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mercoledì 19 dicembre 2018

Il potere della passione. Parte 2


Medea e la nutrice
Roma, Teatro Ghione, 15-24 marzo 2016


Il potere della passione

Seconda parte del percorso che presenterò nel liceo Aldo Moro di Manfredonia durante la notte dei licei, 11 gennaio 2019


Il prevalere della passione. Il potere della passione (pagine 1-14)





Il potere dà, tra le altre, la possibilità di scatenare le passioni, anche quelle non buone come l’ira che prelude alla furia.

Sentiamo la nutrice di Medea, la madre furente.

Nutrice
Ahimé, ahimé, ahi sventurata.
In che cosa secondo te i figli hanno parte
della colpa del padre? Perché li odi? Ahimé,
figli, come sono angosciata per timore che abbiate a soffrire qualcosa!
Terribili sono le volontà dei potenti e poiché di rado deina; turavnnwn lhvmata kai; pw"
come che sia, sottostanno, e spesso spadroneggiano, ojlivg j arcovmenoi , polla; kratou'nte"
difficilmente elaborano le ire calepw'" ojrga;" metabavllousin
Infatti essere abituati a vivere in condizione di uguaglianza,
 è meglio: a me dunque sia concesso invecchiare,
fuori dalla grandezza,  in stato di sicurezza appunto.
In primo luogo infatti già dire il nome della misura
è un successo, farne uso poi è di gran lunga
la cosa migliore per i mortali; invece quello che eccede
non significa nessuna occasione buona ai mortali,
anzi ripaga con più gravi sciagure
quando insorge l'ira di un dio contro una stirpe (Euripide, Medea, 115-130)

Gli impulsi irrazionali sono comunque  fortissimi

Il temperamento di Medea può confutare il presunto razionalismo di Euripide, quello che Nietzsche chiama "socratismo estetico, la cui legge suprema suona a un dipresso:"Tutto deve essere razionale per essere bello", come proposizione parallela al principio socratico :"solo chi sa è virtuoso"[17].  
Un'altra confutazione della supposta[18] sintonia e complicità tra Euripide e Socrate[19] la fornisce Fedra, nell'Ippolito, quando  dice:"bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk ejkponou'men: il bene topicamente costa povno" , fatica) , alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E  sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo[20], (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza (aijdwv" te, una forma brutta di aijdwv" ) "(vv.379-385).
" Conosciamo il bene, ma non lo facciamo”, diceva la Fedra di Euripide. Questa conoscenza Socrate cerca di rendere più solida, per conferirle così la forza dell'obbligatorietà"[21]. Una forza che Fedra non possiede.

 Anche questa situazione ha un'eco nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea, pochi versi dopo quelli citati sopra, aggiunge:"sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/, deteriora sequor! quid in hospite, regia virgo,/ureris et thalamos alieni concipis orbis?" (VII, vv. 19-22), ma contro voglia mi trascina una forza mai sentita, altro consiglia il desiderio, altro la mente: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio! Perché ragazza, figliola di re, ti infiammi per uno straniero, e desideri il talamo di un mondo estraneo?
Un'eco precisa dei vv. 20-21 si trova alla fine della Canzone XXI del Petrarca:"cerco del viver mio novo consiglio;/e veggio 'l meglio et al peggior m'appiglio" (Il Canzoniere CCLXIV, vv. 135-136).

Nelle Heroides Medea  alla fine della sua Epistula Iasoni  dichiara:"Quo feret ira sequar. Facti fortasse pigebit " (Heroides , XII, 211), andrò dove mi porterà la rabbia. Forse mi pentirò del misfatto. Un pentimento presofferto ma non evitabile dal momento che la parte emotiva prevale su quella razionale e pure su quella etica.

In un distico dei Remedia Amoris [22]  Ovidio afferma in prima persona che la propria fedeltà al dio Amore rimane comunque,  e aggiunge che le sue teorie di maestro erotico se pure sono razionali,  hanno un fondamento passionale: "Quin etiam docui, qua posses arte parari,/et, quod nunc ratio est, impetus ante fuit" (vv. 9-10), anzi ho perfino insegnato con quale arte ti si possa conquistare, e quella che è ora una teoria, prima fu slancio.

"Euripide… non fu precisamente il razionalistico "poeta dell'illuminismo greco". Fu il poeta che meglio di ogni altro seppe ascoltare i moti più segreti del cuore umano e avvertì in tutta la loro gravità i conflitti che ora ne scaturivano. Il desiderio di vendetta di Medea emerge dalle insondabili profondità della sua anima, e appena arriva alla soglia della coscienza ha inizio nell'intimo del personaggio una dura, inesorabile lotta, in cui la ragione e l'amore materno soccombono alla passionalità del qumov" . La vita ha insegnato ad Euripide che noi abbiamo in genere chiara coscienza del bene, ma non lo attuiamo perché gli impulsi irrazionali sono più forti"[23].

