Shakespeare e la letteratura antica. Dalla mia "Introduzione alla
tragedia greca"
Le comparazioni etimologiche tra il latino il greco e l’inglese sono tratte
da
A CONCISE
ETYMOLOGICAL DICTIONARY OF THE ENGLISH LANGUAGE BY THE REV.
WALTER W.
SKEAT NEW AND CORRECTED IMPRESSION (1984)
First impression
1882
OXFORD AT THE CLAREDON PRESS
Catarsi e mimesi nell’Amleto (1603)
di Shakespeare
l’Amleto di Shakespeare dice: “I have
heard - that guilty creatures - creatura, sitting - sedēre -e[zomai-
at a play, - have, by the very cunning of the scene, - been struck - da strike, allied
to stringere toccare leggermente striga fila
di fieno falciato - so to the soul that presently - they have proclaim’d
- proclamare gridare - their malefactions”
(Hamlet, II, 2), io ho udito che delle persone colpevoli, davanti a un
dramma, sono state colpite, dall’abilità della scena, fin dentro l’anima, in
maniera tale che hanno confessato subito i loro misfatti.
Non molto diversamente Aristotele
nella Poetica:
"La tragedia è dunque imitazione di
azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~
spoudaiva~ kai; teleiva~) che, con una certa estensione e con
parola ornata (hJdusmevnw/ lovgw/) di attori che agiscono e non attraverso un racconto,
per mezzo di pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di
j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin, 1449b, 28.
Nietzsche in La nascita della
tragedia definisce la catarsi di Aristotele “quella scarica patologica
di cui i filologi non sanno bene se sia da annoverare tra i fenomeni della
medicina o quelli della morale” (cap. XII).
La kavqarsiς dunque può essere una specie di purga o di cura
medica, e non solo per il filosofo tedesco: già Platone nelle Leggi
le dà tale significato: kavmnon sw'ma ijatrikh'ς kaqavrsewς tucovn (628d),
un corpo malato che ha avuto una cura medica.
Più avanti anche la teoria della mimesi è
espressa da Amleto egli definisce “the purpose of playing”, lo scopo
dell’arte drammatica, “whose end, both at the first and now, was and is,
to hold as ‘twere, the mirror-(lat. mirari) up to nature”
(Hamlet, III, 2), il cui fine, all’inizio come ora, è sempre stato
quello di reggere, per così dire, lo specchio alla natura.
Secondo Aristotele l'arte è essenzialmente
mimèsi, imitazione della realtà e proprio per questo il teatro ne costituisce
la quintessenza.
Nell’ Encomio di Elena di
Gorgia ritroviamo fovboς kai;
e[leoς associate alla poesia che provoca
identificazione di chi la ascolta con i personaggi o i fatti narrati
“Chiamo e giudico la poesia nel suo
complesso parola con metro, e in chi la ascolta si insinua frivkh
perivfoboς, un brivido di terrore, una pietà dalle lacrime kai;
e[leoς poluvdakruς, e un rimpianto che
accarezza il dolore kai; povqoς filopenqhvς. L’anima davanti a faccende di altri, liete o
tristi, prova, attraverso le parole un’esperienza propria iJdivon
ti pavqhma dia; tw'n lovgwn e[paqen hJ yuch (9).
Oscar Wilde in La decadenza della menzogna (del 1889)
sostiene che non è l’arte a imitare la vita, ma il contario: "La vita
imita l'arte assai più di quanto l'arte imiti la vita... Un grande artista inventa un tipo,
e la vita tenta di copiarlo, di riprodurlo in forma popolare... I greci, con il
loro rapido istinto artistico, capirono questo, e mettevano nella stanza della
sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché ella potesse generare figli altrettanto
ben formati delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel dolore.
Sapevano che la vita non solo guadagna dall'arte la spiritualità, la profondità
del pensiero e del sentimento, il turbamento o la pace dell'anima, ma che essa
può formarsi sulle stesse linee e colori dell'arte, e può riprodurre la dignità
di Fidia come la grazia di Prassitele... Schopenhauer ha analizzato il
pessimismo che caratterizza il pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il
mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica.
