NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 7 giugno 2019

La Felicità. V parte. Imprevedibilità della vita umana


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Il tema dell'insicurezza si intreccia spesso con quello della felicità inficiandola.
La felicità, se pure è possibile, non è mai sicura. Tanto meno assicurabile.
Siccome la vita umana è imprevedibile, non si può chiamare felice né fortunato e nemmeno disgraziato chi non l'ha ancora compiuta tutta

Gli ultimi versi della Medea di Euripide affermano l'imprevedibilità dei casi della vita umana.:"Di molti casi Zeus è dispensatore sull' Olimpo (Pollw'n tamiva" Zeu;" ejn jOluvmpw/);/e molti eventi fuori dalle nostre speranze (ajevlptw") portano a compimento gli dèi;/e i fatti attesi non si avverarono,/mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via./Così è andata a finire questa azione" (vv. 1415 - 1419).
La conclusione dell'Alcesti, dell'Andromaca , dell'Elena e delle Baccanti è uguale, tranne che per il primo verso di questo finale topico: "pollai; morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti , v. 1159; Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688; Baccanti, v. 1388),  molte sono le forme della divinità".
Questo costituisce uno dei tovpoi della letteratura. Si tratta di un motivo sapienziale arcaico già presente in Archiloco (fr. 58D.): "toi'" qeoi'" tiqei'n a{panta (...) pollavki" d j ajnatrevpousi kai; mavl j eu\  bebhkovta"/uJptivou" klivnous j", bisogna attribuire ogni cosa agli dei (...) spesso rovesciano e stendono supini anche quelli ben saldi.  Nulla dunque deve essere considerato definitivo.

 Archiloco ricorda il ritmo con l’alternanza delle umane sorti  :" animo, animo sconvolto da affanni senza rimedio/sorgi e difenditi dai malevoli, contrapponendo/il petto di fronte, piantandoti vicino agli agguati dei nemici/con sicurezza: e quando vinci non gloriartene davanti a tutti,/e, vinto, non gemere buttandoti a terra in casa./ Ma nelle gioie gioisci e nei dolori affliggiti/non troppo: riconosci quale ritmo governa gli uomini" (mh; livhn: givgnwske d  j oio" rjusmo;" ajnqrwvpou" e[cei”  fr. 67aD).

Anche Sofocle denuncia più di una volta questa insicurezza e nei suoi drammi si trova l'immagine dell' altalena fatale: nell’Aiace, Odisseo davanti alla rovina del Telamonio schiacciato dall’ate ne prova pietà, anche se era suo nemico, e constata che noi mortali siamo solo fantasmi e ombra vana (vv. 125 - 126). Atena ammonisce chi vede la caduta di Aiace a non pronunciare mai parola superba contro gli dèi e a no gofiarsi di orgoglio per la potenza o la ricchezza conseguite: “wJ" hjmevra klivnei te kajnavgei pavlin - a{panta tajnqrwvpeia(131 - 132) siccome un giorno abbatte e rovescia tutte le cose umane  
Nell'esodo dell'Antigone  il messo annuncia il racconto della morte di Antigone e di Emone con questa sentenza :"tuvch ga;r ojrqoi' kai; tuvch katarrevpei - to;n eujtucou'nta to;n te dustucou'nt j ajeiv - kai; mavnti" oujdei;" tw'n kaqestwvtwn brotoi'"   (Antigone, 1158 - 1160), la sorte di fatto raddrizza e   butta giù il fortunato e il disgraziato via via, e non c’è  indovino della stabilità delle cose per i mortali.
 Nella parodo dell’Edipo re  il coro chiede ad Apollo:"intorno a te ho sacro timore: che cosa, o di nuovo (nevon)/o con il volgere delle stagioni ("peritellomevnai" w{rai"") un'altra volta (pavlin)/effettuerai per me?"(vv. 155 - 157).
 In questo scorrere rapido dei giorni, nel girare vorticoso delle stagioni, avvengono mutamenti continui e alcune cose si ripetono, ma altre accadono inopinatamente e il nevon è inquietante
Il coro di vecchi Tebani conclude l' Edipo re con questi versi :" sicché, uno che sia nato mortale, non ritenga felice nessuno,/considerando quell'ultimo giorno a vedersi, prima che/abbia passato il termine della vita senza avere sofferto nulla di doloroso ("pri;n aj;n  /tevrma tou' bivou peravsh/ mhde;n ajlgeino;n paqwvn", vv.1528 - 1530).

L'imprevedibilità del futuro è denunciata anche da Deianira all'inizio delle Trachinie  (vv. 1 - 3): "esiste un detto apparso in tempo antico tra gli uomini ("Lovgo" me;n e[st j ajrcai'o" ajnqrwvpwn faneiv"") : che non puoi conoscere la vita di un mortale prima che sia defunto, né se per lui sia stata buona o cattiva".
Più avanti, alla fine del quarto episodio,  la Nutrice afferma addirittura che è sconsiderato (mavtaiovv" ejstin v. 945) chi conta su due giorni o anche più: infatti non c'è il domani se prima uno non ha passato l'oggi.
In ogni caso, è la conclusione delle Trachinie del religioso Sofocle:"koujde;n touvtwn   o{  ti  mh; Zeu" "(1278), nulla di questo che non sia Zeus.

