Biblioteca multimediale Roberto Ruffilli |
Testo della conferenza che tenuta il 9 gennaio 2019 - leggendo il meno e ricordando il più possibile - nella biblioteca Ruffilli di Bologna
Introduzione a Plutarco biografo di modelli e contromodelli umani.
Introduzione a Plutarco come antidoto contro la mediocrità e l'indifferenza dell'uomo moderno. L'informazione dei giornali, e la cultura quale potenziamento della fuvsi"
Le
opere
Il Corpus
Plutarcheum comprende
260 titoli: la Suda ne
fornisce 227 che costituiscono il cosiddetto catalogo di Lampria, un
presunto figlio dell'autore che avrebbe compilato un elenco degli
scritti paterni. In realtà Lampria si chiamavano il nonno e un
fratello di Plutarco. L'attribuzione dunque è errata e il catalogo
incompleto, poiché non contiene tutti i titoli delle opere delle
quali abbiamo i testi o le testimonianze: ce ne sono altre 33,
quindici delle quali andate perdute. Di questa
numerosissima produzione ci è arrivato un terzo: centoventi opere,
intere o frammentarie, che si possono dividere in due grandi gruppi:
le cinquanta biografie delle Vite
parallele (Bivoi
paravllhloi)
e i settanta scritti[37] che
vengono designati come Moralia ,
ossia Scritti
etici (in
greco jHqikav)
poiché il tono prevalente, come d'altra parte anche nel resto
dell'opera, è quello della filosofia morale, o, per dirla con
Platone, il massimo maestro riconosciuto da Plutarco con devozione
quasi assoluta, dell' ajnqrwpivnh
sofiva[38].
Montaigne, che era un grande estimatore di Plutarco, scrive che egli
"è ammirevole in tutto, ma principalmente là dove giudica
delle azioni umane"[39],
e che gli Opuscoli dello
scrittore di Cheronea "da quando è divenuto francese"
sono, come le Lettere di
Seneca, "la parte più bella dei suoi scritti, e la più utile",
in quanto, afferma, l'autore dei Saggi :"hanno
tutti e due questo vantaggio notevole per la mia indole, che la
scienza che vi cerco vi è trattata a brani scuciti, che non
richiedono l'obbligo di un lungo lavoro"[40].
Le
biografie parallele sono ventidue coppie formate tutte dalle vite di
un greco e di un romano, tranne una coppia doppia, ossia costituita
da due Greci (i re spartani Agide e Cleomene) e due Romani (i tribuni
Tiberio e Caio Gracco). Inoltre ci sono pervenute quattro biografie
singole: quelle di Arato, di Artaserse (unica figura esterna al mondo
greco-romano), di Galba e di Otone. Il catalogo di Lampria riporta
titoli di altre vite che non ci sono arrivate: per esempio la coppia
Epaminonda-Scipione.
Poiché,
come si è visto, si tratta di un'opera assai vasta e varia (dia;
to; plh'qo" tw'n uJpokeimevnwn pravxewn[41],
data la massa dei fatti, dice Plutarco dovendo operare una selezione
nella gran quantità delle azioni grandi degli uomini grandi, mentre
noi dobbiamo scegliere tra la grande abbondanza delle parole e delle
idee di questo autore) è piuttosto imbarazzante fare una scelta che
metta in luce le quintessenze del plutarchismo: dovrò limitarmi ad
alcune Vite
parallele antologizzando
le parti che possono considerarsi dichiarazioni programmatiche
dell'autore; quindi seguirò il criterio di scegliere alcunii passi
utili a integrare le storie dei personaggi o ad ampliare i temi che
ho evidenziato studiando negli autori precedenti. Partiamo dunque dal
proemio "metodologico" della Vita
di Alessandro dove
l'autore, tra l'altro, dichiara di non scrivere storie ma biografie.
La
lingua di Plutarco ha una base attica che ammette gli influssi
della koinhv. I suoi periodi sono
ampi ma non "difficili" per la regolarità e la chiarezza
logica con cui sono costruiti. Per quanto riguarda lo stile, c'è
una costante attenzione a evitare lo iato e, più in generale,
all'armonia del suono e all'equilibrio della struttura dei periodi.
Nel complesso la lettura è agevole e gradevole, dunque, ancora una
volta, :"Lector, intende; laetaberis ".
