Shakespere, Giulio Cesare (1599-1600)
Cesare
dice ad Antonio: “Let
me have men about me that are fat/sleek-headed men, and such as sleep
a-nights.-Yond Cassius-has a lean and hungry look;/he thinks too
much; such men are dangerous”,
grassi con la testa curata e che dormano la notte ( Giulio
Cesare, I,
2, 191-194), quel Cassio ha l’aria dello snello affamato; pensa
troppo; uomini del genere sono pericolosi.
Quindi Cesare
aggiunge: Would he
were fatter” (I, 2),
vorrei che fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore,
sa scrutare. Non lo temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore,
non conosco uomo che eviterei più prontamente di quell’asciutto
Cassio as that spǎre
Cassius. Tra
l’altro he loves no
plays, as tou dost, Antony; he hears no music.
Forse
anche Cassio la considera “politicamente sospetta”, come
Settembrini di T. Mann
Disse
che non gli piaceva ascoltare la musica a comando e quando puzzava di
farmacia e veniva inflitta per ragioni sanitarie.- La musica è
qualcosa di non completamente articolato, di ambiguo, di
irresponsabile, di indifferente. Nutro nei confronti della musica
un’avversione politica: l’ho in sospetto di quietismo.
Settembrini è un cultore della parola doppiamente articolata in
significanti e significati.
La musica
deve essere preceduta dalla letteratura. Da sola è pericolosa e non
fa progredire il mondo. E’ ambigua e politicamente sospetta
Del
resto Platone nella Repubblica sostiene che
l’educazione deve constare di ginnastica e musica perché il
ragazzo non rimanga più molle o più rozzo del necessario. (tou'
devonto").
Cesare
non teme Cassio anche se Cassio è da temere: I
rather tell thee what is feared-rather than I fear; for always I am
Caesar (I,
2, 197)
Cfr. Medea
superest ( Seneca, Medea, v. 166) , e I
am Antony yet ( Antonio e Cleopatra III,
13)
Sentiamo
Plutarco. Cesare sospettava di lui. Una volta disse agli amici: “ tiv
faivnetai boulovmenoς uJmi'n
Kassioς ; ejmoi;
me;n ga;r ouj livan ajrevskei, livan wjcro;ς w[n”
(Vita
di Cesare,
62, 10), che cosa vi sembra che Cassio mediti? A me infatti non piace
troppo, è troppo pallido.
Un’altra volta
che sentì accusare di sedizione Antonio e Dolabella, Cesare disse:
“ouj pavnu
touvtouς devdoika
tou;ς pacei'ς kai;
komhvtaς , ma'llon
de; tou;ς wjcrou;ς kai;
leptou;ς ejkeivnouς”,
Kavssion levgwn kai; Brou'ton (62,
10), non ho paura di questi che sono grassi e con i capelli curati,
ma piuttosto di quelli pallidi e magri, intendendo Bruto
e Cassio.
Lo
stesso concetto, con parole non tanto diverse scrive Plutarco
nella Vita di
Bruto (8,
2): kai;
prw'ton me;n j Antwnivou kai; Dolobevlla
legomevnwn newterivzein, oujk e[fh pacei'" kai;
komhvta" ejnoclei'n aujto;n ajlla; tou;" wjcrou;"
kai; ijscnouv" ,
di Antonio e Dolabella si diceva che complottavano, e Cesare disse
subito che non lo turbavano gli uomini grassi e capelluti ma quelli
pallidi e snelli
All’inizio
del II atto, Bruto dice: th’abuse of greatness is when
it disjoins-disiungo- remors from power, l’abuso
della grandezza avviene quando essa disgiunge la pietà dal potere
(Giulio Cesare, II, 1, 18-19).
Cfr.
l’ Aiace di Sofocle quando Odisseo dice
che non odia più il nemico morto, lo faceva quando odiarlo era cosa
nobile in quanto Aiace era nemico “ [egwg
j ejmivsoun d’ hJnivk j h\n misei'n kalovn (1347).
Agamennone
risponde: to;n toi tuvrannon
eujsebei'n ouj rJa/dion” 1350), non è facile che un uomo di
potere abbia pietà.
