lunedì 28 luglio 2025

Ifigenia CCLXI. Un rozzo abbozzo di scrittura basato su appunti e reminiscenze personali e letterarie.

In questo capitolo trascriverò gli appunti presi la notte della catastrofe. Intendo copiarli come li trovo, senza rielaborarne la forma né cucire insieme le pezze o zeppe letterarie, appoggiate tra le parole. Queste non devono nascondere, anzi magari accentuare e nobilitare il pathos doloroso che, pure reso meno tetro qua e là con l'ironia, mi costrinse comunque a iniziare questo lungo epos arrivato vicino al termine dopo parecchi anni. Nel frattempo sono passato alla parte dei non più giovani, e la ragazza da quella dei più senz'altro, o se vogliamo dei Manes, i buoni: quale incarnazione della carne è morta da anni, ma questo lavoro conserverà qualche cosa della nostra storia antica. Forse, oltre una vicenda amorosa ricca di casi, la mia opera è riuscita a mostrare alcune immagini della dedalica terra, bella e varia come le femmine umane, che hanno per giunta l’arteria femoralis nella parte anteriore delle cosce degne di baci devoti, come ebbe a dire Hans Castorp pregando Claudia Chauchat di lasciarsi adorare.
Non mancano in questo mio epos oggi quasi concluso  diversi aspetti significativi della scuola, della società, dei costumi che si andavano sconciando in quegli anni, e magari pure qualche parvenza della provvida, artistica Mente che regge l'universo e tutto porta a buon fine. Troverete le tribolate peripezie di un uomo che cerca sempre, siccome vuole capire, e di una giovane donna bramosa di  fama e successo. Era donna piena di eros e pure di risentimento. E’ per il sentimento di essere organico all’umanità che ho messo a disposizione di tutti questa storia nella quale, credo, ognuno potrà riconoscere qualcosa di sé.
Vediamo dunque i primi appunti suggeriti da un pathos doloroso contaminato con l’ironia che non lo annienta, eventualmente lo relativizza. Le citazioni  invece rimandano alla letteratura europea che non deve essere dimenticata.