Il nichilista, quello strano martire che
non ha fede, che va al patibolo senza entusiasmo, e muore per quello in cui non
crede, è un prodotto puramente letterario. Esso fu inventato da Turgenev e
completato da Dostoevskij"[1]
Il riconoscimento, l’ajnagnwvrisiς delle tragedie greche.
Cfr. la Poetica di
Aristotele 1452a: ajnagnwvrisiς dev,
w{sper kai; tounoma shvmainei, ejx ajgnoivaς eijς gnw'sin metabolhv, il riconoscimento, come indica il nome è cambiamento
dalla non conoscenza alla conoscenza.
Nelle tragedie greche abbiamo, per
esempio, quelli di Oreste-Elettra, Oreste-Ifigenia, Ione-Creusa.
In Shakespeare quelli tra Imogene e suo
padre Cimbelino nel Cimbelino (1610), tra Leonte ed Ermione
poi con Perdita nel Racconto d’inverno (1611), e quello di
Pericle con Taisa la moglie e la figlia Marina in Pericle principe di
Tiro (1608)
Inoltre nel Racconto d’inverno,
Ermione resuscitata dalla sua statua ricorda l’Alcesti di Euripide.
Così pure Taisa nel Pericle.
Amleto di Shakespeare e Oreste dell’Elettra di
Sofocle.
Vedi Pirandello: “La tragedia d’Oreste in
un teatrino di marionette! - venne ad annunziarmi il signor Anselmo Paleari (…)
“La tragedia d’Oreste?”
“Già! D’après Sophocle, dice
il manifestino. Sarà l’Elettra. Ora senta un po’ che bizzarria mi viene
in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la maionetta che
rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre,
si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe?
Dica lei”.
“Non saprei”, risposi, stringendomi ne le
spalle”.
“Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste
rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo”
“E perché?”
“Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora
gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli
occhi, sul punto, gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta
di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia.
Oreste, insomma diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la
tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo
di carta”
E se ne andò ciabattando”[3]
I naufràgi (La Tempesta, Pericle
principe di Tiro) fanno pensare al Satyricon: di fronte al
cadavere dell’arcipirata Lica, Eumolpo dice:"si bene
calculum ponas, ubique naufragium est " (115, 17), se fai
bene i conti, il naufragio è dappertutto.
Maria Zambrano afferma che l'uomo, da
quando ha memoria e storia, ha sempre avuto nel fondo dell'animo il sentimento
del naufragio e ricorda che il suo maestro Otega y Gasset nei suoi corsi su
"La razòn vital" descriveva "la condizione di
"naufragio" come la più umana della vita umana"[4].
La Provvidenza e gli auspici. Per questo traggo spunti da Il vangelo secondo
Shakespeare di Piero Boitani (il Mulino, Bologna, 2009).
Amleto dice a “Orazio: “C’è una divinità
che dà forma ai nostri piani, per quanto rozzamente li abbozziamo (There’s a
divinity that shapes our ends/rough-hew them how we will, V, 2).
Amleto evoca la Provvidenza anche per il
fatto che aveva con sé il sigillo di suo padre quando ha scritto la lettera che
chiedeva la condanna a morte di Rosencratz e Guildestern: Why, even
in that was heaven ordinant/I had my father’s signet in my purse” (V,
2, 48)
Dunque we defy augury,
sfidiamo i presagi.
There is special Providence in the fall of
a sparrow (Amleto, V, 2), c’è una una
mano della Provvidenza pur nella caduta di un passero.
Ora o dopo, tuttavia la morte verrà.
Cfr. Ammiano Marcellino XXI, 1, 7: “volatus
avium dirigit deus”, è un dio che dirige i voli degli uccelli. Per questo
gli auspici si ricavano dal volo degli uccelli.
Cfr. Matteo: “Nonne duo
passeres asse veneunt? Et unus ex illis non cadet super terram sine Patre
vestro (10, 28).
Ogni cosa succede quando deve succedere: the
readiness is all (Amleto,V, 2), essere pronti è tutto.
