NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 30 dicembre 2018

La passione del potere. La vanità del potere. Parte 4


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“La via indicata da Tacito per servire bene la patria sotto i tiranni ed evitare nello stesso tempo l’abrupta contumacia e il deforme obsequium doveva apparire l’unica giusta a molti intellettuali di rilievo, convinti ormai della necessità della monarchia, anche quando conservavano qualche traccia del repubblicanesimo umanista… Come grandi esempi di vita operosa e gloriosa sotto la tirannia sono richiamati Germanico e Seneca; il richiamo di Seneca va notato, perché il filosofo si ritroverà poi altre volte accanto a Tacito come ispiratore della medesima scelta morale e politica”[1].

La tendenza all’incesto e la zoppia del tiranno
Il despota teme chi gli sta sopra[2] anche solo fisicamente: "Edipo uccide il padre che, dall'alto del suo carro, precipita allo stesso suo livello (...) Come Edipo che colpendo Laio con il suo bastone lo fa cadere dall'alto del suo carro a terra, ai suoi piedi, Periandro falcia e abbatte tutti coloro la cui testa supera di poco quella degli altri. E in secondo luogo le donne. La tradizione greca fa di Periandro, modello del tiranno, un nuovo Edipo. Egli avrebbe, in segreto, consumato l'unione sessuale con la madre Krateia[3] (...) Ma la tirannide, sovranità claudicante, non può procedere a lungo nel suo successo. L'oracolo, che aveva dato via libera a Cipselo per aprirgli la porta del potere, aveva fissato, fin dall'inizio, il termine al di là del quale la discendenza di Labda, non diversamente da quella di Laio, non avrebbe avuto il diritto di perpetuarsi. "Cipselo, figlio di Eezione, re dell'illustre Corinto" aveva proclamato il dio; ma per aggiungere subito:"lui e i suoi figli, ma non più i figli dei suoi figli"[4]. Alla terza generazione, l'effetto della "pietra rotolante" uscita dal ventre di Labda non si fa più sentire [5]. Per la stirpe dei claudicanti, istallati sul trono di Corinto, è venuto il momento in cui il destino vacilla, precipita, sprofonda nella sventura e nella morte"[6].
Nei Sette a Tebe di Eschilo, il Coro ricorda gli antichi mali, ossia l’antica trasgressione dalla rapida pena che perdura fino alla terza generazione palaigenh' ga;r levgw - parbasivan wjkuvpoinon- aijw'na d j ej" trivton mevnei (742-744)

A proposito della zoppìa del tiranno, Periandro era figlio di Cipselo, nato da una Bacchiade zoppa (cwlhv, V, 92 b), Labda[7], che nessun membro di questa oligarchia dominante Corinto voleva sposare. La sposò invece uno di origine Lapita, Eezione il quale, siccome non nascevano figli, andò a interrogare l'oracolo di Delfi. La Pizia rispose che Labda era già incinta e avrebbe partorito un masso rotondo[8] che si sarebbe abbattuto sui governanti punendo Corinto.
Zoppicante è anche the bloody king (IV, 3), il re sanguinario di Shakespeare, Riccardo III il quale si presenta dicendo di essere:"so lamely and unfashionable/That dogs bark at me, as I halt by them "(I, 1), così claudicante e goffo che i cani mi latrano contro quando gli passo vicino arrancando.
E' questa una zoppia che rende malata tutta la sua terra secondo il tovpo" che risale a Omero ed Esiodo: un cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo, come i figli e i fratelli della regina, e se costoro non governassero ma fossero governati "this sickly land might solace as before " (II, 3), questa terra malata[9] potrebbe avere ristoro come prima.
Anche il cielo viene ammorbato dal capo malato
Così l'Oedipus di Seneca: “fecimus caelum nocens” (36).
Altrettanto pensa lo zio di Amleto, Claudio che ha assassinato il fratello : “Oh, my offence is rank-rancidus-, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.

La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor country… it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile - meidiavw - ; where sighs, and groans, and shrĭeks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso.
E' il nobile Ross che parla.

Nel Riccardo III Lady Ann dice a Riccardo che si appresta a corteggiarla: “Foul devil-diabolus. - diavbolo" the slanderer, for God’s sake hence, and trouble-turbula dimin. of L. turba a crowd. us not;-For thou hast made the happy earth thy hell,-Fill’d with cursing cries-quiritare, literally to implore the aid of the Quirites or Roman citizens (Varro) and deep exclaims” (I, 2), sconcio demonio, per amor di Dio, via di qui e non darci pena; perché tu hai fatto della terra felice il tuo inferno, riempito con urla di maledizione e profondi gemiti.
Dopo una battuta corteggiante di Riccardo, Anne rincara la dose chiamandolo “diffus’d infection of a man”, infezione di uomo diffusa.

