Elettra e Crisotemi Siracusa, Teatro Greco. Elettra (Sofocle), 2016 |
La gioia che proviene dal conoscere e dall’essere saggi
All’inizio
del terzo episodio dell’Elettra di Sofocle entra in scena Crisotemi
portando alla sorella la notizia che Oreste è vivo: “ uJf j
hjdonh'" toi, filtavth, diwvkomai - to; kovsmion meqei'sa, su;n tavcei
molei'n” (vv. 871 -
872), dalla gioia sono spinta carissima a venire di corsa trascurando il
decoro. Crisotemi ribadisce: fevrw ga;r hJdonav" (872). Elettra ribatte dicendo
alla sorella che non può certo trovare un aiuto contro le sventure delle quali
non è possibile vedere un rimedio ( i[asin, 876).
Ma la mite
insiste: “pavrest j jOrevsth" hJmi'n i[sqi tou't j ejmou' -
kluvous j ejnargw'" , w[sper eijsora'" ejme"v“ (877 - 878), Oreste è qui da noi, sappilo da me
ora che mi ascolti, chiaramente come mi vedi.
Crisotemi ha
visto sul sepolcro del padre una ciocca di capelli tagliata da poco - newvrh
bovstrucon tetmhmevnon (901)
ed è sicura che quell’offerta e quei capelli siano di Oreste. E’ solo un
indizio, ma di chiara evidenza.
La felicità
di Crisotemi dunque è un fatto di conoscenza che deriva da una sapiente
congettura, un eijkasmov" capace di prevedere chiaramente da chiari indizi.
L’uomo che
non capisce ed è empio è pure escluso dalla gioia
Nelle
tragedie la stupidità è spesso associata all'empietà.
Nell'Agamennone[1] di Eschilo il capo dell’esercito
vincitore della guerra esita a calpestare il tappeto di porpora dicendo che
vuole evitare l’invidia e rifiutarndo onori divini. Poi aggiunge: "kai; to; mh; to; mh; kakw'" fronei'n - qeou'
mevgiston dw'ron. ojlbivsai de; crh; - bivon teleuthvsant j ejn eujestoi' fivlh“ [2] (vv. 927 - 929).
Nell'Antigone[3] di Sofocle le parole
conclusive dette dal corifeo portavoce dall'autore[4] contengono
la morale del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: "il
comprendere (to; fronei'n[5]) è di gran lunga il primo
requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo
negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav g j ej"
qeou;" mhde;n ajseptei'n)"[6].
Lo stesso
Creonte lo intuisce: "mh; fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è
il danno massimo. Quindi cede a Tiresia ma è troppo tardi.
"Il destino dell'uomo è inserito nell'ordine divino del mondo; e
quando l'ordine divino e il disordine umano vengono al cozzo, si sprigiona la
scintilla della tragedia"[7].
Luogo simile
nelle Baccanti[8] di Euripide dove il secondo messaggero conclude il racconto
dello sparagmov" di Penteo con queste parole " Essere
equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella e credo che questo sia
anche la dote/più saggia per chi sa farne uso (to; swfronei'n
de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n - kavlliston: oi\mai d j aujto; kai; sofwvtaton
- qnhtoi'sin ei\nai kth'ma toi'si crwmevnoi" "), (vv.1150 - 1152).
Nelle Troiane,
la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra:
“feuvgein me;n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400)
Nel Fedone di
Platone Socrate poco prima di bere la cicuta dice a Simia che in questa vita
bisogna fare di tutto per partecipare dell’intelligenza e della virtù, poiché
il premio è bello e la speranza è grande - pa'n poiei'n w{ste ajreth'"
kai; fronhvsew" ejn tw'/ bivw/ metascei'n : kalo;n ga;r to; a\qlon kai; hj
ejlpi" megavlh (114 c).
Può essere
rischioso credere nell’immortalità dell’anima, però il rischio è bello kalo;"
ga;r oj kivnduno" (114d).
Dopo avere bevuto la cicuta non resterò tra voi ma partirò andando verso certe felicità
dei beati (ajll j oijchvsomai ajpiw;n eij" makavrwn dhv
tina" eujdaimoniva"115d)
Fate capire
a Critone che quando sarò morto, non sarò io a essere sepolto. Bisogna essere
esatti nell’uso del linguaggio poiché non parlare bene non solo è una stonatura
ma fa anche male all’anima: "euj ga;r i[sqi (…) a[riste
Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to
plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115) e sappi bene (…) ottimo
Critone che parlare male non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del
male nelle anime.
Epicuro
nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston
ajgaqo;n frovnhsi"” (132, 5),
il massimo bene è la saggezza, perciò è un bene più prezioso della
filosofia la saggezza dio; kai; filosofiva" timiwvteron uJpavrcei
frovnhsi", dalla
quale derivano tutte le altre virtù, ejx h|" aiJ loipai; pa'sai
pefuvkasin ajretaiv, in quanto
essa insegna che non è possibile vivere felicemente senza vivere assennatamente
nella bellezza e nella giustizia didavskousa wJ" oujk e[stin
hjdevw" zh'n a[neu tou' fronivmw" kai; kalw'" kai; dikaivw" (A Meneceo, 132)
"La
pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[9].
