Si può insegnare a tutti il greco? Si possono
rieducare i delinquenti reali come Battisti o potenziali come i politici che
auspicano la pena di morte?
Alcune espressioni di ottimismo e altre di pessimismo
pedagogico.
E' chiaro
che non tutti sono portati per le stesse materie; che il greco e il latino sono
facili per alcuni, difficilissimi per altri. L’intuizione infatti è una qualità
indispensabile, come la leggerezza e la potenza per un campione. Quelli
predisposti alle nostre materie ci inducono all’ottimismo pedagogico, quelli
maldisposti al pessimismo.
Sull’argomento
riferisco le opinioni di tre maestri.
Pindaro nell’ Olimpica II
chiarisce il suo pessimismo pedagogico: sofo;"
oJ polla; eijdw;" fua'/ -maqovnte"
dev, lavbroi - pagglwssiva/ kovrake" w{" a[kranta garuveton - Dio;"
pro;" o[rnica qei'on (vv. 86-89), saggio è chi sa molto per natura, voi due[1] addottrinati
invece, intemperanti, vaghi di ciance, come corvi di fronte al divino uccello
di Zeus, gracchiate parole vuote.
Nel terzo
episodio dell’Ippolito di Euripide, Teseo
legge le parole di accusa contro Ippolito che Fedra prima di
uccidersi ha lasciato scritte sulla tavoletta trovatale in mano, e grida eujnh'" th'"
ejmh'" e[tlh qigei'n-biva / (886-886) ha osato toccare con
violenza il mio letto! Quindi chiede a Poseidone di annientare il figlio
ricordandogli le trei'" ajrav" (888) che gli aveva concesso: mia'/ katevrgasai-
touvtwn ejmo;n pai'd j (888-889), con una di queste
finisci mio figlio.
Poi Teseo
pronuncia parole di pessimismo pedagogico; voi uomini errate in molte
cose: tutto escogitate e insegnate, ma c’è una sola cosa che non
sapete e nemmeno cercate - fronei'n didavskein
oi|sin oujk e[nesti nou (920),
insegnare saggezza a quelli che non hanno senno.
Nell’Ecuba (del 424) di Euripide la
protagonista sente raccontare da Taltibio il sacrificio di Polissena e prova
“una strana consolazione” per la nobiltà con la quale la ragazza è
morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con il coraggio
di un eroe: “Non è strano che, se la terra è cattiva,/ma ottiene buone
condizioni dagli dèi, produce buona spiga,/mentre se è buona, ma non riceve
quanto essa deve ottenere,/ dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il
malvagio non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una
disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (oJ me;n ponhro;"
oujde;n a[llo plh;n kakov",-oJ d j ejsqlo;" ejsqlov",
oujde; sumfora'" u{po-fuvsin dievfqeir j , ajlla; crhstov" ejst j
ajeiv;)/Dunque i genitori fanno la differenza o l'educazione?/Certamente anche
essere educati bene, porta/ un insegnamento di onestà; e se uno l’ha
imparato bene,/ sa che cosa è turpe, avendolo appreso con il metro
del bello. /Ma questi pensieri la mente li ha scagliati invano",( Ecuba,
vv. 592-603). In questa tragedia dunque prevale il pessimismo, come nell’ode di
Pindaro.
Nelle Supplici ,del 422, un dramma
che è tutto un encomio degli Ateniesi, leggiamo invece l'espressione di
un incondizionato ottimismo pedagogico, forse per il fatto che si stava
preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa l'elogio funebre dei
sette caduti nella guerra contro Tebe, poi conclude rivolgendosi direttamente a
Teseo: “Non ti stupire dopo quanto ho detto,/ Teseo, che questi abbiano avuto
il coraggio di morire davanti alle torri./Infatti essere educati non
ignobilmente comporta il senso dell'onore: / e ogni uomo che ha esercitato il
bene / si vergogna di diventare vile. Il coraggio è/ virtù
insegnabile (hJ eujandriva-didaktovn), se è vero che il bambino impara/a dire e ad
ascoltare quello di cui non ha cognizione./Ma quello che uno abbia imparato,
suole conservarlo/fino alla vecchiaia. Così educate bene i vostri
figli"(vv. 909-917).
Un’opinione diffusa, non solo ad Atene, di ottimismo
pedagogico viene riportata nel Protagora di Platone.
Il sofista, personaggio eponimo del dialogo, sostiene
che alcuni aspetti naturali degli uomini (piccolezza, bruttezza o debolezza, p.
e.) non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e
non provocano punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo
dall’esercizio, provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia,
empietà e assenza di virtù politica vengono punite hJ ajdikiva kai; hJ
ajsevbeia kai; sullhvbdhn pa'n to; ejnantivon th'ς politikh'ς ajreth'ς”, “o{ti ge oi{ ge a[nqrwpoi
hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn (324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia
acquisibile. Si punisce per correggere e distogliere dal
commettere ingiustizia: kai; toiauvthn diavnoian
e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn (324b), e chi la pensa in questo modo crede che la
virtù sia insegnabile. Se gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli
di ingiustizia, ciò significa che anche loro sono tra quelli i quali
considerano la virtù acquisibile e insegnabile.
[1] Simonide e Bacchilide, secondo
gli scoliasti
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