Macbeth inciampa nel meccanismo del potere che è una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare:"That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap (over-super- uJpevr-) For in my way it lies " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada.
Diversi tiranni in conclusione hanno qualche cosa di zoppo: Cipselo e Periandro in quanto discendenti da Labda, Edipo poiché ha avuto i piedi perforati[10].
Anzi, se consideriamo con attenzione la prima antistrofe del secondo stasimo dell'Edipo re di Sofocle vediamo che tutte le tirannidi sono zoppe: "la prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/ se si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni e non convengono (mhde; sumfevronta)[11]/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw/-crh'tai "(vv. 873-879). Non solo il tiranno è zoppo e scivola, ma anche i suoi decreti.
Antigone non obbedisce ai khruvgmata di Creonte, ma alle leggi della coscienza e degli dèi che, viceversa, sono a[grapta kajsfalh' (Antigone, v. 454), non scritti e non vacillanti.

Il tiranno è ignobile, servile e impotente
 La letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che esulta per la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal padre ignobile;
 a Platone che certamente non risparmia biasimi al turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov".. ejrwtikov".. melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e), della massima servilità e schiavitù e adulatore degli uomini più malvagi.
 Questa considerazione che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà sostiene che" l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere" (p. 144).

Metus tyranni: genitivo soggettivo e oggettivo
Il tiranno fa paura, come affermano la nutrice di Medea (119 sgg.), e Antigone a proposito della sottomissione dei Tebani a Creonte (vv. 502-507) , ma il metus tyranni è genitivo soggettivo e oggettivo, ossia il despota vive circondato dal fovbo" : fa paura e ne ha.
Un doppio ruolo sintetizzato bene da Creonte nell'Oedipus di Seneca:" Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem redit " (vv. 703-704), chi tiene crudelmente lo scettro con dura tirannide, teme quelli che lo temono; la paura ricade su chi la incute.

In forma meno sintetica Cicerone fa la stessa denuncia nel De officiis: “Qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est” ( II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è inevitabile che essi stessi temano quelli dai quali saranno temuti. Cicerone fa gli esempi di Dionigi il vecchio di Siracusa e di Alessandro tiranno di Fere il quale sospettava perfino della moglie, non a torto del resto poiché questa era un’altra furente che infino lo uccise “propter pelicatus suspicionem (II, 25), per sospetto di adulterio.
La conclusione di Cicerone è. “Nec vero ulla vis imperii tanta est, quae premente metu possit esse diuturna”, non c’è nessuna forza di potere tanto grande che possa essere durare a lungo sotto la pressione della paura.

La paura che il tiranno ha dei migliori è stata messa in evidenza anche dal cesariano Sallustio:"Nam regibus boni quam mali suspectiores sunt, semperque iis aliena virtus formidulosa est "[12], infatti ai re sono più sospetti i valenti che gli inetti, e la virtù degli altri per loro è sempre motivo di paura.
 Si ricordi ancora il formidolosum dell'Agricola (39) di Tacito.

 Nell'Edipo re di Sofocle il tiranno di Tebe teme complotti e chiama Creonte "lh/sthv" t j ejnargh;" th'" ejmh'" turannivdo"" (vv. 535), ladro evidente della mia tirannide. Il cognato più avanti ribatte che preferisce riposare tranquillo piuttosto che comandare con paura ("a[rcein... xu;n fovboisi", v. 585).
Perfino Eteocle delle Fenicie , il teorico del valore assoluto del potere, rivolge una preghiera a eujlavbeia, cautela, invocata come crhsimwtavth qew'n, (v. 782), la più utile delle dee.
"La paura e la diffidenza appaiono dunque connaturate al tiranno"[13].


CONTINUA



[1]  La Penna,Aspetti del pensiero storico latino, p.  231 e 232.
[2]  Cfr. " formidolosum… supra principem attolli "  di Tacito, citato sopra.
[3]  Diogene Laerzio, I, 96. “Aristippo nel primo libro Sulla lussuria degli antichi dice che sua madre Crateia era innamorata di lui e a lui si univa di nascosto e che egli se ne compiaceva. Divulgatasi la notizia, si addolorò per essere stato scoperto e divenne severissimo con tutti”. L’opera del III sec. a. C. è falsamente attribuita ad Aristippo. Si intitolava   jArivstippo~ peri; palaia`~ trufh`~, ed era un pamphlet scandalistico scritto per  dimostrare che i filosofi, soprattutto gli Academici, erano altrettanti Aristippi.  Per la tendenza all’incesto del tiranno si ricordino anche i rapporti  tra Nerone e Agrippina. Ndr.
[4] Erodoto, V, 92, e 8-9.
[5]  Erodoto, V, 92, e 2. Così le streghe del Macbeth  promettono il regno al signore di Glamis, ma la successione ai figli di Banquo (I, 3).
[6] Vernant e Vidal-Naquet, Mito e tragedia due , pp. 39,  48 e 49.
[7]  Cfr. Edipo nipote di Labdaco
[8]  Erodoto, V, 92 b 2
[9] Cfr la scheda “Dalla salute del re dipende quella del suo popolo e della sua terra”, in Medea, a cura di Giovanni Ghiselli, Cappelli,  pp.  135ss  
[10] Edipo re , 1034, e Rane , 1192.
[11] Queste parole possono smontare l’utile perseguito da Giasone.
[12] De Catilinae coniuratione , 7.
[13] D. Lanza, op. cit., p. 47.

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