Capire
significa anche amare.
“Non c’è
peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché
nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che
dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il
prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e
disumano”[10].
“Intelligenza
e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini,
reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[11].
“Questo è,
infatti, il modo di comportarsi e addirittura il contrassegno dell’uomo buono,
che egli si accorge con saggia reverenza del divino, il che avvicina bontà e
intelligenza, anzi propriamente le fa apparire una cosa sola”[12].
Alla fine delle Rane[13] di Aristofane[14] c'è un makarismov" dell'intelligenza benefica grazie alla quale Eschilo potrà tornare sulla
terra:"makavriov" g j ajnh;r e[cwn - xuvnesin
hjkribwmevnhn: - pavra de; polloi'sin maqei'n. - o{de ga;r eu\ fronei'n
dokhvsa" - pavlin a[peisin oi[kad j au\qi", - ejp j ajgaqw'/ me;n
toi'" polivtai" , - ejp j ajgaqw'/ de; toi'" eJautou' - xuggenevsi
te kai; fivloisi, - dia; to; sunetov" ei\nai" (vv.1482
- 1490), beato l'uomo che ha intelligenza acuta: è possibile riconoscerlo da
molti segni. Questo qui che si è rivelato saggio torna di nuovo a casa per il
bene dei cittadini, per il bene dei suoi parenti e amici, perché è
intelligente.
Subito dopo Plutone dà a Eschilo in procinto di tornare ad Atene l'incarico
di educare gli stolti che sono tanti:"paivdeuson - tou;"
ajnohvtou" - polloi; d j eijsivn" (vv.
1502 - 1503).
Questo topos non manca nella storiografia: Arriano[15], che pure di Alessandro è un ammiratore
e un elogiatore, non approva la punizione eccessiva fatta infliggere a Besso “a[gan tauvthn
timwrivan Bhvssou” [16] e disapprova pure il fatto che il
suo eroe abbia cambiato la veste macedone con quella dei Medi, compresa la
tiara.
Non serve alla felicità dell’uomo, conclude, né un fisico possente,
per chi ce l’ha, né le vittorie di Alessandro e altre da lui progettate, come
la conquista della Libia, poi quella dell’Europa dopo l’Asia e la Libia, “eij mh; swfronei`n
ejn taujtw`/ uJpavrcoi touvtw/ tw`/ ajnqrwvpw/ tw`/ ta; megavla, wJ~ dokei`,
pravgmata pravxanti”(4, 7, 5), se in questo uomo che ha compiuto, come
sembra, grandi gesta, non c’è nello stesso tempo l’essere saggio.
Lucano che è un
detrattore di Alessandro lo presenta come un pazzo criminale senz’altro: “Pellaei proles
vaesana Philippi, - felix praedo” (Pharsalia, 10, 20 - 21), il
figlio pazzo di Filippo di Pella, il bandito di successo, e poco più avanti: “perque
Asiae populos fatis urguentibus actus - humana cum strage ruit ” (vv.
30 - 31), e attraverso i popoli dell’Asia si precipitò spinto dal destino con
strage di esseri umani. Uccidere è l’espressione estrema del “non capire”.
Le stragi dei grandi massacratori oltretutto diventano esempi da imitare
per i piccoli massacratori.
Capire
significa prima di tutto sentirsi in armonia con il cosmo e con la vita,
riconoscersi quale "una docile fibra/dell'universo"[17].
Per il latino cito la Rhetorica ad
Herennium[18]
che già suggeriva una cultura fatta di tovpoi :" Omnium malorum
stultitia est mater atque praeceptrix (II, 22), la stoltezza è madre e
maestra di tutti i mali.
Orazio ci
ricorda che la saggezza è principio e fonte del bene anche nel campo della
scrittura:"scribendi recte, sapere est et principium et fons"[19].
Si vede che
autori diversi e lontani hanno elementi comuni: sono i tovpoi contenutistici di base, fondanti la
cultura occidentale.
[2] Il non capire male/ è il dono
più grande di dio. Bisogna considerare felice chi conclude la vita in un
amabile benessere.
[4] Che da questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi nell'azione" Cfr. A. Manzoni, Prefazione a Il conte di
Carmagnola
[5] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non
allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di
pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto
degli dèi. Allude a qualità morali" , G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie
e forme della letteratura greca, p. 281.
[15] Nato nel 90 d. C. a Nicomedia
in Bitinia, Fu scolaro di Epitteto di cui trascrisse le lezioni nelle Diatribaiv e nell’ [Egceirivdion. Il Manuale che ci è pervenuto
intero, ed è stato tradotto da Giacomo Leopardi, è una riduzione delle Diatribe delle
quali invece ci sono arrivati 4 libri su 8. Arriano vorrebbe ricalcare il
modello Senofonte - Socrate. Della sua vasta produzione rimangono anche l’Anabasi
di Alessandro in 7 libri, come l’Anabasi di Senofonte, l’ jIndikhv scritta in dialetto ionico
come l’opera di Erodoto e alcuni altri scritti minori. Non mancano nemmeno
influenze tucididèe. Arriano condivise il filellenismo dell’imperatore Adriano.
Morì verso il 175 d. C.
Nessun commento:
Posta un commento