Luogo simile nelle Troiane di Euripide dove la regina Ecuba conclude la rievocazione dei fasti seguiti  dalla rovinosa caduta della sua vita con queste parole:"tw'n d j eujdaimovnwn - mhdevna nomivzet j eujtucei'n, pri;n aj;n qavnh/ " (vv. 509 - 510), di quelli felici non considerate buona la sorte di nessuno prima che sia morto.

 Queste parole ribadiscono gli insegnamenti delfici del  conoscere, anche attraverso se stessi, la natura umana, i suoi limiti e pure le sue connessioni con il cosmo, per  rifuggire ogni eccesso, ogni rottura dell'equilibrio e dell'armonia.
Aristofane nella parodo della Lisistrata echeggia, attraverso il semicoro dei vecchi, questo locus in chiave parodica: “h\  povll j a[elpt j e[nestin ejn tw'/ makrw'/ bivw/ " (v. 256) davvero in una lunga vita ci sono molte cose impreviste. Al punto che le donne "odiose a Euripide e a tutti gli dèi", come le definisce il corifèo (v. 283) hanno occupato l'Acropoli e intendono fare lo sciopero del sesso per impedire la continuazione della guerra. La parola d'ordine lanciata dalla loro "capa" Lisistrata è :"ajfekteva toivnun ejstivn hJmi'n tou' pevou""(v. 124), bisogna astenersi dal bischero. 
nelle Rane  Aristofane fa recitare al personaggio Euripide i primi due versi della sua Antigone che non ci è arrivata:" Edipo dapprima era un uomo felice" ( h\n Oijdivpou" to; prw'ton eujdaivmwn ajnhvr. 1182)..." poi divenne viceversa il più infelice dei mortali" (ei\t j ejgevnet j au\qi"
ajqliwvtato" brotw'n  (v. 1187).
Ogni giorno infatti è assolutamente diverso dal precedente.

Nell’l'Alcesti [1] di Euripide, Eracle espone una sua morale che prefigura il carpe diem  oraziano-epicureo [2] come conseguenza di questa imprevedibilità della vita umana:"tutti gli uomini devono morire/, e non c'è tra i mortali chi sa/ se vivrà il domani che deve venire/. Il cammino della sorte infatti non si vede dove procederà/, e non si può insegnare né si può prendere con una tecnica/. Allora avendo udito e imparato questo da me/, rallegrati, bevi (eu[fraine sauto;n, pi'ne), calcola/ come tua la vita del giorno, il resto della sorte./ Onora anzi in particolare quella che è la divinità del piacere massimo per i mortali, Cipride che è infatti una dea benevola " (vv. 782 - 791).
Nell'Ippolito  il coro sentenzia: "oujk oi\d j o[pw" ei[poim j aj;n eujtucei'n tina - qnhtw'n: ta; ga;r dh; prw't j ajnevstraptai pavlin"(vv. 981 - 982), non so come potrei dire che alcuno dei mortali sia fortunato: infatti le posizioni più alte vengono rovesciate.

Nell'Ecuba  la vecchia regina, dopo il sacrificio - assassinio della figlia Polissena constata la vanità della ricchezza e del potere, quindi conclude:"kei'no" ojlbiwvtato" , - o{tw/ kat j h\mar tugcavnei mhde;n kakovn"(vv. 627 - 628), il più fortunato è quello cui giorno per giorno non tocca nessun male.

 In un'altra cara tragedia di Euripide, l'Andromaca , la protagonista eponima :"Crh; d j ou[pot j eijpei'n oujdevn j o[lbion brotw'n - pri;n a]n qanovnto" th;n teleutaivan i[dh/" - o{pw" peravsa" hJmevran h{xei kavtw"(vv.100 - 102), non bisogna dire mai felice uno dei mortali/prima che tu abbia visto l'ultimo giorno/ del defunto, come, avendolo passato, andrà laggiù.

 Nell'Eracle il Coro constata che in un attimo il dio ha rovesciato un uomo felice e in un attimo i figli dell'eroe impazzito spireranno per mano del padre:"tacu; to;n eujtuch' metevbalen daivmwn - tacu; de; pro;" patro;" tevkn j ejkpneuvsetai " (vv. 884 - 885), in fretta il demone ha rivoltato un uomo fortunato; in fretta i figli spireranno per mano del padre.
 
Nel Thyestes il terzo coro di vecchi micenei approva la conciliazione offerta da Atreo, non conoscendo le vere intenzioni del tiranno, e ammonisce i regnanti sulla mutevolezza della sorte:"Nulla sors longa est: dolor ac voluptas/invicem cedunt; brevior voluptas./Ima permutat levis hora summis" (vv. 596 - 598), nessuna sorte dura a lungo: il dolore e il piacere si alternano; più breve è il piacere. Un'ora veloce cambia gli abissi con le cime.