Teognide[24] stabilisce una graduatoria tra qumov" e novo" affermando che quello la cui mente non è più forte della passione (w'/tini mh; qumou' krevsswn novo") , si trova sempre nelle disgrazie e in gravi difficoltà (Silloge, vv. 631-632).

Plutarco racconta che Alessandro Magno dopo avere distrutto Tebe perdonò gli Ateniesi che gli erano stati ostili forse poiché era già sazio nella sua ira, come i leoni (mestov~ ton;  qumovn w{sper oiJ levonte~ ( Vita di Alessandro, 13, 2). In seguito fu generoso con i Tebani sopravvissuti.

Tali impulsi del resto possono condurre all'eroismo e al nobile sacrificio di sé: si pensi a Ifigenia che supera la paura di morire e vuole farlo agendo con gloria (bouvlomai-eujklew'" pra'xai, Euripide,  Ifigenia in Aulide [25], vv. 1375-1376) gettando via la viltà. E poco dopo:"kai; ga;r oujde; toiv ti livan ejme; filoyucei'n crewvn" (v. 1385), infatti io non devo amare troppo la vita. Tanta nobiltà d'animo fa innamorare Achille, lo accende addirittura di desiderio: “ma'llon de; levktrwn sw'n povqo" mejsevrcetai-ej" th;n fuvsin blevyanta: gennaiva ga;r ei\” (vv. 1410-1411), di più mi prende il desiderio del tuo letto nuziale mirando alla tua natura: infatti sei nobile.

V. Di Benedetto mette in evidenza che la lucidità mentale dei personaggi euripidèi dà loro la  consapevolezza della potenza delle passioni e delle catastrofi conseguenti, ma non la forza di ostacolarle: "Il razionalismo euripideo presuppone, con un forte senso della realtà, il condizionamento che le passioni e in genere una situazione non modificabile dalla volontà impongono all'uomo. Fedra tenta invano di sradicare dal suo petto la passione per il figliastro, e alla fine la soluzione più razionale-l'unica possibile per lei-consiste nel prendere atto di questa situazione e porre fine alla sua esistenza. Con un procedimento non identico, ma analogo, Medea riesce con uno sforzo estremo di riflessione, a rendersi conto di essere dominata da una forza, che è capace di imporsi non solo a lei, ma in genere a tutti gli altri uomini. Il suo razionalismo consiste nel fatto che il suo intelletto riesce ad inquadrare la sua situazione personale in un contesto più ampio e a rendersi conto, con piena lucidità, dell'infelice destino a cui ella va inevitabilmente incontro, data la situazione. Una volta che il thymòs  si pone come una forza per così dire extrapersonale contro cui l'impulso dell'affetto materno è risultato vano, il"capire" si esprime nel rendersi conto della necessità a cui la situazione oggettivamente porta. Come Fedra sa che dovrà morire, così Medea sa che dovrà precipitare nella tremenda sciagura di essere l'assassina dei figli"[26].
 Hegel afferma che il pahos della tragedia greca non si trova in conflitto con la ragione: “il sacro amore di sorella di Antigone è un pathos nel senso greco del termine. Il pathos in tal senso è una potenza in se stessa legittima dell'animo, un contenuto essenziale della razionalità e della volontà libera"[27].
Sebbene comporti le proprie determinazioni, le proprie logiche, le proprie razionalità, la Storia è anche irrazionale perché comporta rumori e furori, disordini e distruzioni. Si dovrebbero far copulare Marx e Shakespeare. In effetti i tragici greci, gli elisabettiani e, in particolare Shakespeare, hanno mostrato che le tragedie del potere erano tragedie della passione, dell’incoscienza, della dismisura umana”[28].
 Si può pensare anche al tw'/ pavqei mavqo~[29] di Eschilo. L’affettività è comunque, bene o male, collegata all’intelligenza.
L’affettività interviene negli sviluppi e nelle manifestazioni dell’intelligenza. Il matematico è animato dalla passione per la matematica. Interviene anche negli accecamenti dell’intelligenza. L’affettività anima o sconvolge il pensiero, stimola o oscura la coscienza. Sapevamo che le passioni possono fuorviare, bisogna anche sapere che possono illuminare. Così è per l’amore che può mostrarsi  lucidissimo e totalmente cieco. C’è quindi non solo antagonismo ma complementarità tra la passione e la ragione”[30].

Concludo questo argomento affermando che  Euripide ha anticipato di molti secoli la scoperta che i ragionamenti spesso sono sentimenti con la maschera.
Svevo è  esplicito nell'affermare la precedenza e la prevalenza del sentimento :"Nelle lunghe ore che egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi che l'avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo ragionamento non era altro che il suo sentimento travestito"[31].
La discrepanza tra pavqo" e lovgo" , crea  dolore in Alfonso Nitti:" Ad onta di tutti i ragionamenti rimase triste. Una volta di più, così raccontava a se stesso, quel fatto gli provava l'imbecillità della vita e non pensava in questo fatto al torto di Annetta o di Macario ma al proprio, di sentire in modo strano e irragionevole" (Una vita p. 284).