Nel Vangelo di Luca troviamo
l’archetipo di the readiness is all: “Et vos estote parati,
quia, qua hora non putatis, Filius hominis veniet” (12, 40)
La parola finale di Amleto è significativamente silence-
the rest is silence-silentium
Nell’addio di Orazio c’è la comparsa di un
cielo lontano: good night, sweet prince, and flights of angels sing
thee to thy rest!
Jan Kott lascia un interrogativo: “Chi è
questo giovane principe norvegese? Non lo sappiamo. Shakespeare non ce lo dice.
Che cosa deve rappresentare? Il destino cieco, l’assurdità del mondo o il
trionfo della giustizia? Gli shakespearologi hanno difeso a turno ciascuna di
queste tre interpretazioni. E’ il regista che deve decidere. Fortebraccio è un
uomo giovane, forte, splendente. Arriva e dice: “Portate via questi cadaveri.
Amleto era un buon ragazzo, ma è morto. Adesso il vostro resono io. Torna tutto
benissimo, perché mi sono ricordato che ho dei diritti su questa corona”. Dopodichè
sorride ed è soddisfatto di sé”
Mi fa pensare al deus ex machina,
per esempio Apollo alla fine dell’Oreste di Euripide o i Dioscuri
alla fine dell’Elena di Euripide.
“Ed ecco alla fine arriva un giovanotto
sano e vigoroso e con un affascinante sorriso dice: “Portate via questi
cadaveri. Adesso il vostro re sono io”[5].
“Take up the bodies”
La rassegnazione dei personaggi (Prospero per esempio)
Calibano
costituice il fallimento educativo di Prospero: “a devil, a born devil, on
whose nature /nurture - nutritura can never stick - stivzein, segnare un marchio
- instigare spingere,; on whom my pains, /humanely
taken, all, all lost, quite lost (IV, 1, 188 ss.)
Cfr. nell’ Oedipus di
Seneca il “perdidimus operam!” di Edipo (1014)
A misura che il suo corpo diventa più
brutto con l’età, il suo animo si corrompe sempre di più (IV, 1, 191-193)
Dopo questa scena, Prospero spezzerà e
butterà via la bacchetta magica
Cfr. il pessimismo pedagogico dell’Ecuba di
Euripide.
Dalla mia metodologia LIX
Pessimismo e ottimismo
pedagogico. Pindaro. Euripide: Ecuba (oJ
me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n kakov") e Supplici (“hJ
eujandriva-didaktovn). Protagora in Platone: paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn.
E’ chiaro che non tutti sono portati per
le stesse materie; che il greco e il latino sono facili per alcuni,
difficilissimi per altri. L’intuizione infatti è una qualità indispensabile,
come la leggerezza e la potenza per un campione. Quelli predisposti alle nostre
materie ci inducono all’ottimismo pedagogico, quelli maldisposti, al
pessimismo.
Pindaro nell’ Olimpica II
chiarisce il suo pessimismo pedagogico: " sofo;"
oJ polla; eijdw;" fua'/ -maqovnte" dev, lavbroi-pagglwssiva/
kovrake" w{"- a[kranta garuveton--Dio;" pro;" o[rnica
qei'on” (vv. 154-159), saggio è chi sa molto per natura, voi
due[6] addottrinati
invece, intemperanti, vaghi di ciance, come corvi di fronte al divino uccello
di Zeus, gracchiate parole vuote.
Nell’Ecuba (del 424) di Euripide la
protagonista eponima sente raccontare da Taltibio il sacrificio di Polissena e
prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale la ragazza è morta,
splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con il coraggio di un
eroe: “Non è strano che, se la terra è cattiva,/ma ottiene buone condizioni
dagli dèi, produce buona spiga,/mentre se è buona, ma non riceve quanto essa
deve ottenere,/ dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il malvagio
non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una
disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (“oJ
me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n
kakov",-oJ d j ejsqlo;" ejsqlov", oujde; sumfora'"
u{po-fuvsin dievfqeir j, ajlla; crhstov" ejst j ajeiv;”)/Dunque i genitori fanno la differenza o
l'educazione?/Certamente anche essere educati bene, porta/ un insegnamento di
onestà; e se uno l’ha imparato bene,/ sa che cosa è turpe, avendolo appreso con
il metro del bello. /Ma questi pensieri la mente li ha scagliati invano"(Ecuba,
vv. 592-603).