Quanto
alla citazione manzoniana tratta dal “barbaro che non era privo
d’ingegno” (“tra il primo pensiero d’una impresa terribile, e
l’esecuzione di essa l’intervallo è un sogno pieno di esecuzione
e di paure VII cap,), l’inglese di Shakespeare in certi momenti è
più vicino al latino di quanto lo sia l’italiano di Manzoni il
codificatore della lingua media scritta: “between
the acting (ago, actus) of a dreadful thing
and the first motion (cfr. motio e motus), all
the interim (cfr l’avverbio
latino interim=nell’intervallo) is
like a phantasma (greco favntasma, lat phantasma) or
a hideous (lat. hispidus) dream, orrendo
sogno (Giulio Cesare, II, 1, 63-65)
E’
Bruto che ha parlato a se stesso.
Entrano
poi altri congiurati e decidono di tenere fuori Cicerone
Bruto
dice che non seguirà mai una cosa iniziata da altri, e Casca:
“indeed he is not fit”-factus (II,
1, 153) non è adatto.
Plutarco racconta che
a Cicerone il progetto non fu reso noto poiché
era ejndeh;ς tovlmhς fuvsei difettoso
di audacia per natura e con l’età
aveva assunto per giunta la tipica cautela dei vecchi gerontikh;n
eujlavbeian. (Vita di Bruto, 12, 2).
Poi
escono i congiurati ed entra Porzia cugina e moglie di
Bruto, e pure figlia di Catone. Chiede a Bruto di essere messa al
corrente di quanto hanno tramato quei sei o sette uomini who
hide their faces-even from darkness (277-278) che
nascondevano i volti perfino all’oscurità.
Domanda
al marito: “dwell I but in the suburbs-of your good pleasure”?,
abito io solo alla periferia del tuo piacere?
Dice
dunque al marito: “ sono una donna, ma una donna ben reputata
(well reputed-repǔto). Sono figlia di Catone.
Non
credi che sia più forte del mio sesso con un tale padre e un tale
marito? Ho dato una forte prova della mia costanza (I have made
strong proof –proba, probo- of my constancy- procurandomi
una ferita volontaria sulla coscia giving myself
a voluntary-voluntarius- wound –here. in the tigh. Posso
sopportare questa con coraggio e non i segreti di mio marito?”.
Bruto allora disse: o dei rendetemi degno di questa nobile moglie!
(Giulio Cesare, II, 1, 299-301).
Cfr.
La Vita di Bruto di Plutarco (13).
Porzia si era ferita a una coscia con uno di quei coltelli che usano
i barbieri per tagliare le unghie. Disse: sono figlia di Catone e
moglie di Bruto e dicendo così deivknusin
aujtw'/ to; trau'ma kai; dihgei'tai thn pei'ran, gli mostra
la ferita e gli racconta la prova (13, 11).
Per
quanto riguarda il darsi animo dei personaggi tragici, Giulio
Cesare dice alla moglie Calpurnia spaventata dai presagi: “The
things that threatened (lat trudo, trusi, trusum, spingo) me-ne’er
looked but on my back; when they shall see-the face (lat. facies), of
Caesar, they are vanished” (lat. vanesco) (II, 2,
10-12), le cose che mi hanno minacciato, hanno visto soltanto la mia
schiena, quando vedranno la faccia di Cesare saranno svanite
E
poco dopo Cesare dice che non resterà a casa: “Danger knows
full well –that Caesar is more dangerous than he” (II, 2,
44-45)
Cesare
dice all’indovino: The ides of March are come- e quello
risponde: “Ay Caesar, but not gone”, sì ma non sono
passati. (III, 1, 1-2)
E
in Plutarco: Cesare entrando in senato salutò l’indovino
dicendogli aiJ
me;n dh; Mavrtiai Eijdoi; pavreisin,
e quello con calma (hJsuch'/) naiv,
pavreisin, ajll j ouj parelhluvqasi (63)
sì, ma non sono trascorse.
A
III 1 78 c’è in latino” Et tu Brute? Then fall Caesar!
In
Svetonio Cesare dice Kai;
su; tevknon ;
(Caesaris Vita,
82)
.
