NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 2 giugno 2019

La Felicità. IV parte. Comprendere è il primo requisito della felicità


Elettra e Crisotemi
Siracusa, Teatro Greco. Elettra (Sofocle), 2016
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La gioia che proviene dal conoscere e dall’essere saggi

All’inizio del terzo episodio dell’Elettra di Sofocle entra in scena Crisotemi portando alla sorella la notizia che Oreste è vivo: “ uJf j hjdonh'" toi, filtavth, diwvkomai - to; kovsmion meqei'sasu;n tavcei molei'n” (vv. 871 - 872), dalla gioia sono spinta carissima a venire di corsa trascurando il decoro. Crisotemi ribadisce: fevrw ga;r hJdonav" (872). Elettra ribatte dicendo alla sorella che non può certo trovare un aiuto contro le sventure delle quali non è possibile vedere un rimedio ( i[asin, 876).
Ma la mite insiste: “pavrest j jOrevsth" hJmi'n i[sqi tou't j ejmou' - kluvous j ejnargw'" , w[sper eijsora'" ejme"v(877 - 878), Oreste è qui da noi, sappilo da me ora che mi ascolti, chiaramente come mi vedi.
Crisotemi ha visto sul sepolcro del padre una ciocca di capelli tagliata da poco - newvrh bovstrucon tetmhmevnon (901) ed è sicura che quell’offerta e quei capelli siano di Oreste. E’ solo un indizio, ma di chiara evidenza.
La felicità di Crisotemi dunque è un fatto di conoscenza che deriva da una sapiente congettura, un eijkasmov" capace di prevedere chiaramente da chiari indizi.

L’uomo che non capisce ed è empio è pure escluso dalla gioia
Nelle tragedie la stupidità è spesso associata all'empietà.
Nell'Agamennone[1] di Eschilo il capo dell’esercito vincitore della guerra esita a calpestare il tappeto di porpora dicendo che vuole evitare l’invidia e rifiutarndo onori divini. Poi aggiunge: "kai; to; mh; to; mh; kakw'" fronei'n - qeou' mevgiston dw'ron. ojlbivsai de; crh; - bivon teleuthvsant j ejn eujestoi' fivlh[2] (vv. 927 - 929).

Nell'Antigone[3] di Sofocle le parole conclusive dette dal corifeo portavoce dall'autore[4] contengono la morale del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: "il comprendere (to; fronei'n[5]) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav g j ej" qeou;" mhde;n ajseptei'n)"[6].
Lo stesso Creonte lo intuisce: "mh; fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il danno massimo. Quindi cede a Tiresia ma è troppo tardi.
"Il destino dell'uomo è inserito nell'ordine divino del mondo; e quando l'ordine divino e il disordine umano vengono al cozzo, si sprigiona la scintilla della tragedia"[7].

Luogo simile nelle Baccanti[8] di Euripide dove il secondo messaggero conclude il racconto dello sparagmov" di Penteo con queste parole " Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella e credo che questo sia anche la dote/più saggia per chi sa farne uso (to; swfronei'n de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n - kavlliston: oi\mai d j aujto; kai; sofwvtaton - qnhtoi'sin ei\nai kth'ma toi'si crwmevnoi" "), (vv.1150 - 1152).

Nelle Troiane, la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra: “feuvgein me;n oun crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (v. 400) 

Nel Fedone di Platone Socrate poco prima di bere la cicuta dice a Simia che in questa vita bisogna fare di tutto per partecipare dell’intelligenza e della virtù, poiché il premio è bello e la speranza è grande - pa'n poiei'n w{ste ajreth'" kai; fronhvsew" ejn tw'/ bivw/ metascei'n : kalo;n ga;r to; a\qlon kai; hj ejlpi" megavlh (114 c).
Può essere rischioso credere nell’immortalità dell’anima, però il rischio è bello kalo;" ga;r oj kivnduno" (114d). Dopo avere bevuto la cicuta non resterò tra voi ma partirò andando verso certe felicità dei beati (ajll j oijchvsomai ajpiw;n eij" makavrwn dhv tina" eujdaimoniva"115d)
Fate capire a Critone che quando sarò morto, non sarò io a essere sepolto. Bisogna essere esatti nell’uso del linguaggio poiché non parlare bene non solo è una stonatura ma fa anche male all’anima: "euj ga;r i[sqi (…) a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115) e sappi bene (…) ottimo Critone che parlare male non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.

Epicuro nell’Epistola a Meneceo afferma: “to; mevgiston ajgaqo;n frovnhsi"” (132, 5), il massimo bene è la saggezza, perciò è un bene più prezioso della filosofia la saggezza dio; kai; filosofiva" timiwvteron uJpavrcei frovnhsi", dalla quale derivano tutte le altre virtù, ejx h|" aiJ loipai; pa'sai pefuvkasin ajretaiv, in quanto essa insegna che non è possibile vivere felicemente senza vivere assennatamente nella bellezza e nella giustizia didavskousa wJ" oujk e[stin hjdevw" zh'n a[neu tou' fronivmw" kai; kalw'" kai; dikaivw" (A Meneceo, 132)

"La pietà suprema sarà per i Greci l'intelligenza"[9].
Capire significa anche amare.
“Non c’è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e disumano”[10].
“Intelligenza e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini, reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[11].
“Questo è, infatti, il modo di comportarsi e addirittura il contrassegno dell’uomo buono, che egli si accorge con saggia reverenza del divino, il che avvicina bontà e intelligenza, anzi propriamente le fa apparire una cosa sola”[12].

