martedì 29 luglio 2025

Grecia 1981 Capitolo V. L’incomprensione e la scenata.

Il nostro parlare si degradava spesso in un  litigio penoso. Astioso del resto era anche il silenzio. Una competizione cattiva era subentrata all’aiuto che ci si  scambiava nei primi mesi del nostro amore. Di quello ricevuto da lei, ero ancora grato perché l’avevo assimilato e seguitavo a fruirne.
Il mio aiuto invece era stato rigettato da Ifigenia che oramai cercava sostegno in attori famosi come il vecchio gradasso che l’aveva attirata durante le ultime ore del 13 giugno. Pensava che con lui sarebbe stato facile salire sulle vette dell’arte, ma l’ascesa era finita sulla prima pendice prima, e pure prima del termine di quella breve notte.
Con me, se pure  fossimo arrivati a una meta comune, il cammino sarebbe stato lungo, difficile e faticoso.  
Ho sempre pensato e detto che per raggiungere risultati egregi è necessario un grande talento associato a tanta disciplina dura, spietata durante diversi anni; poi, se arrivano i risultati, tutto viene ricompensato dalla gioia.
Ma quella cercava scorciatoie facili.
 
Prendevamo il sole. In cima a un’asta però sventolava uno straccio opaco la cui ombra ogni tanto mi nascondeva la santa faccia di luce. Mi disturbava come questo pensiero molesto: stavo tornando nell’Ellade a restituire la donna conquistata nell’autunno del 1978 dopo tanti mesi di studio continuo, e la pedalata solitaria, quasi eroica, dell’estate di quell’anno fatato, su e giù per i monti della Grecia.
In ottobre mi era corsa dietro lei, senza che avessi dovuto corteggiarla.
La borsa di studio conquistata con grande fatica, mentale e fisica.
Mi vennero in mente diversi elogi della fatica imparati dai classici.
“Davanti al valore gli dei hanno posto il sudore; gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno” 1  
Ifigenia non dava più retta ai classici né a me e cercava sentieri precipitosi in mezzo ai burroni. Bella era bella, però.
Mi venne in mente l’amasio Lisania di Callimaco 2.
Buttarla in letteratura mi ha sempre aiutato: fin da bambino, quando consolavo e abbellivo la mia solitudine, già allora decretata dalle sentenze inappellabili del fato, recitando Il passero solitario“Io pensoso in disparte il tutto miro” mi dicevo osservando gli altri bambini azzuffarsi e gridare.
Ifigenia era ancora bella nel corpo. Confrontavo la superficie del mare increspato dal vento con la pelle di lei priva di smagliature o altri difetti: i raggi del sole le scorrevano sopra senza inciampare. Esteriormente era più calma del mare quando dorme disteso nei giacigli meridiani 3.
Tuttavia nel suo sguardo c’era un rancore profondo per l’uomo con il quale negli otto giorni seguenti avrebbe diviso la mensa, la camera, il letto e magari avrebbe anche fatto l’amore. Questo sarebbe stato un problema.
Tra noi ci fu un momento di tregua malsicura quando mi mostrò un altro disegno suo: un uomo che un poco mi assomigliava, quindi disse: "Gianni, tu sei ancora dentro di me, però c’è anche dell’altro che voglio portare alla luce. E tu non mi aiuti”.
Per un istante pensai che potesse essere incinta di me, come Päivi la psicologa fulva, o di un altro, come Helena la bella e fine Augusta biancovestita, dal grande seno che oltretutto prefigurava alcuni aspetti della migliore Ifigenia: la libertà e la bellezza.
Altre borse di studio del resto mi avevano allietato per qualche tempo. Vennero donne con proteso il cuore, ma poi “ognuna dileguò senza vestigio”, ricordai
Tale pensiero mi faceva soffrire e lo corressi: con questo proposito: “racconterò le storie grandi e stupefacenti compiute da me con le donne che meravigliosamente conobbi”
Quindi le risposi: “E’ vero il contrario. Io voglio aiutarti. Non ti chiedo di rimanere con me, se non vuoi restare. Ti consiglio di definire bene quello che desideri e puoi fare, per diventare quella che sei. In ogni caso non posso aiutarti se mi consideri malevolmente e sospetti che voglia farti del male”.
Il vento rumoreggiava implacabile e non ero sicuro che avesse sentito.
Perciò la chiesi: “Hai capito?”.
Mi ero dimenticato che questa domanda la faceva soffrire oltre misura, come se fosse ingiuriosa. La brevissima dolcezza riesumata dalle sue parole precedenti era un balsamo troppo scarso per lenire il dolore delle nostre reciproche piaghe, sicché Ifigenia gridò con ira furente: “No, quello che dici tu, uomo di grande sapere, io non lo capisco. Sono tre anni oramai che non capisco un accidente di quanto tu dici!"
 
 

Villa Fastiggi,  29  luglio 2025 ore 18, 45 giovanni ghiselli

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Note
[1]  Esiodo  dice che davanti al valore gli dei hanno posto il sudore: "th'" d j ajreth'" iJdrw'ta qeoi; propavroiqen e[qhkan" (Opere, 289). Nell'Elettra di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi: "o{ra, povnou toi cwri;" oujde;n eujtucei'''" (v. 945), bada, senza fatica niente ha successo. Nei Memorabili di Senofonte la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa Eracle al bivio che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno:"tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28). 
2] In un famoso epigramma (A. P. XII, 43) Callimaco afferma una concezione non popolare dell'arte e la pretesa di un amore esclusivo "Odio il poema ciclico, né mi piace la via qualunque che porta molti qua e là. Detesto anche l'amante che vaga, né bevo dalla fonte comune: tutto quanto è popolare mi ripugna. Lisania, tu bello sì sei bello, ma prima che lo ripeta con chiarezza l'eco, uno dice - altri lo possiede". 
3] Cfr. Eschilo, Agamennone, 565-566.

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