mercoledì 30 luglio 2025

Grecia 1981 Capitolo VIII. L’offerta respinta. Farfalle e lucciole.

Sicché decisi di parlare senza maschera e senza ironia, per fare la pace.
Andai nel bagno per mettermi le lenti a contatto quasi fossero un abbigliamento elegante. Comunque costituivano uno dei momenti della mia cosmesi, dopo la bicicletta, le corse a piedi, l’abbronzatura, la doccia e la frugalità .
Quindi tornai a sedermi sulla cuccia della cabina, chiusi il quaderno che avevo lasciato aperto e dissi: “Il nostro rapporto è fallito, Ifigenia, c’è poco da fare. Ma non è una tragedia: non c’è stato un bambino e dopo questo pellegrinaggio possiamo smettere di frequentarci, se vuoi”.
“Come potrei non volerlo ?” fece, rispondendo con una domanda retorica.
Il gioco di scacchi ricominciava, ma non desistetti dalla volontà di fare chiarezza.
“Il fatto più grave cui è difficile trovare rimedio è che in noi due c’è della stanchezza. Abbiamo nell’anima qualche cosa di tetro, di malato, che ci sottrae energie, ci ha tolto del tutto ogni letizia dal petto, expulit ex omni pectore laeitias[1].
Stavo ricominciando a citare, a recitare anche io. Era più forte di noi, zingari teatrali di formazione classica. Lei più dionisiaca, io incline piuttosto all’apollineo. La tragedia greca conteneva entrambi i culti con accenti diversi nei tre autori.
Non potevamo arrivare a una sincrasia pure noi, almeno durante il viaggio nell’Ellade?. Volevo provarci.
Sicché ripresi a parlare
“Tu mi hai lasciato, almeno quale donna fedele: se la causa del nervosismo e dello squilibro che ci fa cadere nell’insensata volgarità del litigio fosse stato il nostro “fidanzamento” assurdo e ridicolo, saremmo sereni oramai.
Del resto se il frequentarci solo sporadicamente e senza vincolo alcuno ci avesse reso felici, ora non saremmo chiusi a beccarci con tanto spargimento di umore buono in questa angusta cabina”.
“Mi pare piuttosto una gabbia”
“Ricordati però che la settimana scorsa ci siamo cercati a vicenda e quando ci siamo trovati abbiamo detto: 'mi manchi' con parole reciproche. Dunque non è vero che il nostro discidium o divortium ci renda felici. Io senza te non lo sono mai stato.
Tu non abitavi nella periferia delle mie gioie, anzi con te ho visto tutti i termini della beatitudine mia[2]. Né d’altra parte lo stare insieme ci piace, come si vede benissimo. Secondo me c’è qualche cosa di malato in entrambi, e il morbo non dipende dal nostro rapporto, bensì lo contagia. Che cosa può essere? Pensiamoci, Ifigenia, parliamone senza questionare”
“Va bene, ci penserò, ma non voglio parlarne con te”
“Per quale ragione vuoi pensare da sola a un problema, un ostacolo alla felicità che riguarda entrambi?”
“Perché non mi fido di te: tu non hai più l’autorevolezza per darmi consigli”.
“Ho capito” conclusi.
Non potevo dialogare con una persona che mi rifiutava. Uscii dalla stretta cabina pensando: “Ci rivedremo a Patrasso o sull’ombelico del mondo”.
Salii sul ponte. Navigavamo già tra i sacri monti dell’Ellade. Cercavo di non pensare più a niente. Presto però mi raggiunse colei e sedette vicina, cupa e senza guardarmi tuttavia. Nemmeno quei monti tutti pieni di dèi guardava. Il ponte di poppa era pieno di gente seduta o distesa a prendere il sole. Ifigenia guardava se la guardavano, oppure fissava lo sguardo sulla propria ombra. A un tratto interruppe il silenzio e osservò che il luccichìo del sole sul mare sembrava una danza di farfalle rosse su un prato pieno di luce.  
Imitava il mio metodo inteso a trovare le somiglianze. Forse voleva riprendere il dialogo.
Ma la feci aspettare.
Pensai che più spesso traeva impressioni dalle notti lunari.
Mi vennero in mente alcuni suoi strilli isterici, raccapriccianti, quando vedeva spuntare la luna su tacita selva, a Moena, o dalla distesa marina di Pesaro. Amava le lucciole che vedeva da bambina nel suo paesello.
Le lucciole piacevano anche a me quando ero bambino: le vedevo negli orti pesaresi, ma a Bologna non le avevo mai viste. Pensai a Pasolini. Un maestro che mi mancava.
“Per fortuna le farfalle volano ancora” mi dissi. Ifigenia si alzò. Camminava leggera in mezzo a un carnaio di corpi distesi sul sordido ponte della nave ferrigna. Sembrava una grande farfalla discesa nell’orribile barca del demonio Caronte per portare ai dannati l’estrema visione della bellezza terrena.
“Se si avvicina troppo alle perdute genti destinate all’inferno - pensai - questa falena rischia di bruciarsi le ali, di precipitare nel lago gelato dell’odio, tra le ombre dolenti dai visi cagnazzi, a battere i denti come tante cicogne imprigionate dal ghiaccio”.

 
Villa Fastiggi,  30  luglio  2025 ore 9, 46 giovanni ghiselli

p. s.
Statistiche del blog
ll time1778835
Today428
Yesterday268
This month16308
Last month24815

3 Catullo, 76, 22. 
4 Queste due espressioni iperboliche e ricercate risentono la prima del Giulio Cesare di Shakespeare (II, 1, 285-286), la seconda della Vita nuova di Dante (I, 1). Tale è manierismo, anche un po’ Kitsch direte voi. Non posso negarlo.
 
 
 


 

Nessun commento:

Posta un commento