Edipo
421Ma allora gli dèi non spengano la loro
422 fatale -peprwmevnhn- contesa, ma in me stia
423 l’esito di questa loro lotta
424 cui ora sono tenuti- e[contai- e sollevano le armi.
C’è un nesso logico tra la contesa “fatale” e “sono tenuti”.
I due figli maschi hanno ereditato tutta la parte negativa del gevno~ dei Labdacidi a partire dall’ira del padre. Ma Edipo ora è volto alla parte positiva rappresentata dalle figlie e rifiuta i figli maschi. E’ un residuo di matriarcato o un suo rinnovamento
425 Così né quello- Eteocle- che ora detiene lo scettro e il trono
426 potrebbe restarci, né quello esiliato- Polinice- può ritornare
427 di nuovo in patria: loro che non trattennero
428 me che li avevo generati né mi protessero
429 quando fui cacciato indegnamente dalla patria
430 ma rovinato per quanto riguarda quei due fui mandato via e bandito da esule.
Edipo non arriva a maledire il potere comunque esso sia come fa l’Oedipus di Seneca:
Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis"(Oedipus,vv.7-8), qualcuno gode del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto una facciata così lusinghiera!
Sono parole di Edipo che dà inizio al dramma descrivendo l'infuriare della pestilenza.
Il regno è quasi sempre una tirannide: un bene scivoloso, un potere claudicante, in particolare quello di Edipo lo zoppo e dei suoi figli.
Nelle Phoenissae di Seneca Giocasta chiede a Polinice di rinunciare alla guerra poiché il premio che spetta al vincitore non è desiderabile: anzi Eteocle pagherà il fio del successo a caro prezzo, con il solo fatto di essere re:"poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).
Per Eteocle viceversa il potere è il massimo oggetto del desiderio:"Pro regno velim…(662) per il regno vorrei, inizia; poi alla madre che lo interrompe con la domanda :"patriam, penates, coniugem flammis dare? (v. 663.), dare alle fiamme la patria, i penati, la moglie? risponde:"Imperia pretio quolibet constant bene" (v.664), il potere a qualsiasi prezzo è pagato bene.
Nelle Fenicie di Euripide il medesimo Eteocle afferma che la tirannide è la divinità più grande (v. 506) e per essa può essere bellissimo anche commettere ingiustizia:" ei[per ga;r ajdikei'n crhv, turannivdo" pevri-kavlliston ajdikei'n, ta[lla d j eujsebei'n crewvn", vv. 524-525, se davvero è necessario commettere ingiustizia, è bellissimo farlo per il potere assoluto, altrimenti bisogna essere pio.
Cicerone considera questo Eteocle o addirittura Euripide meritevole di pena di morte (Capitalis Eteocles vel potius Euripides ) che fece eccezione proprio per quell'unico caso che era il più scellerato di tutti. Questi versi delle Fenicie li aveva sempre in bocca l'ambizioso Cesare:"Nam si violandum est ius, regnandi gratia/violandum est; aliis rebus pietatem colas ", (De officiis , III, 82).
Cfr. anche il Riccardo II di Shakespeare dove si legge (III, 2) che la Morte tiene la propria corte nella corona cava (within the hollow crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa
For within the hollow crown
That rounds the mortal temples of a king
Keeps death his court; and there the antic sits,
Scoffing his state and grinning at his pomp
Infine Manzoni che nell' Adelchi (V, 8) rappresenta il protagonista ferito il quale dice al padre sconfitto:"Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto”
Questa forza feroce ora è diffusa in tutti i gradini della scala sociale. Il vecchio, il bambino, il malato, il malfermo il desolato senza alcuna protezione, sono esposti alla violenza di chiunque più robusto voglia fare del male- Quanti cercano di darsi importanza attraverso la violenza bon sono pochi.
Pesaro 5 luglio 2025 ore 17, 05 giovanni ghiselli
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