Assimilazione
o dissimilazione dello scrittore e del lettore rispetto al
personaggio raccontato. L'educazione impartita attraverso esempi
positivi e negativi. Plutarco, Omero e Platone
All'inizio
della Vita
di Alessandro , Plutarco
annuncia il suo intento di raccontare la biografia del re usando
il pluralis
maiestatis "gravfonte"" e
assimilandosi così in qualche modo al sovrano di cui vuole narrare
le vicende. In effetti uno degli scopi del biografo di Cheronea è
l'assimilazione all'eroe. Nel
proemio alle vite di Timoleonte
ed Emilio Paolo (1)
egli dichiara: all'inizio mi è capitato di mettere mano a scrivere
le vite per gli altri, ma oramai continuo e insisto anche per me
stesso, poiché, scrutando attraverso la storia come in uno specchio
("wJvsper
ejn ejsovptrw/ th'/ iJstoriva/ peirwvmenon")
mi avviene in qualche modo di adornare e uniformare la vita
alle virtù di quegli illustri personaggi ("kosmei'n
kai; ajformiou'n pro" ta;" ejkeivnwn ajreta;" to;n
bivon")
. "E' una concezione che ha qualche punto in comune con l'idea
aristotelica della catarsi-commenta Canfora[42]-,
dell'analogia che lo spettatore (in questo caso il lettore)
istituisce tra se medesimo ed i paqhvmata dell'eroe
al quale si accosta".
Così
del resto faceva Machiavelli leggendo. Lo racconta nella Lettera
a Francesco Vettori :"Venuta
la sera, mi ritorno in casa et entro nel mio scrittoio; et in su
l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto,
e mi metto panni reali e curiali; e, rivestito condecentemente, entro
nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto
amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è
mio, e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con
loro e domandarli della ragione delle loro azioni. E quelli per loro
umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna
noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi
sbigottisce la morte: tutto mi tranferisco in loro...Die
10 Decembris 1513 ".
La
lettura dei classici dunque per il segretario fiorentino aveva un
valore catartico. Lo stesso significato positivo ha per Plutarco lo
scrivere biografie: nella prefazione alla coppia Timoleonte
- Emilio Paolo infatti
l'autore procede dicendo: il mio lavoro mi appare proprio come un
conversare, un vivere quotidianamente in intimità con costoro,
quando, per narrarne le vicende, io li ricevo quasi e li accolgo a
turno come ospiti uno per uno, e considero quanto grande
e quale sia ("o{sso"
e[hn oi|ov" te"[43]),
scegliendo fra le loro azioni quelle che furono le più importanti e
le belle per la conoscenza:"ta;
kuriwvtata kai; kavllista pro;" gnw'sin ajpo; tw'n pravxewn
lambavnonte"".
Insomma "il biografo si rimira nello specchio della storia per
accordare la propria esistenza ai grandi paradigmi di virtù
fornitigli dai suoi personaggi, vive anzi con loro (come poi
Montaigne), desideroso di preservare nell'animo la memoria fragrante
di ciò che varrà poi ad espellere l'ignobile sentore della
quotidianità. Gli exempla
virtutis costituiscono
il più sicuro esercizio di virtù per l'autore"[44].
Quindi
Plutarco cita un frammento di Sofocle[45]:"feu'
feu', tiv touvtou cavrma mei'zon a]n lavboi"",
ah, ah, quale gioia potresti prendere maggiore di questa, e,
aggiunge, quale più efficace per il raddrizzamento dei costumi? Lo
studio della Storia allora infonde gioia in chi lo coltiva, come la
poesia: Erodoto narra che in attesa del canto di Arione, nel cuore
dei pur spietati marinai corinzi che lo avevano condannato a morte
per derubarlo, si insinuò il piacere [46];
per giunta l' attività intellettuale dello storiografo-biografo
migliora il carattere di chi la pratica, come faceva l'educazione
reciproca intercorrente tra i bambini e il principe
Myskin, L'idiota di
Dostoevskij, il quale racconta:" Essi ci curano
l'anima...venivano spesso da me pregandomi che raccontassi loro
qualche cosa; credo che lo sapessi fare bene, giacché mi ascoltavano
sempre con grande piacere. In seguito, presi l'abitudine di studiare
e di leggere, con l'unico scopo di potere intrattenerli"[47].
La catarsi avviene non solo assimilando il valore, ma anche
respingendo i vizi, e questo accade sia imitando la virtù degli
uomini grandi e buoni, il cui esempio aiuta a respingere quella dose
di pochezza (" ti
fau'lon")
o malvagità ("hj;
kakovhqe"")
o volgarità ("hj;
ajgennev"",
) che le compagnie di coloro con i quali si deve vivere insinuano
("aiJ
tw'n sunovntwn ejx ajnavgkh" oJmilivai
prosbavllousin"[48]), sia
prendendo quali contromodelli uomini grandi e cattivi.