In questa tragedia dunque prevale il
pessimismo, come nell’ode di Pindaro.
Nelle Supplici, del 422, un
dramma che è tutto un encomio degli Ateniesi, leggiamo invece l'espressione di
un incondizionato ottimismo pedagogico, forse per il fatto che si stava
preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa l'elogio funebre dei
sette caduti nella guerra contro Tebe, poi conclude rivolgendosi direttamente a
Teseo: “ Non ti stupire dopo quanto ho detto,/ Teseo, che questi abbiano avuto
il coraggio di morire davanti alle torri./Infatti essere educati non
ignobilmente comporta il senso dell'onore:/e ogni uomo che ha esercitato il
bene/si vergogna di diventare vile. Il coraggio è/ virtù insegnabile (hJ
eujandriva-didaktovn), se è vero che il bambino impara/a dire e ad
ascoltare quello di cui non ha cognizione./Ma quello che uno abbia imparato,
suole conservarlo/fino alla vecchiaia. Così educate bene i vostri
figli"(vv. 909-917).
Un’opinione diffusa, non solo ad Atene, di
ottimismo pedagogico viene riportata nel Protagora di Platone.
Schopenhauer:"Shakespeare è molto più grande di Sofocle. In
confronto all'Ifigenia di Goethe si potrebbe trovare quasi rozza e
volgare quella di Euripide. Le Baccanti di Euripide sono un indegno
pasticcio in onore dei sacerdoti pagani. Molti drammi antichi non hanno alcuna
tendenza tragica; come l'Alcesti e l'Ifigenia fra i Tauri di
Euripide; alcuni hanno motivi repellenti, o perfino nauseanti; come l'Antigone
e il Filottete. Quasi tutti mostrano il genere umano sotto
l'orribile dominio del caso e dell'errore, ma senza la rassegnazione da ciò
provocata e di ciò redentrice. Tutto questo perché gli antichi non erano giunti
ancora al sommo ed al fine della tragedia, anzi della concezione della vita in
generale (…) Quindi l’esortazione alla rinunzia della volontà alla vita rimane
la vera tendenza della tragedia[7]".
Nietzsche:" Shakespeare paragonato con Sofocle, è
come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello
non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far
quasi dimenticare il suo valore come metallo"[8].
“La poesia fonda la sua potenza sulla
compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che
rende le cose dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine
poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un
insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e
l’importanza”[9].
La confusione come male e camuffamento dei
mali.
Nei Cavalieri di
Aristofane il Salsicciaio dice a Paflagone-Cleone: “tu fai come i pescatori di
anguille (oiJ ta;ς ejgcevleiς qhrwvmenoi, 864), quando lo stagno è calmo, non prendono nulla;
ma se mescolano il fango sotto e sopra, le tirano su, e anche tu prendi se
metti a soqquadro la città.
La confusione portata dal denaro latore
anche di guerre.
Nelle Anime morte di Gogol’ (1842)
un farabutto suggerisce di confondere le idee per rendere impossibile il
compito di fare giustizia: “Confondere, confondere: e nient’altro…introdurre
nel caso nuovi elementi estranei, che coinvolgano altri, complicare e
nient’altro. E che si raccapezzi pure il funzionario pietroburghese incaricato.
Che si raccapezzi…Mi creda, appena la situazione diventa critica, la prima cosa
è confondere. Si può confondere, aggrovigliare tutto così bene che nessuno ci
capirà nulla” (p. 375).
A proposito di confusione, C. Marx,
commenta Shakespeare scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese
rileva:"la divinità visibile, la trasformazione di tutte le
caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e
l'universale rovesciamento delle cose"[10].
Nel Timone d'Atene (1607) il
protagonista diventato misantropo per l’ingratitudine umana dice: All’s
obliquy;-there is nothing level in our cursed –natures-but direct
villainy. Therefore be abhorred-all feasts, societies, and
throngs of men-His semblable (similis-)yea himself, Timon
disdains-(dedignari)-Destruction fang-(azzanni, allied
to latin pangere conficcare affondare) mankind. IV, 3, 18-24), tutto è storto, non c’è niente di
diritto nella nostra natura maledetta, se non la malvagità diretta al male.