Ecco il diario chiosato con citazioni ridicole tratte da opere grandi eppure rese talora ridicole dal contesto
Sabato 13 giugno 1981, ore due della notte. Ifigenia è precipitata a capofitto con l'attore famoso. E' andata a cena con lui, è salita in camera sua, si è sdraiata nel suo letto accanto a lui volendosi tanto bene, ma non si sono baciati. Che cosa vuol dire? Pedicavit ille eam? Fatti loro.
Con il latino intanto io evito le parolacce. Il latino è la lingua del pudore.
Il nostro rapporto effettivamente era stanco assai. Non si parlava più, non era interessante per nessuno dei due l'opinione dell'altro. L'idea di passare due giorni con lei mi metteva addosso il malumore. Non è stata colpa di nessuno: la tensione  (tovno") era caduta ed è bastato un incontro con un vecchio mimo perché tutto si afflosciasse. Implodesse? No, per carità: è una parola di moda, tra i saputelli  che vogliono sembrare intelligenti e profondi oltre che persone di  vaste letture.
Questa volta non ho i rimpianti della notte del 15 marzo scorso quando, accompagnata lei a casa, mi ritrovai solo nel mio studio che biancheggiava di luce lunare tremula sulle mani tremanti del giovane professore disperato appoggiate sul tavolo dei propri lavori incompiuti. Tutto il senso di noia e stanchezza che mi pesavano addosso, dipendevano dal rapporto malato con Ifigenia. Oramai ci affaticavamo a vicenda. Se fossimo andati ancora avanti ci saremmo uccisi con reciproche piaghe, come Eteocle e Polinice, figli e fratelli di Edipo.
Tutto doveva cambiare, anche nell'eventualità (remota) che tutto tornasse com’era nei primi tempi felici (cfr. il Gattopardo ) o addirittura “come prima, più di prima ti amerò! La mia vita per la vita ti darò” (canzone degli anni Cinquanta: Tony Dallara?).
Non facevo più niente con gioia: nemmeno lo sport, o la scuola. Il sole, il primo fra tutti gli dei, la fiamma che nutre la vita, il santo volto di luce (Sofocle), lo annebbiavo con la mia angoscia (Kafka). 
Ho tagliato la striscia di cuoio legata intorno al mio collo dopo due anni e mezzo. Cappio o cordone ombelicale che mi vincolava Ifigenia. Una volta era il laccio della gioia del bello. 
Cercano di estrarre quel bambino dal cunicolo. Sono le sei del mattino. La televisione trasmette sempre il salvataggio mancato di quella creatura. 
Ricordati, giovanni ghiselli, e giuralo sullo Stige:
1) Non devi ingrassare, ossia mangia poco e fai sport in tutte le stagioni. Salite italiane e greche in bicicletta, corse di 5000 metri a cronometro, nuotate dalla palla di Pomodoro almeno fino al Genica: il triathlon  insomma.
2) Devi continuare a studiare.
3) Devi ricominciare a scrivere.
Intanto questo è l’abbozzo di un monologo dell'abbandonato il 13 giugno del 1981 per un attore famoso. Le beffe della fortuna hanno accumulato in questo giorno di prima estate  gli avvenimenti di tutta una vita folgorata e scoscesa. L’attore famoso di Pavese era Raf Vallone. Il rivale mio è più famoso, a onore del vero. Buon segno: diverrò scrittore più bravo e più letto di Pavese. Se non altro, non ce l'ho con le donne. Non sto soffrendo troppo: me l'aspettavo, l'avevo messo in conto. Lei non era tipo generoso e capace di amare. In un primo tempo la lusingava essere l’amante del professore bravo, lei ultima dei precari pure se bella assai, poi le facevo comodo per l'esame di recitazione. Mi usava e non voleva darmi niente in cambio negli ultimi tempi. Anche il sesso faceva malvolentieri. Pensava di non ricevere una mercede adeguata. Mercede, sì mercede, misqov~, paga. Mistofori di Caria e Pezetèri 2, “L'armi qua l'armi: io solo combatterò, procomberò sol io”3Eppure il primo anno eravamo pazzi di gioia, “sott'altra luce che l'usata errando”4
Il suo sesso era vivo nel letto, sull'erba, la terra, il moscone, la rena, in automobile, nei cessi dei treni (La città delle donne) e dei bar. "Lugete, o Veneres Cupidinesque (…) Passer mortus est meae puellae " Anche il gallo è morto: non canterà più coccodì, coccodà 6. La via all'insù è durata nove mesi.
Dopo l'estate colei si era
 intorpidita: da leggera, agile e spiritosa, era diventata bugiarda, pesante, insicura. Una bellezza fradicia di sciagure (Cfr. Edipo re, v.1396). E il commento a questa tragedia quando lo concluderai?
Una cosa alla volta, ognuna a suo tempo: ora si va a pedalare. Cè già luce nel cielo


Villa Fastiggi,  28 giugno 2025 ore 11, 12 giovanni ghiselli

p. s.

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Note
Cfr. Catullo, Carmi,  16, 1:"Pedicabo ego vos et inrumabo".  Un dubbio amoroso:  Utrum poss'io chiamarlo sodomito?”, Pietro Aretino, Dubbio XIX
Mercenari e soldati. Cfr. Pascoli, Alexandros, vv. 4-6.
Cfr. Leopardi, Canzone all'Italia, vv. 37-38.
Cfr. Leopardi, Il pensiero dominante, vv. 103-104.
Cfr. Catullo, Carmi, 3,  v. 1 e v. 3, Piangete Veneri e Amorini, è morto il passero della mia ragazza. 
Canzone studentesca. La cantavamo a Debrecen in greco, latino, italiano e inglese.


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