mercoledì 2 luglio 2025

Ifigenia CCXIX. Il rimuginare. Seconda parte. il progetto di un capolavoro.

Quella sera, solo davanti al televisore nella cucina sconvolta, vidi la Loren giovane e mi sembrò simile a Ifigenia. Per tutto il tempo del film sentii la dolorosa mancanza della compagna precaria; quando fu finito, pregavo che mi telefonasse, come faceva solitamente dopo uno spettacolo visto da entrambi in luoghi diversi; infatti non mancò di chiamarmi, e mi rese felice. Le dissi che se mi avesse dato una mano sarei divenuto il più grande scrittore, non di tutti i tempi, poiché superare Omero, i tragici greci,  Lucano, Petronio, Apuleio, Dante, Machiavelli, Foscolo, Leopardi, probabilmente non era alla portata mia, e forse nemmeno i massimi autori del Novecento avrei potuto battere nella nobile gara della bellezza, siccome anche Joyce, Proust, Kafka e Thomas Mann sono dei giganti; ma il migliore vivente sì, per dio, mi era possibile diventarlo, e Ifigenia di conseguenza poteva assurgere al podio delle prime attrici del mondo. Ci ridemmo sopra, poi ci salutammo.

Io credevo a quanto le avevo detto sia pure con tono scherzoso, poiché fa parte della mia autoeducazione prefissarmi mete alte, difficili, quasi inarrivabili, e cercare di raggiungerle mettendoci tutte le forze e moltiplicandole durante l’impresa. Quindi andai a letto con le lacrime agli occhi pensando che  la ninfa mi piaceva ancora e aveva le qualità essenziali per farmi da Musa, Calliope o Melpomene (4) ispiratrice di un capolavoro che avrebbe fatto epoca e rieducato il meglio dell'umanità. Non sapevo che il 15 di quello stesso mese di marzo mi avrebbe lasciato una prima volta, e il 13 giugno una seconda, in modo irreparabile, tanto da indurmi a considerarla perduta piuttosto che solo smarrita come due mesi prima, a chiudermi in casa e a sposare me stesso per dare alla luce questo romanzo nella solitudine immensa e spaventosa di un anno pur confortato dalle rare, preziosissime visite sue, e di un paio di altre giovani donne grazie al cielo benigno che mi voleva presente, vivo, e tenuto in forze dalla coscienza di mettere al mondo qualche cosa di bello, di utile per quanti mi avrebbero letto in futuro. 

Allora non potevo sapere quanto tempo sarebbe stato necessario per scriverlo tutto intero, poi correggerlo, limarlo ad unguem , dargli la mano estrema. In ogni caso contavo di non scoraggiarmi e di non morire nel darlo alla luce, quando forse avrei avuto quaranta o più anni, primiparo annoso. Oggi la falange armata dai dolori e dalle gioie della mia vita marcia in ranghi compatti verso l’ottantunesimo compleanno  e ancora non ho terminato il mio compito: non è ancora perfetto. Ma poco ci manca.

  

p. s.

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Nota

(4) La prima è la Musa della poesia epica, quindi anche del romanzo che Hegel nell'Estetica definisce "la moderna epopea borghese"(trad. it. Feltrinelli, Milano, 1978, p.1447); la seconda è l'ispiratrice dei tragediografi.

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