Perciò sono da detestare tutte le feste, compagnie e folle di uomini. Timone
disprezza il suo simile, anzi se stesso. Che la distruzione azzanni l’umanità.
"The time is out of joint-iungere,
iunctus, zeuvgnumi-" (Amleto, I, 5), il tempo si è
disconnesso, dice il principe di Danimarca dopo avere visto e sentito lo
spettro del padre che chiede vendetta del turpe e snaturato assassinio.
Si può pensare al Dyskolos di
Menandro, e ancor più all’Oedipus si Seneca: L'ordine
naturale è sovvertito affermano queste parole di Manto:"Mutatus ordo
est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta " (vv.
366-367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è
invertito.
Tutto si trova fuori posto nel corpo
emblematico degli animali sacrificati:" Non animae capax/in parte
dextra pulmo sanguineus iacet;/non laeva cordis regio; non molli ambitu/omenta
pingues visceri obtendunt sinus/Natura versa est; nulla lex utero
manet " (vv. 368-371), il polmone sanguinante incapace di
aria sta a destra; la zona del cuore non è la sinistra; la membrana non stende
davanti alle viscere con morbido avvolgimento le grasse pieghe: la natura è
sovvertita, nessuna regola sussiste per il ventre materno.
L’oro
Per quanto
riguarda l’oro questo metallo presunto prezioso will make black white, foul
fair, wrong right - (rectus-), base - (vile, late
latin bassus) - noble, old young, coward valiant (Timone
di Atene IV, 3, 29-30).
Cfr. La transvalutazione lessicale dovuta
alla guerra civile (stavsiς) in Tucidide (III, 82)
Nei conflitti interni molti valori si
capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira[11],
quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro
significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw`n
ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n
ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente
l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia
irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
This yellow slave-will knit and break
religion- lo schiavo giallo unirà e spezzerà
religioni, bless the accursed, benedirà i
maledetti, make the hoar leprosy adored, farà adorare la lebbra
canuta, place thieves, darà posti ai ladri and give them
title, knee and approbation with senators on the bench (Timone di
Atene, IV, 3, 35-38) a darà loro titoli genuflessioni e applausi nei banchi
del senato
Dunque l’oro è "the common whore
- allied to polish kurwa lat. carus
loving diletto e costoso - of mankind, comune
bagascia del genere umano; l'universale mezzana" (IV, 3, 43) che semina
discordia tra la marmaglia delle nazioni.
In Romeo e Giulietta (1596) il
protagonista, comprando un veleno, afferma che l'oro, preso in cambio dallo
speziale, è "worse poison", un veleno peggiore, per l'anima
degli uomini. Esso "commette in questo odioso mondo più assassinî, che non
queste povere misture che tu non puoi vendere; io vendo a te del veleno, tu non
ne hai venduto a me" (V, 1).
Tibullo (1, 10, 9) attribuisce
la colpa della guerra alla brama dell'oro.
Tibullo [12] attribuisce
la colpa della guerra alla brama dell'oro:" Quis fuit horrendos
primus qui protulit enses?/Quam ferus et vere ferreus ille fuit!/ Tum caedes
hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est./An
nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille
feras?/Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus
adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1-8), Chi per primo
ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo[13] fu
quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora
più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non
ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le
belve feroci? Questa è colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una
coppa di faggio stava davanti alle vivande. Non era ancora l'età del business.
Cfr. Ovidio, Metamorfosi I,
141-142: “Iamque nocens ferrum, ferroque nocentius aurum-prodierat, prodit
bellum quod pugnat utroque”.
“Sebbene comporti le proprie
determinazioni, le proprie logiche, le proprie razionalità, la Storia è anche
irrazionale perché comporta rumori e furori, disordini e distruzioni. Si
dovrebbero far copulare Marx e Shakespeare. In effetti i tragici greci, gli
elisabettiani e, in particolare Shakespeare, hanno mostrato che le tragedie del
potere erano tragedie della passione, dell’incoscienza, della dismisura umana”[14].