Forse allude al fatto che Servilia, la madre di Bruto, sorella
di Catone Uticense era stata amante di Cesare e Cesare era
convinto che Bruto, nato quando Servilia impazziva per lui, si era
persuaso che Bruto fosse suo figlio ( Plutarco, Vita di
Bruto, 5, 2.).
Le
metafore nautiche sono frequenti nella letteratura antica.
Sentiamone
una nel Giulio Cesare (IV, 3, 217-220): “There
is a tide in the affaire of men, c’è una marea nelle cose
degli uomini (qui tide del resto svolge pure la
funzione di kairovς) which
taken at the flood, leads on to fortune, che presa nel flusso,
conduce al successo, omĭtted (lat. omitto lascio
perdere) all the voyage of their life is bound in shallows
and in miseries, tutto il viaggio della loro vita è arenato
in secche e disgrazie (miseriae).
E’
Bruto che parla con Cassio il quale vorrebbe procrastinare.
I
due Cesaricidi hanno fatto una discussione nella quale il mio maestro
Carlo Izzo ha rilevato una “drammaticità tonale” quando Bruto
accusa Cassio di avere affermato di essere miglior soldato di lui e
Cassio risponde
“You
wrong me every way; you wrong me, Brutus/I said an elder soldier, non
a better:/did I say better?” (Giulio
Cesare,
IV, 3, 55-56)
L’uomo
teme di essersi lasciato trasportare dall’ira e la battuta contiene
il tono con cui va pronunciata,
Una
notte in cui Bruto non riusciva a dormire, vide una mostruosa
apparizione (monstruos apparition, IV, 3, 276). Le
chiede se fosse some angel or some devil, che
rende freddo il sangue e fa rizzare i capelli.
Lo
spirito risponde Thy evil (probably
allied to over, über, uJpevr, super,
quindi eccessivo) spirit-spiritus soffio, Brutus,
il tuo cattivo genio (281)
Bruto
gli chiede Why
com’st thou?
E
The Ghost: To tell thee thou shalt see me at Philippi.
E
Cesare“Why, I will see thee at Philippi then”
(Giulio Cesare, IV, 3, 282-283 )
In Plutarco, Bruto
ebbe la visione spaventosa di un uomo orribile
per
grandezza e dall’aria feroce o[yin
ei\de fobera;n ajndro;ς ejkfuvlou
to; mevgeqoς kai;
calepou' to; ei\doς
( Vita di
Cesare, 69,
10, cfr. Bruto,
36
Gli
chiese chi fosse, e il fantasma rispose:
“oJ
so;ς w\
Brou'te daivmwn kakovς:
o[yei dev me peri; Filivppouς” ( Vita
di Cesare 69,
11).
Allora
Bruto coraggiosamente rispose ti vedrò. Tovte
me;n ou\n Brou'toς eujqarsw'ς –“o[yomai” ei\pe.
Parole
molto simili si trovano nella Vita di Bruto ( kai;
oJ Brou'to" ouj diataracqei;" “oyomai” ei\pen 36,
7)
In Giulio
Cesare V, 1, 10 Antonio usa un efficace ossimoro: fearful
bravery, pauroso ardire a proposito dei nemici, i Cesaricidi che
vogliono fare credere di avere coraggio
Poco
dopo ( 34-35) Cassio dice ad Antonio venuto a
parlamentare your words-verba- they rob the Hybla
bees and leave them honeyless, le tue parolr derubano le api di
Ibla e le lasciano senza miele
La
fioritura di Ibla è ricordata nel Pervigilium Veneris (vv.
49-52), un carme anonimo di 93 settenari trocaici, forse del IV
secolo Hybla totos funde flores, quidquid annus
adtulit/ Hybla florum sume vestem, quantus Aetnae campus
est (51-52), Ibla diffondi tutti i fiori che il
nuovo anno portò, Ibla prendi una veste di fiori per quanto si
distendono i campi dell’Etna. Venere assistita dalle Grazie vuole
che il suo tribunale sia colmo di fiori iblei
Antonio
ribatte che alle api ha lasciato il pungiglione.
