sabato 26 luglio 2025

Ifigenia CCLII. L'esame. L'imbarazzo dopo la recita. La mia dolorosa ritirata.

L’esame si svolgeva all'incirca come la prova della sera prima. La differenza stava nel pubblico più numeroso e in una riduzione del testo. Ifigenia recitò discretamente. Meglio di tutto le riuscì la scena sul Danubio. Alla fine i giovani attori furono applauditi a lungo dal pubblico in piedi, del resto composto in massima parte da amici, parenti e altri amanti di questa o di quello forse. La mia donna guardava gli osannatori. Era in calzamaglia poiché la rappresentazione si era chiusa con gli svolazzi dello Zeppelin erotico incarnato da lei, callipigia scultorea tuttavia fatta di carne che si muoveva.
Io ero in prima fila, ma fui ignorato. Quando gli applausi terminarono, Ifigenia si mosse verso il gruppo dei suoi amici che erano da un'altra parte. Rimasi al mio posto: non volevo avvicinarmi inopportunamente. Speravo fosse lei a cercarmi con lo sguardo e a venire da me: non ero nascosto. Mi ero anche aspettato che, finita la commedia, si sarebbe cambiata, o avrebbe messo qualcosa sopra la tuta trasparente; invece si era accostata al pubblico con il seno in evidenza. Questo mi dava fastidio: non era più per esigenza scenica che andava mostrando il petto con tutte e due le poppe 1, da donna sfacciata qual era. Era vanità, esibizionismo, mancanza di rispetto per il suo uomo se mai lo fossi stato ancora.
Io la penso così, forse da retrogrado. Anche le sfacciate che mostrano seni e chiappe sulle spiagge non mi sono simpatiche. Nemmeno eccitanti sono. Una donna fine non lo fa, ed è più attraente. Piuttosto mostra le cosce, fin quasi alle mutande, le adorabili mutande delle donne belle e fini.

Gli amici gridavano: "brava, brava!!!" come si fa con le prime donne dell’Opera. La volevano tutti, di qua e di là, come Figaro.
Lei sorrideva allungando il collo, giuliva. Soffrivo parecchio. Finalmente si accorse di me e venne a salutarmi. Ma non era contenta che fossi presente nel momento e nel luogo del suo primo trionfo. Oramai non le servivo più, ero di troppo.

"Brava", dissi.
"Grazie. Dov'eri?"
"Qui, dove sono ora".
"Ti sono piaciuta?"
"Molto". Ci fu un momento di silenzio. "Ora che cosa farai?"
"Non lo so - rispose imbarazzata, volgendosi verso gli altri attori - Credo che i miei compagni vogliano festeggiare in qualche maniera".
"Ho capito" borbottai. Avevo capito che non dovevo entrarci.
Ifigenia non aggiunse parola: mi stava davanti silenziosa e sempre più imbarazzata. Dopo qualche secondo la salutai: "Bene. Allora ciao. Sei stata brava. Continua così".
"Ciao, grazie".


Mi mossi verso l'uscita sperando che mi chiamasse, mi facesse tornare indietro per dirmi almeno: "Ci vediamo domani". Invece mi lasciò andare via come se fossi stato uno spettatore qualunque, o un ammiratore di nessuna importanza, anzi piuttosto importuno. Uscii da quell'ambiente che mi soffocava. Entrai nella bianca Volkswagen, la scoprii nella notte d'estate precoce, ventosa, calda e profumata. Tornai a casa. Speravo che mi telefonasse. Invece niente. Mi spogliai e mi stesi sul grande letto dei nostri tripudi. Il dolore mi ringhiava nel petto: lo accarezzavo, lo scrutavo, cercavo di ammansirlo perché non mi dilaniasse quale iena affamata, mordace. Pensavo: "E' andata come avevo previsto. Appena si è sentita un'attrice, si è sbarazzata di me. Tornerà nel fango da dove l'avevo estratta per elevarla al mio linguaggio, alla mia logica, al mio stile. Questa sera si sente una diva, poveraccia! E' solo una grossolana plebea. Volgare di anima, di comportamento, di tutto! Sebbene mi abbia scimmiottato per quasi tre anni, è rimasta quello che era: fatta per la confusione, per il  guazzabuglio dove le piace sguazzare. Ricordo una volta che mi telefonò da via Rizzoli e andai a prenderla. Era con altre due o tre della sua razza mentale: facevano chiasso sul marciapiede. Io l'ho tirata fuori di lì. Ora ci torna".
Ero steso sopra il lenzuolo, in mutande; stavo per piangere, ma non volli lasciarmi andare così. Non era ancora giunto il momento della catastrofe. Decisi di alzarmi, rivestirmi e tornare nel suo covo per porle delle domande, farla parlare, ascoltarla. Anche se non fosse stata sincera, qualche cosa mi avrebbe insegnato.


Villa Fastiggi 26 luglio 2026 ore 13 e 57 minuti giovanni ghiselli


p. s.

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Nota
1 Cfr. Dante, Purgatorio, XXIII, vv. 100-102:"nel qual sarà in pergamo interdetto/alle sfacciate donne fiorentine/l'andar mostrando con le poppe il petto".


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