Shakespeare - Euripide (Eracle)
Anfitrione in Euripide: “In virtù io,
sebbene mortale, supero te (Zeus), dio grande: infatti i figli di Eracle io non
li ho traditi. Tu sapevi entrare di nascosto nelle coltri, prendendoti i talami
altrui mentre nessuno te li dava,ma non sai salvare i tuoi cari. Sei un dio
stupido (ajmaqhvς),
oppure per natura non sei giusto (divkaioς oujk e[fuς)"(Eracle, vv. 339-347).
Cfr. anche le Nuvole e
gli Uccelli di Aristofane con Zeus donnaiolo.
“Sofocle misura la morale con la
religione[15],
Euripide invece la religione con la morale. C’è qui senza dubbio un elemento
razionale, ma non è né preminente né decisivo, è invece il sentimento morale - aijdwv~ lo chiama il greco- che si rifiuta di attribuire
agli dèi quelle azioni “che sono ignominiose per gli uomini”[16]…
La convinzione che “ci sia qualcosa di corrotto” (nosei`) nel modo in cui gli dèi governano il mondo[17] è
espressa da Euripide in tanti passi”[18].
Altrettanto fa il Pericle di Shakespeare
quando Licorida gli annunzia la morte della moglie Taisa: “O you gods!/Why
do you make us love your goodly gifts/And snatch – strappate - them
straight away? We here below – quaggiù - /Recall not what
we give, and therein may/Use honour with you” (Pericle, principe di Tiro[19], III, 1), Oh, voi
dèi! Perché ci fate amare I vostri buoni doni,
e subito ce li strappate via? Noi quaggiù non ci riprendiamo quello che diamo,
e in questo possiamo competere in onore con voi.
Taisa però verrà resuscitata
Dalla mia Metodologia
Plutarco e Shakespeare
“Per l'uomo moderno, Plutarco significa
Shakespeare"[20],
e viceversa.
Alcune tragedie di Shakespeare
(il Giulio Cesare, l'Antonio e Cleopatra, il Coriolano) dipendono
da Plutarco che il drammaturgo inglese leggeva nella traduzione (del 1579) di
Thomas North fatta su quella francese (del 1559) del vescovo Amyot il quale
tradusse pure i Moralia (1572)[21].
Nonostante la doppia traduzione ci sono, e soprattutto nel Coriolano,
situazioni e frasi che riproducono gli originali di Plutarco, tanto che Elias
Canetti in un passo[22] di La
provincia dell'uomo, afferma che " Plutarco non è affatto schizzinoso.
Nelle sue pagine accadono cose terribili, come nelle pagine del suo seguace
Shakespeare”.
Ritratto paradossale: in Shakespeare il principe Enrico dissipato e
gozzovigliatore[23],
nel 1413 diviene re saggio e capo di eserciti valorosi, simbolo della grandezza
nazionale.
Cfr. la battaglia di Agincourt del 1415
con l’appello agli happy few (Enrico V[24], IV,
3, 60).
“E’ opportuno qui riportare, non solo per
la sua grazia ma anche per la sua profondità, un passo celebre in cui
Shakespeare cerca di spiegare come grandi qualità potessero celarsi nel
principe libertino (Enrico V, atto II, scena prima):
The strawberry
grows underneath the nettle,/ And wholesome berries
thrive and ripen best/Neighbour’d by fruit of baser quality:/And so the prince
obscur’d his contemplation/Under the veil of wildness; which, no doubt,/Grew
like the summer grass, fastest by night,/Unseen, yet crescive in his faculty”. E’ il vescovo di Ely che parla.
La fragola cresce sotto l’ortica e le bacche salutari prosperano e maturano
meglio in compagnia di frutti di qualità inferiore: così il principe celò il
suo spirito di osservazione sotto le apparenze del libertinaggio, e questo
spirito senza dubbio deve aver fatto come l’erba estiva che cresce di notte non
vista, ma proprio allora più soggetta alla forza di sviluppo che le è insita.