Livio
Praefatio 10 Secondo Tito
Livio la conoscenza della tradizione storica fornisce a chi la
possiede il grande strumento dei modelli positivi da imitare e di
quelli negativi da respingere:"Hoc
illud est praecipue in cognitione rerum salūbre ac frugiferum, omnis
te exempli documenta in inlustri posita monumento intuēri: indi tibi
tuaeque rei publicae quod imitēre capias, inde foedum inceptu,
foedum exitu quod vites"[49],
questo soprattutto è salutare e produttivo nella conoscenza della
storia, che tu consideri attentamente esempi di ogni tipo situati in
una tradizione illustre: di qui puoi prendere modelli da imitare per
te e per il tuo Stato, di qui contromodelli da evitare in quanto
turpe nel movente, turpe nel risultato.
Nella
prefazione alle Vite Demetrio-Antonio, Plutarco afferma
che forse non è male inserire tra gli esempi le vite di
uomini che hanno fatto uso del loro ingegno in modo troppo
sconsiderato, e sono divenuti celebri nel potere e nelle grandi
imprese per i loro vizi ("eij"
kakivan").
Nell’Antonio
e Cleopatra di Shakespeare, Antonio è colpevole di avere
sottoposto la ragione al piacere: dopo la vittoria di Ottaviano,
Cleopatra domanda a Enobarbo : “Is Antony or we in fault for
this?”, la colpa è di Antonio o mia? E il collaboratore di
Antonio, in procinto di abbandonarlo risponde: “Antony only,
that would make his will-Lord of is reason” (III, 13), solo di
Antonio che ha sottoposto la sua ragione al suo piacere.
Antonio
era amato dai suoi soldati poiché amava gozzovigliare con loro.
Fondamentale per lui era la figura di Ercole. Tendeva a indossare
abiti che ricordavano Ercole e anche la barba a tutto viso. Il suo
comportamento, cameratesco, generoso, passionale, era visto come
Erculeo.
Antonio
ed Ercole godevano di una popolarità che Ottaviano/Augusto e Apollo
non avrebbero mai raggiunto. Il loro comune discendente, Nerone,
univa in sé i due opposti. Non a caso le due divinità con cui si
identificava erano, come abbiamo visto, Apollo/Sole ed Ercole.
Nella
tragedia Antonio e Cleopatra di
Shakespeare si sente una musica in aria, o sotto terra, davanti al
palazzo di Cleopatra; un soldato chiede: “It
signs well, does it not?” E un
altro “No”. Allora
“What should this mean?”
E il pessimista: “’Tis the god
Hercules, whom Antony loved, Now leaves him”
(Shakespeare, Antonio e Cleopatra,
4, 3). Sentiamo T. S. Eliot: “the God
Hercules/Had left him, that had loved him well”
(Burbank with a Baedeker, Bleistein
with a cigar (1920). Antonio,
al pari di Alessandro, si vantava di discendere da Eracle e di essere
parente di Dioniso poiché ne imitava il modo di vita (Plutarco, Vita
di Antonio, 60, 4-5).
La
difesa dell'identità
La tragedia
di Seneca gronda pessimismo nei confronti della storia e della
società. Tale visione comporta il rifugiarsi e il chiudersi nel
proprio spazio intimo.
Tuttavia
Antonio si tiene aggrappato alla sua identità.
Eliot
trova delle analogie tra i personaggi di Seneca e quelli di
Shakespeare precisamente in questo loro arroccarsi nella
proprio individualità:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno
condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale.
Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi
attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile,
anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso",
è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare...quanto
prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine
senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello
scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una
specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo
individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente,
sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio
dice "Sono
ancora Antonio [50]"
e la Duchessa "Sono
ancora Duchessa di Amalfi "[51];
avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse
detto Medea
superest ?"[52].
Questa
battuta di Medea ha un’eco anche in Il rosso e il nero di Stendhal:
la giovinetta Mathilde de La Mole, innamorata di Julien Sorel è
combattuta da dubbi atroci , come la Medea delle Argonautiche,
e pensa: “ Quali non saranno le sue pretese, se un giorno avrà il
diritto di esercitare intero il suo potere su di me? Ebbene, dirò
come Medea: in mezzo a tanti pericoli, mi resto Io!.
