Nei primi
giorni di giugno studiavo per me e per Ifigenia. Aveva
recitato con forza e fierezza, almeno così mi sembrava, mi era apparsa
splendidissima in quel costume da bagno; dopo la recita si era anche
rappattumata con me, però non mi amava. "Perché
do importanza a un amore-tumore oramai
inoperabile?" mi domandavo, e
non trovavo risposta. Oggi, passato tanto tempo ricco di casi 1 rispondo: Negli anni
Ottanta tramontava la vita culturale,
politica e sociale della decennio
passato già declinata nella sua seconda metà. Il
capitalismo gestito dagli strozzini si adoperava per annientare i progressi
degli anni precedenti. La solidarietà tra le persone, la simpatia tra gli umani, persino
l’eterno richiamo tra i sessi, ogni forma di altruismo, di simpatia veniva annichilita dall'avidità e dal
cinismo diventati esemplari per troppi ottenebrati. Le stragi,
la pubblicità, la miseria mentale e morale diffusa nella nazione
stavano distruggendo i valori
classici, umanistici, umani della lealtà,
dell'amicizia, della fratellanza tra gli uomini, dell'amore pulito che,
intendiamoci bene, non esclude il rapporto sessuale, bensì l'uso
dell'amante quale strumento da usare finché serve. Poi cambiarlo per uno o
una più conveniente utilizzabile. L’amore tra gli umani veniva reso impraticabile
dal clima di strumentalizzazione generale. Qualche anno più tardi sarebbe
scoppiata la cosiddetta 'peste del secolo',
l'AIDS, forse reale, certamente montata per avvelenare
anche l'estremo rifugio. Quindi il Covid, il riscaldamento globale, gli
armamenti e una serie di altri spettri fatti girare per accrescere la paura, la diffidenza, l’inimicizia
tra gli umani e perfino l’ostilità verso la natura: l’homo sempre più lupus
homini. In quei
giorni un banchiere fu trovato impiccato. Era un segno. Il capitalismo
sfrenato, dopo avere strangolato i sentimenti e i pensieri
umani, avrebbe strozzato se stesso con le proprie mani. La
forza della natura e quella dell’umanità hanno sempre reagito a quanti
hanno cercato di debilitarle Del resto
studiavo per fare lezione a Ifigenia. Lavoravo sui poeti
dell'Ellenismo onde raccogliere idee utili alla sua prova successiva. Leggevo i testi degli autori più significativi: Callimaco, Apollonio
Rodio, Teocrito. Schedavo la critica relativa, componevo delle piccole tesi,
e le imparavo per recitarle a lei che prendeva appunti. Faticavo molto,
poiché c'era un caldo appiccicoso, soffrivo il raffreddore da fieno, e poco diletto
traevo da quella poesia postfilosofica
e impolitica. Era presente
però una nuova attenzione nei riguardi della natura che mi piaceva siccome il
disgregarsi dei rapporti umani aveva rivolto sempre il mio sguardo al cielo,
al mare, alla terra, la dea dalle trecce verdi nei mesi più belli. Oltretutto l'allieva
non dava alcun segno di gratitudine. Arrivava stanca e svogliata,
se ne andava stremata, nauseata, come se ogni cosa le fosse dovuta,
e molto di più; anzi come se fosse lei a farmi un piacere ascoltandomi. A mia volta
provavo disgusto davanti a tale atteggiamento parassitario,
tipico dei giovani più sdilinquiti e servili di quella generazione
condizionata per stimulos a divenire opportunista e arrogante;
eppure continuavo a sgobbare, poiché pensavo di doverlo a
chi mi aveva aiutato salvandomi dallo
sconforto quando, tre
anni scolastici prima, la canaglia del liceo, una minoranza rumorosa, con latrati e morsi, aveva palesato
ostilità nei confronti di un lavoro apprezzato e amato dagli studenti,
siccome fatto con strenuo impegno, con sacrifici enormi e, magari, con
qualche capacità. Se dalla splendidissima
supplente nuova arrivata non avessi avuto ben più di quanto quel bestiame 2 invidioso mi aveva tolto, avrei dubitato perfino
della giustizia divina. Ebbene, nel giugno del 1981 mi sentivo in dovere
di contraccambiare
la ragazza che mi aveva aiutato in una fase difficile della mia vita. D'altra
parte Ifigenia, mentre non manifestava alcuna riconoscenza per le mie
fatiche sudate assai, con i 33 gradi diurni, i 29 notturni, e un'umidità
che incollava tutto addosso, ogni tanto mi dava qualche
soddisfazione dicendo di apprezzarmi come traduttore dell'Antigone, e pure come scrittore in proprio: al
punto che un giorno mi
chiese se le preparavo un monologo per la prossima prova di
recitazione. E, dopo tutto, talora riuscivo a ricavare qualche cosa
per me pure dai poeti ellenistici, poveri di indagine storica e politica, bravi però a padroneggiare la
lingua. Insomma da loro
compresi la necessità della cura formale, e quella di utilizzare il meglio
della tradizione, soprattutto nel raccontare una vicenda d'amore che
poteva essere rappresentativa di un'epoca sì, ma rischiava di
sembrare una storiella rosa se non trovava un'espressione
nobile, ricca dei succhi della cultura europea. Il sette
giugno è l'ultimo giorno nel quale scrissi qualche riga di appunti
prima della catastrofe conclusiva. Era domenica. Ero stanco.
