Molto
diverso è il Cesare del De
bello civili.
Nella
sua opera sulla Guerra
civile Cesare
non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei
ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11
gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor
oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non
è il Cesare del Bellum
civile,
ma il Cesare delle Historiae scritte
dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio
Pollione.
Nel
suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni
storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in
un’arringa ai soldati (B.
C.
I, 7)”[7].
Insomma la
più famosa fanfaronata di Cesare non ce l’ha raccontata lui
stesso.
Ne De
bello civili, Caesar
apud milites contionatur ,
e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum
exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque
opprimeretur”
(I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi.
Perfino
Silla che aveva spogliato la tribunicia
potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse.
Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.
“Asinio,
che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e
tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”,
dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore
ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione
suprema”.
Il
racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi[8].
“Tra
il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello
di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso
il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo
nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore
“tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i
momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di
Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più
adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è
però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione
politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[9].
Cesare
“Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo
cuore disponesse della sua testa”[10].
Quindi
il ductor impiger mette
in marcia l’esercito già nella notte minax
invadit Arimīnum mentre si
fa giorno. Però maestam
tenuerunt nubila lucem (I,
235).
La
negazione della luce
Leggiamo
i primi cinque versi dell’Oedipus di
Seneca:"Iam
nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida
exoritur iubar,
/lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste
solatas domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies "
(vv. 1-5), già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo
splendore spunta cupo da una nuvola sporca, e, portando una luce
afflitta con fiamma luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida
peste, e la strage che la notte ha compiuto la farà vedere il
giorno.
Il
sole incerto dallo splendore cupo (moestum
iubar),
la luce afflitta (lumen
triste)
e la fiamma luttuosa (flamma
luctifica)
significa il capovolgimento della natura. La luce che vivifica e
rallegra è capovolta a fiaccola mortuaria che mette in mostra una
strage.
Quindi stridor
lituum lo stridore delle trombe
ricurve clangorque tubarum e
il clangore di quelle diritte e con il raucum
cornu emisero insieme squilli
non pii non pia classica.
I Riminesi si preparano a combattere ma prendono scudi disfatti,
giavellotti dalla punta piegata, “et
scabros nigrae morsu robiginis enses”
243) spade ruvide per il morso della ruggine nera.
Lamentano
la loro posizione di confine e il dovere Latii
claustra tueri (253) custodire
la serratuta del Lazio. Hāc
est iter bellis, di qui passa la
strada per la guerra. Ma non osavano palesare la paura, nello stesso
modo rimangono silenziosi i campi volǔcres
cum bruma coercet (259) quando
la bruma chiude la gola agli uccelli.
Cfr.
Eschilo, Agamennone:
“ceimw'na
dj eij levgoi ti" oijwnoktovnon (563),
e se qualcuno dicesse dell’inverno che uccide gli uccelli.
La
fortuna fa apparire giusti i movimenti di Cesare: il Senato con
il senatus consultum
ultimum del 7 dicembre del 50,
agitando il fantasma dei Gracchi, aveva cacciato da Roma divisa in
due i tribuni Marco Antonio e Cassio Longino.
Curione lingua
venali,
dall’oratoria che si vende[11],
li porta da Cesare. Quindi consiglia al duce “tolle
moras semper nocuit differre paratis”
(281).
Dante
lo mette tra i seminatori di discordia (cerchio VIII, bolgia IX)
“Questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare /affermando che
’l fornito sempre con danno l’attender sofferse” (Inferno 28,
97-99). Più sintetico (e bravo) Lucano
A
Roma non ti aspetta il trionfo dice Curione: livor
edax tibi cuncta negat (288),
il livore ingordo ti nega tutto. Partiri
non potes orbem-, solus habere potes (290-291)
Cesare
ne ricevette incitamento come il destriero che a Olimpia sente la
folla che acclama.
Discorso
di Cesare
Il
duce radunò l’esercito,… tumultum
“composuit vultu dextraque silentia iussit”
298 e disse “bellorum socii, qui
mille pericula Martis-mecum, ait, experti, decimo iam vincitis anno”
(299-00), sono già dieci anni che vinciamo insieme
cfr.
Dante Inferno XXVI,
112-113: o frati, dissi, che per cento milia-perigli siete giunti
all’occidente”
A
Roma ci danno la caccia. Terra
marique-iussus Caesar agi (306-307)
si è ordinato di dare la caccia a Cesare.
Veniat
longa dux pace solutus-Pompeo sfatto
da una lunga pace. milite cum
subito, con soldati
raccogliticci, Marcellusque
loquax et nomina vana Catones (313),
il chiacchierone Marcello e i nomi inconsistenti dei Catoni.
I
fautori di Pompeo sono extremi empti
clientes dei clienti di infimo
grado sociale, comprati. Pompeo intimidiva i giudici con i soldati.
Quando
Milone (nel 52) era accusato dell’assassinio di Clodio, le insegna
di Pompeo lo circondarono per difenderlo pompeiana
reum clauserunt signa Milonem (I,
323).
Ancora bella
nefanda parat suetus civilibus armis-et docilis Sullam scelerum
vicisse magistrum (325) Pompeo
ha imparato facilmente a superare superato il maestro di
delitti. Nullus sanguis semel
ore receptus patitur pollutas fauces mansuescere (30-31)
Invece
non hai imparato da Silla a lasciare il potere (lo fece nel 79).
Hai
sconfitto i vagabondi della Cilicia (i pirati nel 67), hai combattuto
contro Mitridate già sconfitto da Lucullo (nel 69) poi ucciso dal
veleno. (morì suicida nel 63.)
I
veterani di Cesare non vengono ricompensati mentre si avvicina
la exanguis
senectus (343). Tollite
iam pridem victricia, tollite signa-viribus utendum est quas
fecimus (347-348), alzate le
insegne da tempo vincitrici, dobbiamo servirci delle forze messe
insieme.
Detrahimus
dominos urbi servire paratae (351),
tiriamo giù i padroni dalla città già pronta ad asservirsi.
I
soldati rimangono incerti dubium
vulgus tra l’amore per la
patria e quello crudele per il ferro. Poi c’è la paura del duce
che li condiziona.
Quindi
parla il centurione Lelio con la corona di foglie di quercia.
Anche
lui spinge Cesare alla guerra. Lo seguirà ovunque-“iussa
sequi tam posse mihi quam velle necesse est” (372).
Sono
disposto, se me lo comandi a immergere la spada plenae in
viscera partu/ coniugis (377-378)
sono pronto anche a distruggere Roma. Tutte le coorti approvarono
alzando le mani.
Si
levò al cielo un clamore grande quanto quello del Tracio Borea che
piega i pini dell’Ossa. Cesare vedendo bellum
acceptum tam prono milite, fataque
ferre videt vede che il destino
lo porta avanti e decide di muoversi, ne
quo languore moretur fortunam, per
non ritardare la fortuna con qualche fiacchezza (392-394) .
Tutte
le truppe ausiliarie vennero convocate: dai Batāvi
truces ai Liguri.
Bardi
e Druidi che hanno celebrato i loro eroi morti e richiamano in vigore
i loro riti barbarici e la consuetudine di sacrifici sinistri. I
popoli settentrionali non hanno paura della morte quos
ille timorum maximus
haud urguet, leti metus (460)
poiché mors media est longae
vitae, la morte è un intervallo di
una vita lunga et ignavum
rediturae parcere vitae (462) è
da vili risparmiare una vita che tornerà.
CONTINUA
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