes, oro; spatium pro munere posco "(v. 277), ti prego di non avere fretta, domando un poco di tempo per dono, e gli propose un amore con la pace nella quale solo lei aveva ricevuto ferita:"hic amor et pax est, in qua male vulneror una "(v. 283), e gli promise il dominio sulla sua isola:"totaque sub regno terra futura tuo est " (v; 284).

Intanto  però l'amante preparava la partenza.

"Ardet et adsuetas Circe decurrit ad artes;/nec tamen est illis adtenuatus amor./ Ergo, quisquis opem nostra tibi poscis ab arte,/deme veneficiis carminibusque fidem " (vv. 287-290), brucia Circe e ricorre ai consueti incantesimi, né tuttavia da quelli è attenuato l'amore. Quindi, chiunque tu sia che chiedi aiuto all'arte nostra, togli fiducia ai veneficii e alle formule magiche. E’ inutile dunque ricorrere a riti, preghiere e favrmaka di qualsiasi tipo per meritare l’amore: bisogna dire a se stesso: “vincam cum meruero

E' tuttavia diffuso il motivo dei favrmaka usati soprattutto dalle donne.

Nel IV canto dell'Odissea   Elena getta nel vino dei favrmaka  quale antidoto al dolore, all'ira, e oblio di tutti i mali (vv. 220-221). Li aveva avuti in Egitto la cui terra ne produce diversi, molti buoni , misri con molti invece luttuosi ("favrmaka, polla; me;n ejsqla; memigmevna, polla; de; lugrav", v. 230).

La donna è non di rado maga ed esperta di droghe. Questo favrmakon di Elena non sembra  creare effetti permanenti poiché chi la prende si anestetizza per un giorno ("ejfhmevrio"", Odissea, IV,  v. 223).

Buoni sono i favrmaka (Euripide, Medea, v. 718) contro la sterilità promessi a Egeo da Medea  la  nipote di Circe, terribile maga esperta di "kaka; favrmak j e favrmaka luvgr j"[1]  droghe cattive e tristi, forieri di oblio.

La donna antica viene spesso accusata di essere una maga o una sporcacciona come le Cretesi Pasife e sua figlia Fedra.

 Christa Wolf presenta una Circe calunniata dal potere, bella e sofferente quanto Medea:"Incontrammo la donna sulla riva, si lavava in mare i capelli rossi fiammanti e la veste bianca, le leggemmo sul viso solcato, tremendo, che sembrava sapere chi stava arrivando…anche lei era stata scacciata, quando col suo gruppo di donne era seriamente insorta contro il re e la sua corte, che aizzarono la gente contro Circe, le addossarono crimini da loro stessi commessi e riuscirono ad affibbiarle la fama di maga malvagia, a toglierle qualsiasi fiducia, al punto che lei non riuscì a fare nulla, assolutamente più nulla"[2]. 

Simeta nell’idillio Le incantatrici  di Teocrito  vuole avvincere l'uomo che le sfugge (II, v. 3)  con filtri (favrmaka) degni di Circe, di  Medea, e dell'assai meno conosciuta maga Perimede (vv. 15-16). Nel prepararli chiede l'assistenza di Ecate. Interessante l'interpretazione che dà Menalca, un pastore poeta dell'idillio IX di Teocrito, degli uomini stregati dai filtri di Circe: sono quelli indifferenti alle Muse (vv. 35-36) che vengono trasformati in bestie dal beveraggio (potw/'  , v. 36) della maliarda. 

Queste sono streghe o maghe, denominazioni non necessariamente vituperose:"Persarum lingua magus est qui nostra sacerdos " si difende dall'accusa di esserlo Apuleio nel De Magia  (25), nella lingua dei Persiani è mago quello che nella nostra il sacerdote. Nel romanzo dello stesso autore del resto ci sono maghe terribili come quella ostessa anziana ma alquanto graziosa che mutò un suo amante fedifrago in un castoro "quod ea bestia captivitati metuens ab insequentibus se praecisione genitalium liberat "[3], poiché questo animale, temendo di essere preso, si libera dagli inseguitori con il recidersi i testicoli. Comunque queste donne, maghe o streghe o sacerdotesse, o addirittura mezze dèe, propinano quasi sempre droghe le quali portano dimenticanza all'uomo che per un motivo o per l'altro non deve ricordare.

