NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 16 dicembre 2018

Panezio. Parte II



Plutarco racconta che Tiberio appena eletto dhvmarco", nel 133, si dispose alla realizzazione della riforma agraria spinto dal retore Diofane esule da Mitilene e dal filosofo Blossio che era di Cuma e a Roma avevafrequentato Antipatro di Tarso (8, 6)
Andando in Campidoglio, Tiberio incespicò nel terreno spezzandosi l’unghia di un alluce e perdendo sangue, poi si videro su un tetto a sinistra dei corvi che si azzuffavano (w[fqhsan ujpe;r keravmou macovmenoi kovrake" ejn ajristera'/, 17, 4) e fecero cadere una pietra ai piedi di Tiberio. Questi brutti segni spaventarono perfino i più audaci della sua scorta, ma Blossio di Cuma disse che sarebbe stata aijscuvnhn kai; kathvfeian pollhvn, una grossa vergogna e umiliazione se Tiberio, figlio di Gracco e della figlia dell’Africano, kovraka deivsa" (17, 5) per paura di un corvo, non avesse ascoltato i cittadini che lo chiamavano
Tiberio poi venne ucciso dai reazionari guidati da Scipione Nasica che aveva chiesto un senatus consultum ultimum la cui formula è videant consules ne quid res publica detrimenti capiat . Il decreto formale non ci fu e Nasica procedette privatus ut si consul esset (Cic. Tusc. IV, 23, 51)
 Il cadavere di Tiberio fu gettato nel fiume con quelli dei seguaci. Venne costituita una sezione speciale del tribunale quaestio extraordinaria per giudicare i suoi seguaci superstiti. L’oratore Diofane fu arrestato e ucciso, Blossio portato davanti ai consoli rispose di avere obbedito a Tiberio. Nasica gli chiese che cosa avrebbe fatto se Nasica gli avesse ordinato ejmprh'sai to; Kapetwvlion
 (20, 6), di incendiare il Campidoglio. Blossio rispose che mai gliel’avrebbe ordinato, ma, nel caso, l’avrebbe fatto poiché gli ordini di Tiberio erano dati nell’interesse del popolo. Blossio non fu incriminato e andò in Asia presso Aristonico figlio naturale di Eumene II di Pergamo e fratellastro del re lunatico Attalo III che aveva lasciato il regno in eredità al popolo romano. Aristonico lo rivendicò, ma venne sconfitto da Perpenna nel 130. 

Carneade nella sua orazione del 155 aveva detto che l’imperialismo romano era la prova che nei rapporti tra Stato e Stato decide soltanto la forza, non il diritto (cfr. il dialogo Ateniesi Meli in Tucidide V)

Panezio invece, seguendo Aristotele, scrisse che per certi popoli è necessario e utile essere governati da un popolo superiore e che questo con i suoi governanti aveva la responsabilità morale di elevare i soggetti. (p. 417).

Plutarco "raccomanda, nei suoi Precetti politici (composti non molto dopo la morte di Domiziano[5]) di non insuperbirsi per le corone vedendo i calzari dei Romani che sono al di sopra del tuo capo"(813E)".

 Il discorso di Lelio in Cicerone Rep. III 45 dipende da Panezio che prende le mosse contro l’egoismo di Epicuro.
Lelio nega che esista uno Stato quando c’è una tirannide, sia questa di un un despota o dei decemviri, come ci fu a Roma, o della folla (multitudo) che non obbedisce alle leggi: “est tam tyrannus iste conventus quam si esset unus, hoc etiam taetrior, quia nihil istā, quae populi speciem et nomen imitatur, immanius beluā est” (III, 45)
Cfr. l’oclocrazia in Senofonte, Platone e Polibio.

Panezio celebra anche la gioia di vivere che gli veniva dal fatto che la sua vita era conforme alla sua natura e agiva per il bene proprio e dei suoi simili. La morte e le malattie non lo angosciavano perché sapeva che sono processi naturali e sapeva che la sorte non poteva togliergli niente di quanto aveva dentro di sé.
Seneca: “age gratias pro his quae accepisti” (De ira III, 31).

Panezio non aveva bisogno di onorare gli dèi in feste o santuari poiché per lui il più savro dei santuari è il cosmo e ogni giorno va celebrato come un dì i festa (p. 419).
Scrisse un Peri; eujqumiva", Sulla letizia, ripresa da Plutarco (Moralia, 30).
Seneca, De ira II, 6, 2: “Gaudere laetarique proprium et naturale virtutis est; irasci non est ex dignitate eius, non magis quam maerere: atqui iracundiae tristitia comes est”.
Cfr.Strabone : essere felici secondo questo geografo dell'età di Augusto, è un atto di pietas :"gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene, ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici  eâ mn g¦r e‡rhtai kaˆ toàto, toÝj ¢nqrèpouj tÒte m£lista mime‹sqai toÝj qeoÝj Ótan eÙergetîsin· ¥meinon d' ¨n lšgoi tij, Ótan eÙdaimonîsi[6].
 Infernale è colpevole allora può essere considerata l'infelicità:" E' una vergogna essere infelici. E' una vergogna non poter mostrare a nessuno la propria vita, dover nascondere e dissimulare qualcosa"[7].

Panezio era volto alla vita e fece sparire dalla dottrina gli aspetti che mortificano la vita. La dialettica cavillosa, la minuta casistica, la mantica e l’astrologia pseudoscientifiche, la riduzione della natura umana alla ragione. Col suo sentire ellenico Panezio comsidera l’uomo nella sua integrità di anima e corpo e fonde il sentimento etico con la sensibilità estetica nel culto del bello morale. Dà importanza non solo al logos ma anche alla aisthesis. Riprese Platone, Aristotele ed ellenizzò la Stoà. Inoltre la avvicinò alla classe dominante che reggeva le sorti dell’Occidente. La sua opera Sulla Provvidenza costituì la base della teologia stoica della quale si nutrirono pure i Cristiani.
Ma lo stoicismo più avanti seguirà strade nuove

Continua




[5] Avvenuta nel 96 d. C.
[6] Strabone (64 ca a. C.-24 ca d. C.), Geografia, X, 3, 9.
[7] H. Hesse, Rosshalde (del 1914), p. 78.

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