Erodoto |
La felicità consiste nella conoscenza, da
intendere più come sapienza che come sapere.
Mazzarino mette
in rilievo che nell'opera di Erodoto è ricorrente il quesito: "Son felici
il ricco e il monarca? (...) A questa domanda rispondono i discorsi tra Creso e
Solone (...) anche Anassagora si sforzava di rispondere alla stessa domanda
(...) secondo Anassagora il dotto soprattutto era felice"[1].
In questo
caso si tratta forse più di sapere che di sapienza.
Euripide
nelle Baccanti mette in rilievo la distinzione tra to;
sofovn e sofiva (v. 395)
Leggiamo
tutta la prima antistrofe del primo stasimo
“Di bocche
senza freno
di empia
stoltezza
il termine è
sventura;
mentre la
vita
della
tranquillità e il comprendere - to; fronei'n -
rimangono al
riparo dai flutti
e tengono
unite le case: da lontano infatti i celesti,
pur abitando
l’etere,
vedono
comunque i fatti dei mortali.
Il sapere
non è sapienza - to; sofo;n d j ouj sofiva -
e la pretesa
di comprendere fatti non mortali - tov te mh; qnhta; fronei'n - .
Breve è la
vita: per questo
uno che
insegue grandi fantasie
non può
conseguire quello che c’è. Questa
è
l’attitudine secondo me di uomini
dissennati e
sconsigliati” (Baccanti, 387 - 402
Nel quarto
stasimo il coro
torna a smontare to; sofovn dicendo che non è invidiabile.
Beni
grandi sono la bellezza, l’eujsevbeia e la giustizia
“Rimanere
nell’umano è una vita senza dolore.
Il sapere
non lo invidio “to; sofo;n oujj fqonw'” Mi Mi piace ricercare; ma altri sono i beni grandi
e manifesti:
oh vorrei che la vita scorresse verso la bellezza,
giorno e
notte essere pio eujsebei'n
mantenendo
la purezza, onorare gli dèi
respingendo
le norme estranee alla giustizia” (Baccanti, 1004 - 1010).
La sofiva è femminile e produce, incrementa la
vita. To; sofovn è neutro e non può farlo.
La sapienza
è lo scopo di quella cultura che Nietzsche designa
come tragica: "la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a
meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza (…)
Dopo
che la cultura socratica è stata scossa da due lati e può sostenere ormai lo
scettro dell’infallibilità solo con mani tremanti, da un lato cioè con la
paura delle sue stesse conseguenze, che comincia finalmente a presentire, e
dall’altro perché essa stessa non è più convinta dell’eterna validità del suo
fondamento con l’ingenua fiducia di prima, è ora un triste spettacolo vedere
come la danza del suo pensiero si precipiti con desiderio ardente verso forme
sempre nuove, per abbracciarle, e come inorridendo le lasci di nuovo improvvisamente
andare, come Mefistofele fa con le Lamie tentatrici. Il segno caratteristico di
quella “rottura”, di cui tutti sogliono parlare come del male primo della
cultura moderna, sta appunto in questo, che l’uomo teoretico si spaventa delle
conseguenze da lui prodotte e, insoddisfatto, non osa più affidarsi al
terribile fiume ghiacciato dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù
lungo la riva"[2] .
In Ecce
homo del 1888 Nietzsche fa una contrapposizione: “da una parte
l’istinto degenerante che si rivolta contro la vita con
rancore sotterraneo ( - il cristianesimo, la filosofia di Scopenhauer, in un
certo senso già la filosofia di Platone, tutto l’idealismo ne sono forme
tipiche - ) e dall’altra una formula della affermazione suprema,
nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, un dire sì senza riserve, al dolore
stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di
ignoto (…) Quest’ultimo, gioiosissimo, straripante - arrogantissimo sì alla
vita non solo è la visione suprema, ma anche la più profonda (…) La conoscenza,
il dire sì alla realtà, è una necessità per il forte, così come lo è per il
debole, per ispirazione della debolezza la viltà, la fuga dalla realtà - l’ideale
(…)
La
conoscenza non è permessa a loro; per i décadents la menzogna
è necessaria –è una condizione della loro vita”[3].