Terminava il giro d'Italia, vinto da Giovanni Battaglin di Marostica.
Ricordai Carmignano di Brenta, la mia gara mancata con il futuro campione.
Come ciclista competitivo nelle grandi gare ero fallito, ma qualcosa di buono
avevo già fatto e altro potevo ancora fare. Forse. Non avevo più le illusioni dei venticinque anni.
Sentivo un vuoto interno dove temevo di inabissarmi. Dovevo
incoraggiarmi dicendomi che presto sarebbero venuti alla luce
valori più forti di quell'amore che stava cadendo. Finita la trasmissione
sull'ultima tappa del giro d’Italia, telefonai a Ifigenia. "Cosa
pensi che potremo fare in futuro noi due?" le chiesi. "Riguardo
al futuro remoto, non so cosa dirti - rispose - ora io penso a
preparare il prossimo esame. Dopo vedremo.
Cosa ci prepara il destino, non possiamo saperlo. Questa sera intanto
vengo da te per farmi spiegare Teocrito." "Ho
capito. Ti aspetto alle otto", conclusi. Voleva sfruttarmi. Le feci una
lezione lunga ma bolsa. Il poeta bucolico è fuori dalla storia, dalla
politica e dalla realtà come i suoi pastori. Io dovevo evitare di scrivere in
maniera apolitica. Non potevo limitarmi all’amore della natura che pure sento
con forza. Né a quello di Ifigenia. La mia
lezione fu fiacca, ma l’aspirante
attrice la trovò ben
fatta e utile molto. A me in ogni caso non era piaciuta, e questo
aumentò il mio nervosismo, incupì il senso di frustrazione dovuto al
fatto che volevo l’amore di una ragazza renitente, una
discepola che non mi riconosceva più come maestro, nonostante prendesse
appunti quando parlavo di letteratura e trovasse preziose per l'esame
prossimo le mie laboriose lezioni. Ma per la vita aspirava a
ben altra guida: a un attore, a un regista, a un produttore
ricco e famoso. E io per vincere il sentimento di essere identico al
nulla, siccome, nonostante tutto, volevo quella ragazza, dovevo
procurarmi fama e successo maggiori di quelli degli uomini che
ella agognava come fa con il cibo un cane affamato e non trova
pace finché non lo morde. L'unica strada a me pervia per arrivare
a recuperarla, era scrivere, ma, per cominciare, dovevo
districarmi dall'imbrigliamento penoso in cui mi trovavo. Ora so che
in quei giorni lontani mi stavo adoperando, inconsciamente
ma energicamente, per provocare la grande catastrofe
redimibile solo con un lavoro grande e meraviglioso. Mancava meno
di una settimana all’esodo con l’exit di questa ragazza. Dopo la
lezione moscia dunque, le domandai che cosa volesse fare. Lottavo
con la sorte che mi faceva presoffrire il dolore dei quella dipartita "Andiamo
al luna park" propose. "Va
bene" acconsentii, ma controvoglia: temevo che avrebbe bambineggiato
insopportabilmente assumendo il ruolo della bambolina. Infatti pargoleggiò
senza misura e scatenò la mia insofferenza.
Bologna 27 luglio 2025 ore 15, 42 giovanni
ghiselli
p. s.
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Tanti
lettori mi fanno pensare che le mie fatiche umamente spese non sono andate
tutte perdute come quelle di Prospero per Calibano. Diversi bruti e diavoli
incarnati ho incontrato in vita mia ma tutti questi non sono bastati a farmi
desistere dall’opera educativa intrapresa fin da bambino quando ammaestravo
mia sorella, citta piccina. Una educazione di me stesso e degli altri
proseguita per tutta la vita.
Note 1 Cfr. Tacito, Historiae, I, 2: “opus adgredior opimum casibus” 2 Cfr. A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p.178, Tomo I. "Si dovrebbe allora dare peso alla opinione di tali boskhvmata in terram prona et ventri oboedientia? ", bestiame volto verso terra e obbediente al ventre.
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