Secondo H. Hesse i sentimenti devono avere la precedenza:"Di nient'altro viviamo se non dei nostri sentimenti, poveri o belli o splendidi che siano, e ognuno di essi a cui facciamo torto è una stella che noi spengiamo"[32].
 Nel romanzo  di Musil leggiamo:"Tutto ciò che si pensa è simpatia o antipatia, si disse Ulrich"[33].
Luogo simile si trova anche in La noia  di Moravia:"Ma tutte le nostre riflessioni, anche le più razionali, sono originate da un dato oscuro del sentimento"[34]
Infine un ottimo scrittore ungherese :“ Sa che cosa ha fatto? Ha cercato di cancellare il sentimento con la ragione. Come se qualcuno, con i più svariati artifici, tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non esplodere”[35].

 Leggiamo i primi versi della Medea di Euripide. Li recita il personaggio della Nutrice
Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo attraverso
le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,
e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai
il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le mani
degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello 5
tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,
Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco
sconvolta nel cuore dal desiderio (e[rwti: dativo d’agente) di Giasone (1-8).

Eros è una forza ineluttabile contraria alla ragione. Lo chiarisce  il coro dell’Antigone nel terzo stasimo: “Eros invincibile in battaglia,/Eros che sulle ricchezze ti abbatti,/che nelle morbide guance/della fanciulla trascorri la notte,/vai e vieni tanto sul mare quanto/nelle agresti dimore:/e degli immortali nessuno ti sfugge/né degli uomini effimeri;/ma chi ti possiede è impazzito (oJ d j e[cwn mevmhnen)”(vv. 781-790).

Pasolini indica un significato positivo nell’amore di Medea per Giasone: “Giasone si spoglia, e nasconde la sua pretesa e la sua incertezza dietro un sorriso di ragazzino, fiero della propria virilità. Medea lo guarda incantata, e perduta in lui. E’ un vero, completo amore ecc. In questo momento a prevalere è la virilità di Giasone.  Medea ha perso la propria atonia di bestia disorientata: nell’amore trova, di colpo (umanizzandosi) un sostituto della religiosità perduta; nell’esperienza sessuale ritrova il perduto rapporto sacrale con la realtà”[36].
Nella scena 79  Giasone dice a Medea: “E’ ora che tu ti convinca infine, chiaramente, che io devo soltanto a me stesso la buona riuscita delle mie imprese. Anche se tu non vorrai riconoscere che, se hai fatto qualcosa per me, lo hai fatto solo per amore del mio corpo”[37].
Pasolini mette in grande risalto il corpo e la corporeità di Giasone.




[17]La nascita della tragedia , capitolo XII
[18] Da Nietzsche appunto che definisce il maestro di Platone un logico dispotico:" Basta pensare alle conseguenze delle proposizioni socratiche:"La virtù è il sapere; si pecca solo per ignoranza; il  virtuoso è felice"; in queste tre forme fondamentali di ottimismo sta la morte della tragedia" (La nascita della tragedia, cap. XIV). Alla fine delle Rane di Aristofane, dopo che Dioniso ha attribuito la vittoria a Eschilo nella contesa con Euripide,  il Coro afferma che è una bella cosa non stare seduto a cianciare (lalei'n) con Socrate disprezzando la musica e trascurando la grandezza dell'arte tragica (vv. 1491-1495)
[19] Il quale nell'opera di Platone sostiene che facciamo il male per ignoranza del bene, e, se solo conosciamo il bene. non possiamo fare il male.
[20] Il piacere dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose egregie è denunciato anche da Tacito nell'Agricola:"subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3), infatti si insinua  anche il piacere della stessa passività, e alla fine si ama l'accidia dapprima odiosa.
L'ozio che fa male si trova pure nel carme 51 di Catullo:"Otium, Catulle, tibi molestum est (v.13), lo star senza far niente ti fa male, Catullo. 
[21] Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 186.
[22]  Poemetto di 814 versi (412 distici elegiaci) che appartiene al periodo conclusivo della prima parte della produzione ovidiana, quella elegiaco- amorosa che  arriva al 2 d. C. 
[23] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 624.
[24] VI sec. a. C.
[25] Rappresentata postuma nel 405 a. C.
[26]V. Di Benedetto, introd. a Euripide, Medea , Milano, 1977, p. 19.
[27] Estetica  , Tomo I, p. 306.
[28] E. Morin, L’identità umana, p. 207.
[29] Agamennone, v. 177, attraverso la sofferenza, la comprensione.
[30] E. Morin, L’identità umana, p. 105.
[31]Svevo, Una Vita , p. 239.
[32] L'ultima estate di Klingsor, p.55.
[33]Musil, L'uomo senza qualità , p. 210.
[34]Moravia, La Noia , p. 19.
[35]Sàndor Màrai, La donna giusta (del 1941), p. 78.
[36] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 507.
[37] Op. cit., p. 557

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