Ma
Bruto replica che ha preso anche quello e pure il loro ronzio e
minaccia astutamente prima di pungere,
Bruto
salutando Cassio suicida dice: “The last of all the Romans, fare
the well! (V, 3)
Cassio
è stato definito l’ultimo dei Romani da Cremuzio Cordo.
Tacito negli Annales ricorda
gli orrori della tirannide di Tiberio quando i libri degli
oppositori venivano condannati: “Cornelio
Cosso Asinio Agrippa consulibus, Cremutius Cordus postulatur novo ac
tunc primum audito crimine, quod editis annalibus, laudatoque
M. Bruto, C. Cassium Romanorum ultimum dixisset”
( IV, 34), sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio
Agrippa[2] viene
citato in giudizio Cremuzio Cordo per un delitto nuovo e
sentito allora per la prima volta: pubblicati degli Annali con la
celebrazione di M. Bruto, egli aveva chiamato Cassio l'ultimo
dei Romani.
Si
ricordino anche i casi di Tito Labieno sotto Augusto e di Trasea Peto
con Nerone (cap. 31).
Bruto
dice a Clito che gli ha riferito della cattura o dell’uccisione di
Statilio avvicinatosi al campo nemico per contare i morti: “slaying
is the word;- it is deed in fashion”
(V, 5, 6-7), uccidere è la parola; è un’azione che va di moda.
Quindi
Bruto si uccide aiutato da Stratone, e Antonio ne fa l’elogio
funebre: era il più nobile di tutti quelli, tutti cospiratori tranne
lui: “This was the noblest Roman of them all-all the
conspirators save only he” (Giulio Cesare, V,
5, 68-69)
Nella Vita
di Bruto, Plutarco scrive che molti sentirono dire da
Antonio che Bruto tra i cesaricidi era l’unico spinto da nobili
ideali; gli altri avevano ordito il complotto misou'ntaς kai;
fqonou'ntaς (Vita di Bruto, 29, 7) per odio e per
invidia.
Leopardi
nel Bruto minore del 1821 fa dire a Bruto in
procinto di uccidersi “stolta virtù” (16)
Guerra
mortale, eterna, o fato indegno,- teco il prode guerreggia,- di
cedere inesperto (8-40)
“ In
peggio- precipitano i tempi; e mal s’affida- a putridi
nepoti- l’onor d’egregie menti” (112-115).
Cfr. Orazio Carm.
I, 6, cedere
nescii.
Cfr.
il passaggio del Rubicone di Cesare in Svetonio, molto diversi dal
quello raccontato nel De bello civili dove Cesare
Un
uomo che suonava il flauto, afferrò una tromba, diede il segnale di
battaglia e si diresse all’altra riva.
Allora
Cesare : “eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum
iniquitas vocat. Iacta alea esto” (Svetonio, Caesaris
vita, 32).
Nella
sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa
cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei
ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11
gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor
oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non
è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare
delle Historiae scritte dal suo ufficiale più
“indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel
suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni
storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in
un’arringa ai soldati (B.
C.
I, 7)”[3].
Ne De
bello civili, Caesar apud milites contionatur ,
e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum
exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque
opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e
soffocato con le armi. Perfino Silla che aveva spogliato
la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam
reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la
legalità.
“Asinio,
che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e
tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”,
dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore
ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione
suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici
più tardi[4].
“Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e
quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso
il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo
nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore
“tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i
momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di
Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più
adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è
però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione
politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[5].
Cesare
“Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore
disponesse della sua testa”[6].
Il
fatto è che queste due componenti della persona sono intrecciate:
il Giulio
Cesare di Plutarco (50-120 d. C.) nel momento di
gettare il dado, ossia di infrangere le leggi lanciandosi oltre il
Rubicone (gennaio del 49 a. C.), sintetizza emotività e calcolo:
agisce "Tevlo"
meta; qumou' tino" w[sper ajfei;" eJauto;n ejk tou'
logismou' pro;" to; mevllon"
(Vita di Cesare ,
32), in definitiva con impulso, come se si lanciasse verso il futuro
partendo dal ragionamento. Il pathos è un elemento della ragione
nelle persone intelligenti
[1] T.
Mann, La
Montagna incantata,
IV capitolo Politicamente
sospetta! (p.
159)
[2] Nel
25 d. C.
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