 Il terzo coro del Thyestes si chiude ribadendo il topos con altre parole e applicandolo ai regnanti:"Omne sub regno graviore regnum est;/quem dies vidit veniens superbum,/hunc dies vidit fugiens iacentem./Nemo confidat nimium secundis,/nemo desperet meliora lapsis:/miscet haec illis, prohibetque Clotho/stare fortunam; rotat omne fatum./Nemo tam Divos habuit faventes,/crastinum ut posset sibi polliceri:/res Deus nostras celeri citatas/turbine versat" (vv. 612 - 621), ogni regno si trova sotto un regno più potente; quello che il giorno spuntando ha visto arrogante, questo il giorno al tramonto lo ha visto steso a terra. Nessuno si fidi troppo dei successi, nessuno disperi nel meglio di quanto è caduto: mescola il bene e il male Cloto e non permette alla sorte di stare ferma: fa girare ogni fato. Nessuno ha avuto gli dèi così favorevoli, da potersi promettere il domani: Dio fa girare le nostre vicende accelerate da un rapido turbine.

Vediamo ancora la formulazione del tovpo" dell'imprevedibilità negli esametri di Ovidio:"Iam stabant Thebae, poteras iam, Cadme, videri/exilio felix: soceri tibi Marsque Venusque[3]/contigerant; huc adde genus de coniuge tanta,/tot natas natosque et, pignora cara, nepotes,/hos quoque iam iuvenes,  sed scilicet ultima semper /expectanda dies hominis, dicique beatus/ante obitum nemo supremaque funera debet" (Metamorfosi , III, 131 - 137), già era costruita Tebe, e tu Cadmo potevi sembrare felice nell'esilio: ti erano toccati come suoceri Venere e Marte; a questo aggiungi tanti figli e figlie, e cari pegni, i nipoti, oramai giovani anche loro,  ma certo bisogna sempre aspettare l'ultimo giorno dell'uomo e nessuno può dirsi beato prima dell'ultima funebre pompa!

La non prevedibilità della vita fa parte non solo della sapienza tragica, ma anche di quella erodotea: il Solone dello storiografo di Alicarnasso dichiara a Creso che, essendo la vita umana fatta mediamente di 26250 giorni, nessuno di questi porta una situazione uguale all'altro, pertanto l'uomo è del tutto in balìa degli eventi ("pa'n ejsti a[nqrwpo" sumforhv" (I, 32, 4). Quindi, sebbene il saggio ateniese  abbia visto che il re di Lidia è ricco e potente, non può dire se sia felicissimo prima di avere avuto la notizia che ha finito bene la vita.
Tucidide viceversa ha la pretesa di assicurarci, dandoci regole utili per i fatti che si ripresentano sempre nello stesso modo.
Nelle Leggi  di Platone (VII, 801e, 802a) più in generale  l'Ateniese afferma che "non è cosa sicura onorare i viventi con inni e canti prima che ciascuno abbia percorso fino in fondo tutta la vita".

La vita è un'avventura
 In conclusione: la pretesa odierna di assicurarsi dalle sventure è fasulla e non rende la vita più sicura né più sana né felice.       
"Ognuno deve essere pienamente consapevole che la propria vita è un'avventura anche quando la crede chiusa in una sicurezza da burocrate: ogni destino umano comporta un'irriducibile incertezza anche nella certezza assoluta, che è quella della sua morte, poiché se ne ignora la data. Ognuno deve essere pienamente consapevole di partecipare all'avventura dell'umanità, che è, ormai con una velocità accelerata, proiettata verso l'ignoto"[4].
 Ho insistito su questo tovpo" dandone parecchie testimonianze poiché adesso i più cercano disperatamente, e risibilmente, di assicurarsi su tutto, da tutto. La grande angoscia dei giorni di stragi e poi di guerre terroristiche  deriva in massima parte dallo squarcio che si è aperto orrendamente nella stupida illusione della programmabilità e prevedibilità della nostra vita dal primo momento all'ultimo.

CONTINUA

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[1] Del 438 a. C.
[2] Ode I, 11, 8. Do la traduzione di tutta l’Ode: “Tu non chiedere (è un orrore saperlo) quale termine a me, quale/a te abbiano assegnato gli dèi, Leuconoe, e non provare/i calcoli astrologici. Com'è meglio prendere qualsiasi cosa verrà./Sia che Giove ti abbia assegnato parecchi inverni, sia questo l'ultimo/che ora sulle opposte scogliere corrose stanca il mare/Tirreno, sii saggia, filtra il vino, e, siccome lo spazio è breve,/
dai un taglio alla speranza lunga. Mentre parliamo, sarà fuggito/invidioso il tempo della vita: cogli il dì presente e al futuro dai credito meno che puoi.
[3] In quanto aveva sposato la loro figliola Armonia.
[4] E. Morin, La testa ben fatta,, p. 64.

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