Fra le stregonerie della scuola attuale c’è quella di far obliare il greco e il latino che fanno crescere esteticamente e moralmente i ragazzi.

Si sottrae a tali incantesimi Odisseo il quale sa bene che, se ricordare è dolore, pure dimenticare è dolore, ed evita le droghe e costruisce la sua identità sulla pienezza della coscienza.

Donna di droghe è anche lady Macbeth, " fra le figure tratteggiate da Shakespeare la più imponente e quella che meglio ispira un ammirato terrore"[4]. A dire il vero fa anche pena. Questa donna resa assassina dall'ambizione  usa droghe per coprire il delitto addormentando i servi posti a guardia del re da assassinare:" I have drugged their possed " (II, 1), io ho drogato le loro bevande. 

Quindi Ovidio consiglia di fissare la mente sui difetti e i misfatti della donna scellerata (sceleratae facta puellae  , Remedia,  v. 299) e su tutti gli svantaggi (omnia damna , v. 300) conseguenti: è avida (avara , 302), ha avuto tanti regali e non si accontenta mai del bottino, tradisce i giuramenti, mi ha fatto giacere tante volte davanti alla porta, ama altri e sdegna di essere amata da me , le notti che non dà a me le gode con un venditore ambulante (institor , v. 306).

 Fa qui capolino il locus  della donna che preferisce l'uomo rude, il gladiatore o lo zingaro, alla persona civile. Lo ritroveremo in Giovenale che nella VI satira rileva che per la matrona romana adultera il nome e la funzione di gladiator  è un segno di bellezza e supremazia, anche se quel bruto ha la faccia sfregiata, una protuberanza nel naso e gli occhi lacrimosi per un acre malum :"Sed gladiator erat; facit hoc illos Hyacinthos,/hoc pueris patriaeque, hoc praetulit illa sorori/atque viro: ferrum est quod amant " (vv. 110-112), ma era un gladiatore, e questo li rende dei Giacinti, questo coso quella  ha preferito ai figli e alla patria, questo alla sorella e al marito: è il ferro che amano.

Evidentemente gli uomini della classe dirigente erano diventati troppo molli.

 Ovidio prosegue consigliando di mettere in rilievo i difetti fisici dell'amata, trovandoli anche quando non ci sono.  Una parte (vv. 315-340) l' abbiamo già vista confrontandola con i versi di Lucrezio. Procediamo con i più significativi tra i distici che seguono.  Gioverà anche vedere la donna al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (Remedia, vv. 343-344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una una parte minima di sé.-ipsa puella : con questo stilema platonico (auto; tov)  applicato all'amore Ovidio intende distinguere non tanto l'anima della donna dal suo corpo quanto il suo vero aspetto da tutto l'apparato esteriore. Comunque anche qui come nel dialogo platonico (Gorgia 465b)  la cosmesi è una forma di adulazione e di inganno.

 Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor " (Remedia, vv. 345-346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.-tam multa : sono gli orpelli dell'apparato esterno e della cosmesi che inganna (decipit ). Il Socrate di Platone nel luogo del Gorgia citato sopra definisce la cosmesi ajpathlhv , ingannevole appunto.

Si ricorderà che in altri scritti Ovidio non accusa né denuncia il cultus moderato, ma in questo contesto ogni mezzo è valido per demistificare e svilire la donna.

Un mezzo demistificatorio è quello di arrivare all'improvviso:"improvisus ades: deprendes tutus inermem; infelix vitiis excidet illa suis " (vv. 347-348), presentati inaspettato: tu, al sicuro, la sorprenderai disarmata; quella, disgraziata, cadrà per i suoi difetti. La donna invero finché cerca l’amore sta molto attenta a non farsi cogliere impreparata. E pure l’uomo. Poi quando si sono trovati e accoppiati i due spesso si lasciano andare al disfacimento.

-tutus : l'uomo che invece si è preparato.-inermem : il termine ( formato da in  e arma ) allude alla guerra: questi versi potrebbero entrare anche nel tovpo" Eros/Eris.

Esiste però una forma sine arte decens  (Remedia, v. 350), una bellezza elegante senza trucco ed essa  fallit multos , inganna molti. Volendo spiegarla, questa potrebbe essere la bellezza naturale potenziata, o conservata, dalla ginnastica e dalla consapevolezza di sé. L'attrazione esercitata da tale forma  potrebbe non essere fallace.

