Fenicie di Euripide al teatro greco di Siracusa |
L’uguaglianza. Le obiezioni di Giocasta a Eteocle nelle Fenicie
Precarietà del possesso delle ricchezze.
Euripide, Menandro e Seneca
Nelle Fenicie di Euripide
"Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di
più" e la madre, Giocasta, obietta: "tiv d j e[sti
to; plevon; o[nom j e[cei
monon:/ejpei; tav g j
ajrkounq j iJkana; toi'" ge swvfrosin", vv. 553 - 554, che cosa è il più? ha soltanto
un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà
privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando
vogliono, a turno, ce le portano via di nuovo.
Una
posizione echeggiata da Menandro nel Duvskolo~ (del 316 a. C.).
Quando
il ricco Callippide dice al figlio Sostrato che non vuole prendersi un genero e
una nuora pezzenti, Sostrato il quale vuole sposare una ragazza povera e dare
la sorella in sposa al fratello di lei, risponde al padre che lui non è
veramente padrone delle cose che ha, ma esse appartengono tutte alla fortuna: “th'~ tuvch~ de;
pavnt j e[cei~” (v. 801).
Luogo simile in Seneca che
nella Consolatio ad Marciam (10, 2) scrive:"mutua
accepimus. Usus fructusque noster est ", abbiamo ricevuto delle
cose in prestito. L'usufrutto è nostro.
Del resto Giocasta
propugna l'uguaglianza più in generale:"kei'no
kavllion, tevknon, - ijsovthta tima'n" (Fenicie, vv. 535 - 536), quello è più
bello, figlio, onorare l'uguaglianza; infatti essa è legge cosmica:"nukto;" t j
ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'" - i[son badivzei to;n ejniauvson
kuvklon" ( vv.
543 - 544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale
il ciclo annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure[1],
domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d j oujk
ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia?
Perché tu la tirannide,
un'ingiustizia fortunata (tiv th;n
turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi
che sia un gran che?
Pensi che
essere guardati sia segno di valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551) di fatto. O vuoi avere
molte pene con molte cose nella casa?
- Plutarco nella Vita di Solone ricorda
che il legislatore ateniese aveva detto: “to; i[son povlemon ouj poiei`” (14, 4), l’uguaglianza non provoca
guerra.
Della
tirannide invece aveva detto che è una bella fortezza ma non ha via di uscita (kalo;n me;n
ei\nai th;n turannivda cwrivon, oujk e[cein d ‘ ajpovbasin”, 14, 8). -
“Euripide fa
pronunciare a Giocasta un atto di fede nell’organizzazione democratica ed
egualitaria della città, messa a repentaglio dall’incontrollata filotimiva di chi cerca il potere
personale anche a scapito del bene collettivo (…) Se Eteocle preferirà il
potere, esporrà Tebe al rischio della distruzione e le sue concittadine a
quello della schiavitù e della violenza. La ricchezza che sta tanto a cuore a
Eteocle si rivelerà così un plou'to~ dapanhrov~, una “ben dispendiosa
ricchezza” (v. 566)
Le parole
conclusive di Giocasta saranno suonate nel teatro di Dioniso come un accorato
monito a una generazione di politici ateniesi così vicini ai due fratelli del
mito: mevqeton to; livan, mevqeton (“abbandonate l’eccesso,
abbandonatelo”, v. 584).
Ed è un
monito diretto a entrambe le parti: alla parte oligarchica, perché si renda
conto che la ricerca del potere porta alla rovina della città; alla parte
democratica, perché capisca che anche con la ragione dalla propria parte non si
può praticare la violenza all’interno della polis senza danno
per tutti. Non c’è nulla di peggio della somma di due ajmaqivai contrapposte”[2].
Le Fenicie vennero
scritte intorno al periodo del colpo di Stato oligarchico del 411, ma il
rifiuto dell’eccesso è una posizione topica molto diffusa.
[1] Il consiglio di seguire la
natura, in particolare osservando l'alternarsi del dì e della notte, per
prendere decisioni equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum rerum
natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem" (Ep.
3, 6), prendi decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il
giorno e la notte. I mortali non possiedono le ricchezze come cose proprie,
esse sono degli dèi e noi le amministriamo (v. 555 - 556).
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