Alla fine delle Rane[13] di Aristofane[14] c'è un makarismov" dell'intelligenza benefica grazie alla quale Eschilo potrà tornare sulla terra:"makavriov" g j ajnh;r e[cwn - xuvnesin hjkribwmevnhn: - pavra de; polloi'sin maqei'n. - o{de ga;r eu\ fronei'n dokhvsa" - pavlin a[peisin oi[kad j au\qi", - ejp j ajgaqw'/ me;n toi'" polivtai" , - ejp j ajgaqw'/ de; toi'" eJautou' - xuggenevsi te kai; fivloisi, - dia; to; sunetov" ei\nai" (vv.1482 - 1490), beato l'uomo che ha intelligenza acuta: è possibile riconoscerlo da molti segni. Questo qui che si è rivelato saggio torna di nuovo a casa per il bene dei cittadini, per il bene dei suoi parenti e amici, perché è intelligente.
Subito dopo Plutone dà a Eschilo in procinto di tornare ad Atene l'incarico di educare gli stolti che sono tanti:"paivdeuson - tou;" ajnohvtou" - polloi; d j eijsivn" (vv. 1502 - 1503).

Questo topos non manca nella storiografia: Arriano[15], che pure di Alessandro è un ammiratore e un elogiatore, non approva la punizione eccessiva fatta infliggere a Besso “a[gan tauvthn timwrivan Bhvssou [16] e disapprova pure il fatto che il suo eroe abbia cambiato la veste macedone con quella dei Medi, compresa la tiara.
 Non serve alla felicità dell’uomo, conclude, né un fisico possente, per chi ce l’ha, né le vittorie di Alessandro e altre da lui progettate, come la conquista della Libia, poi quella dell’Europa dopo l’Asia e la Libia, “eij mh; swfronei`n ejn taujtw`/ uJpavrcoi touvtw/ tw`/ ajnqrwvpw/ tw`/ ta; megavla, wJ~ dokei`, pravgmata pravxanti”(4, 7, 5), se in questo uomo che ha compiuto, come sembra, grandi gesta, non c’è nello stesso tempo l’essere saggio.

 Lucano che è un detrattore di Alessandro lo presenta come un pazzo criminale senz’altro: “Pellaei proles vaesana Philippi, - felix praedo” (Pharsalia, 10, 20 - 21), il figlio pazzo di Filippo di Pella, il bandito di successo, e poco più avanti: “perque Asiae populos fatis urguentibus actus - humana cum strage ruit ” (vv. 30 - 31), e attraverso i popoli dell’Asia si precipitò spinto dal destino con strage di esseri umani. Uccidere è l’espressione estrema del “non capire”.

Le stragi dei grandi massacratori oltretutto diventano esempi da imitare per i piccoli massacratori.
Capire significa prima di tutto sentirsi in armonia con il cosmo e con la vita, riconoscersi quale "una docile fibra/dell'universo"[17].
 Per il latino cito la Rhetorica ad Herennium[18] che già suggeriva una cultura fatta di tovpoi :" Omnium malorum stultitia est mater atque praeceptrix (II, 22), la stoltezza è madre e maestra di tutti i mali.
Orazio ci ricorda che la saggezza è principio e fonte del bene anche nel campo della scrittura:"scribendi recte, sapere est et principium et fons"[19].
Si vede che autori diversi e lontani hanno elementi comuni: sono i tovpoi contenutistici di base, fondanti la cultura occidentale.




[1] Del 458 a. C.
[2] Il non capire male/ è il dono più grande di dio. Bisogna considerare felice chi conclude la vita in un amabile benessere.
[3] Del 442.
[4] Che da questo "cantuccio" si esprime senza "introdursi nell'azione" Cfr. A. Manzoni, Prefazione a Il conte di Carmagnola
[5] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto degli dèi. Allude a qualità morali" , G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie e forme della letteratura greca, p. 281.
[6] Vv. 1347 - 1349.
[7] V. Ehrenberg, Sofocle e Pericle (1956), p. 40.
[8] Rappresentate postume
[9] M. Zambrano, L'uomo e il divino (1955), p. 194.
[10] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 103.
[11] T. Mann, Giuseppe in Egitto, p. 257.
[12] T. Mann, Giuseppe il nutritore, p. 62.
[13] Del 405 a. C.
[14] 445 ca a. C. - 388 ca a. C.
[15] Nato nel 90 d. C. a Nicomedia in Bitinia, Fu scolaro di Epitteto di cui trascrisse le lezioni nelle Diatribaiv e nell’ [Egceirivdion. Il Manuale che ci è pervenuto intero, ed è stato tradotto da Giacomo Leopardi, è una riduzione delle Diatribe delle quali invece ci sono arrivati 4 libri su 8. Arriano vorrebbe ricalcare il modello Senofonte - Socrate. Della sua vasta produzione rimangono anche l’Anabasi di Alessandro in 7 libri, come l’Anabasi di Senofonte, l’ jIndikhv scritta in dialetto ionico come l’opera di Erodoto e alcuni altri scritti minori. Non mancano nemmeno influenze tucididèe. Arriano condivise il filellenismo dell’imperatore Adriano. Morì verso il 175 d. C.
[16] Arriano, Anabasi di Alessandro, 4, 7, 4.
[17] G. Ungaretti, I fiumi, del 1916, vv. 30 - 31.
[18] Trattato di retorica anonimo degli anni 80 a. C.
[19] Ars poetica, composta tra il 18 e il 13 a. C., v. 309.

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