Comunque Ovidio, come Lucrezio, consiglia di avvicinarsi al volto della domina  "compositis cum linit ora venenis " (v. 351), quando si spalma il volto con pozioni pestifere, che hanno l'odore stercorario delle mense di Fineo insozzate dalle Arpie:"Illa tuas redolent, Phineu, medicamina mensas " (v. 355), quegli intrugli hanno il cattivo odore delle tue mense, Fineo.  Per i miei gusti i veleni più ripugnanti sono le chiacchiere prive di idee e sentimenti delle quali sono sempre piene le bocche di donne e uomini dalle teste vuote, dai cuori più insensibili di quelli di tanti animali.

Le donne dunque sono come Arpie che insozzano; come le Erinni appartengono alla categoria dei mostri femminili vendicatori e vengono chiamate anche "cani del grande Zeus"[5].

E' tipico dell'immaginario mitico dei Greci attribuire a figure femminili i tratti dell'alterità più mostruosa. Diamo un'occhiata a questi mostri che possono accostarsi all'immagine della donna tubo di scarico e simboleggiano tanto la  paura quanto il risentimento del maschio verso la femmina umana degradata a semibestiale:"Virginei volucrum voltus, foedissima ventris/proluvies uncaeque manus et pallida semper/ora fame " (Eneide , III, 216-218), i volti degli uccelli sono da ragazza, schifosissimo è il flusso del ventre, adunche le mani e pallidi sempre i volti per fame. Sentiamo anche Dante:"Quivi le brutte Arpie lor nido fanno,/che cacciar delle Strofade i Troiani/con tristo annunzio di futuro danno./ Ali hanno late, e colli e visi umani,/piè con artigli, e pennuto il gran ventre;/fanno lamenti in su li alberi strani" (Inferno, XIII, 10-15).

E' notevole che l'uccello con volto di donna è un mostro, mentre la donna o l'uomo con qualche cosa di ornitologico nel volto è nobile e bello, come si legge in Proust[6]. 

 Non potrà che derivarne nausea allo stomaco. Anche perché la donna che usa tale "orribile manteca"  ed è "tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili " il più delle volte ha grossi difetti da nascondere: è brutta e vecchia come quella del saggio L’umorismo di Pirandello.

Quindi Ovidio si difende dai detrattori secondo la censura dei quali la sua Musa è sfacciata ("quorum censura Musa proterva mea est ", Remedia,  v. 362).

L'apologia della Musa licenziosa si trova già in Catullo che si difende contrapponendo la pietas   e la castitas  della sua vita ai versiculi molliculi  :" me ex versiculis meis putastis,/quod sunt molliculi, parum pudìcum./ Nam castum esse decet pium poetam/ipsum, versiculos nihil necessest " (16, 3-6), mi consideraste, dai miei versi leggeri, poiché sono lascivi, poco casto. In effetti si addice al pio poeta come persona essere puro, che lo siano i suoi teneri versi non è necessario.   

 Su questa linea Marziale scriverà:"lasciva est nobis pagina, vita proba "(I, 4, 8), la mia pagina è licenziosa, la vita onesta.

Ovidio piuttosto attacca il livor  dei detrattori del genio. L'invidia scredita i poeti sommi:"Ingenium magni livor detractat Homeri "(Remedia, v. 365), l'invidia deprezza il talento del grande Omero, come ha cercato di infamare il capolavoro di Virgilio:"Et tua sacrilegae laniarunt carmina linguae "(v. 367), e lingue sacrileghe dilaniarono i tuoi carmi.

Insomma il livor  cerca di colpire le cime:"Summa petit livor; perflant altissima venti,/summa petunt dextra fulmina missa Iovis "(vv. 369-370), l'invidia mira verso l'alto; i venti soffiano sulle vette più alte, i fulmini scagliati dalla destra di Giove mirano alle sommità.

Pesaro 1 settembre 2023 ore 11, 05 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]Odissea , X, 213 e 236.

[2] Medea, p. 103.

[3]Metamorfosi , I, 9.

 

[4] A. C. Bradley, op. cit., p. 399.

[5] Per le Arpie cfr. Apollonio Rodio, Argonautiche, II, 289; poi Virgilio, Eneide, III, 225-258 e Dante, Inferno, XIII, 64-66. Per le Erinni cfr. le Eumenidi di Eschilo, vv.130-132. 

[6] I Guermantes, p. 82.

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