E’ probabile che Shakespeare non
debba nulla alla tradizione antica del ritratto “paradossale” di tipo
“petroniano”[25].
Al “paradosso” della compresenza di vizi e virtù egli aggiunge un altro
“paradosso”, secondo cui il vizio può essere condizione favorevole alla segreta
crescita della virtù; chi mai nell’antichità avrebbe potuto accettarlo? Non è
poca cosa, comunque, che storici antichi quali Sallustio e Tacito avessero
messo a fuoco il problema: il loro travaglio di pensiero, che coglie le
contraddizioni di una realtà sempre più ricca ed oscura, non li porta troppo
lontano dal genio del poeta moderno”[26].
La Penna inserisce in questa lista
anche Silla, Catilina, Cleopatra, Otone e altri.
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M. Zambrano, L'uomo e il divino, Edizioni Lavoro, Roma,
2001. p.65 n. 9.
[2] Cfr. Maurizio
Bettini su Bruto (ossimoro vivente), Le orecchie di Hermes,
Einaudi, Torino, 2000 p. 86.
[12] Nato a Gabii o a Pedum, nel Lazio rurale fra
il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è
giunto il Corpus tibullianum, tre libri di elegie. Sono sicuramente
e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne,
Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un'
antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus
atque elegans maxime…auctor (Institutio oratoria, X, 93), l'autore
più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i
Greci.
[13] Cfr. Erodoto:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou
sivdhro" ajneuvrhtai" (I, 68, 4), il ferro è stato
inventato per la rovina dell'uomo
[15] Possiamo indicare
una parentela spirituale tra Sofocle e Tolstoj che in Guerra e pace (p.
1607) scrive:" Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo,
non esiste nulla di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è
semplicità, bene, verità".
[20] Mazzarino, op. cit., p.
138. L'autore continua così: "significa Robespierre e Verginaud e Danton;
solo uno storico di razza (sia pure uno storico moralista, storico dell' ethos
di grandi individui) poteva trasmetterci l'eredità classica, in quanto eredità
di tradizione storica, in maniera così rilevante e decisiva.
[21]Traduzioni approvate, da
Montaigne che, qualche anno più tardi, scrive nei Saggi :" Io
do giustamente, mi sembra, la palma a Jacques Amyot su tutti i nostri scrittori
francesi, non solo per la semplicità e la purezza del linguaggio, nella quale
supera tutti gli altri, né per la costanza di un così lungo lavoro, né per la
profondità del suo sapere, poiché ha potuto volgarizzare così felicemente un
autore tanto spinoso...ma soprattutto gli sono grato di aver saputo discernere
e scegliere un libro tanto degno e tanto appropriato per farne dono al suo
paese. Noialtri ignoranti saremmo stati perduti se questo libro non ci avesse
sollevato dal pantano; grazie a lui, osiamo ora e parlare e scrivere; le
signore ne dànno lezione ai maestri di scuola; è il nostro breviario"(II,
4, pp. 467-468).
[23] Cfr.
Dostoevskij, I demoni: “tutto ciò somigliava alla giovinezza del
principe Harry che gozzovigliava con Falstaff” (p. 43). Lo dice Stepan
Trofimovič a Varvara Petrovna a proposito del
figlio di lei e allievo di lui Nikolaj Stavrogin
[25] Egli, ossia
Petronio, premette Tacito (Annales, XVI, 18), di giorno dormiva mentre passava
la notte tra i doveri e i piaceri della vita, e come gli altri dall'operosità,
quest'uomo era stato portato alla rinomanza dall'indolenza "habebaturque
non ganeo et profligator, ut plerique sua haurientium, sed erudito luxu",
ed era considerato non un dissoluto o un dissipatore, come i più tra quelli che
sperperano le proprie fortune, ma uno dalla voluttà raffinata.
Petronio aveva scelto lo stile della semplicità:" Ac dicta factaque
eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto
gratius in speciem simplicitatis accipiebantur” le sue parole e i suoi atti
quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più
piacevolmente erano presi come segno di semplicità- Insomma, come nel caso di
Sofronia della Gerusalemme liberata, "le negligenze sue sono
artifici" (II, 18).
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