Vale la pena
di riferire a questo proposito alcune parole di T. Mann: "A questa
tragica saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e
crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso"[4].
Eliot
affermava: "Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell'informazione e qual
è la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?"[5].
Ma leggiamo direttamente i versi di T. S. Eliot:
“Knowledge of speech, but not of silence
Knowledge of words, and ignorance of the Word
All our knowledge brings us
nearer to our ignorance,
All our ignorance brings us nearer to death,
But nearer to death no nearer to GOD.
Where is the Life we have lost in living?
Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?”, (Choruses from “The Rock” , I, 9, 16[6].
All our ignorance brings us nearer to death,
But nearer to death no nearer to GOD.
Where is the Life we have lost in living?
Where is the wisdom we have lost in knowledge?
Where is the knowledge we have lost in information?”, (Choruses from “The Rock” , I, 9, 16[6].
Conoscenza del linguaggio ma non del silenzio, conoscenza delle parole e
ignoranza del Verbo. Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra
ignoranza, tutta la nostra ignoranza ci porta più vicini alla morte. Ma più
vicini alla morte, non più vicini a Dio. Dov’è la vita che abbiamo perduto
vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che
abbiamo perduto nell’informazione?
Platone nel Gorgia (470e) fa
dire a Socrate di non sapere se il gran re dei Persiani sia felice poiché non
sa come stia quanto a paideia e a giustizia:"ouj ga;r oi\da
paideiva" o{pw" e[cei kai; dikaiosuvnh" ; quindi, a Polo che lo incalza,
chiedendogli se la felicità consista in questo, risponde che l'uomo e la donna
sono felici quando sono belli e buoni; quando sono ingiusti e malvagi invece
sono infelici.
Giuliano
Augusto alla fine della preghiera A Elios re chiede al Sole
come ricompensa del suo zelo - ajnti; proqumiva" - di essergli propizio - moi eujmenh'
genevsqai - e
accordargli una vita virtuosa - bivon ajgaqovn - , una più perfetta saggezza - teleiotevran
frovnhsin - e una
intelligenza divina - kai; qei'on nou'n - , e infine, nell’ora separazione predestinata, la ajpallaghvn te
eijmarmevnhn - di
lasciare la vita in tutta serenità e ascendere a lui (158b).
Ma nella tragedia greca troviamo anche l’opinione contraria ed è questa
presenza dei dissoi; lovgoi, dei
discorsi contrapposti, dei punti di vista diversi e del considerare tutto in
maniera problematica che fa nascere e potenzia il nostro spirito critico. Nella
tragedia Aiace di Sofocle il Telamonio caduto in rovina prende
in braccio il figlio bambino e dice che lo invidia per l’incoscienza delle
sventure data l’età.
Infatti, aggiunge, “ejn tw'/ fronei'n ga;r mhde;n h{disto" bivo"
- to; mh; fronei'n ga;r kavrt j ajnwvdunon kakovn”, nel non
intendere nulla la vita è dolcissima, poiché il non intendere è davvero un male
senza tormento (554 - 554b)
[1]S. Mazzarino, Il pensiero
storico classico I, pp. 178 e 179.
[2] La nascita della tragedia
(del 1872) capitolo 18
[3] Ecce homo, La
nascita della tragedia, 3
[4] T. Mann, La filosofia di
Nietzsche, saggio pubblicato in Neue Studien daòò’edotore Bermann - Fischer a
Stoccolma nel 1948. Trad. it in Nobiltà dello Spirito, Mondadori, p.
814.
[5] E. Morin, La testa ben
fatta, p. 45.
[6] Cori da “la rocca” del 1934.
Nessun commento:
Posta un commento