Subito
dopo c’è anche il “darsi animo” di Medea: “In quegli ultimi
momenti di dubbio atroce scesero in campo dei sentimenti di orgoglio
femminile. “Tutto deve essere straordinario nel destino di una
ragazza come me” esclamò Matilde, snervata dal suo ragionare.
L’orgoglio, che le avevano instillato fin dalla nascita, si mise in
lotta contro la virtù”[53].
E
questo, precisa, non lo faccio per offrire diversivi al piacere dei
lettori ma per procedere didatticamente, come il flautista tebano
Ismenia, facendo ascoltare ai discepoli quelli che suonavano bene e
quelli che suonavano male il flauto, era solito dire:"ou{tw"
aujlei'n dei',- kai; pavlin- ou{tw" aujlei'n ouj dei'",
così bisogna suonare, e viceversa, così non bisogna suonare.
Perciò, conclude Plutarco, a me sembra che anche noi saremo
maggiormente desiderosi di essere osservatori e imitatori di uomini
migliori se non rimarremo nell'ignoranza della storia di quelli
viziosi e biasimati:"ouJvtw"
moi dokou'men hJmei'" proqumovteroi tw'n beltiovnwn e[sesqai
kai; qeatai; kai; mimhtai; bivwn, eij mhde; tw'n fauvlwn kai;
yegomevnwn ajnistorhvtw" e[coimen".
In effetti l'esempio , positivo e negativo, è la stella polare
dell'educazione antica, il punto di orientamento più efficace. Già
nel primo canto dell'Odissea compaiono
i paradigmi educativi: Egisto è presentato dallo stesso
Zeus quale contromodello, siccome è uno degli uomini che soffrono
dolori contro il dovuto per la loro follia:"sfh'/sin
ajtasqalivh/sin ujpe;r movron a[lge& e[cousin"(v.
34), e viceversa Oreste più avanti viene indicato a
Telemaco da Atena-Mente quale paradigma positivo in quanto ha ucciso
il negativo Egisto appunto, e ha vendicato il padre. Anche tu sii
forte, lo incoraggia la dea, poiché ti vedo bello e grande assai:"
"kai;
suv, fivlo", mala gavr s& oJrovw kalovn te mevgan
te-a[lkimo" e[ss&"(vv. 301-302). Senza
l'esempio mancherebbe l'elemento concreto indispensabile per un
elleno: "il realismo, in arte, è greco; l'allegorismo è
ebraico", ebbe a scrivere Pavese[54].
Quando il figlio di Odisseo si reca a Pilo, Nestore gli ricorda lo
stesso paradigma e gli rinnova l'incoraggiamento ( Odissea III,
vv. 193-200). La cultura greca tende a sviluppare organicamente le
forme originarie: tra Omero e Plutarco l'uso dell'esempio concreto
non viene mai meno, e pure "l'idealista" Platone utilizza
modelli e contromodelli: nel Gorgia il
filosofo presentato i tiranni tra gli incurabili ("ajnivatoi",
525c) diventati tali poiché hanno commesso i crimini più atroci e
non espiabili: ebbene costoro, non potendo più redimersi, servono
come paradeivgmata,
esempi negativi per gli altri, stando sospesi nel carcere dell'Ade.
Del
resto Plutarco nel preambolo alla
coppia Demetrio - Antonio dice
che questi due sono uomini adatti a testimoniare quanto Platone
scrisse: "oJvti kai; kaiva"
megavla" wJvsper ajreta;" aiJ megavlai fuvsei"
ejkfevrousi", che le grandi nature
producono grandi virtù come anche grandi vizi.
Nella Repubblica (491e)
Socrate infatti spiega ad Adimanto
che
le anime di natura migliore, se ottengono un' educazione cattiva
diventano straordinariamente cattive, poiché le grandi malvagità
nascono da nature grandi.
Torniamo
quindi ai due "eroi negativi" di Plutarco:"genovmenoi
d& oJmoivw" ejrwtikoi; potikoi; stratiwtikoi; megalovdwroi
polutelei'" uJbristaiv, kai; ta;" kata; tuvchn oJmoiovthta"
ajkolouvqou" e[scon",
divenuti ugualmente amatori, bevitori, bellicosi, munifici, sontuosi,
violenti, ebbero anche somiglianze conseguenti di destino, ossia,
spiega, con infime cadute nella polvere e sublimi salite sui fastigi
del potere. E' da notare che il biografo platonico ricorda, nel
rappresentare questi due uomini "uJbristaiv",
alcune caratteristiche che Platone attribuisce al tiranno destinato a
divenire paradigma negativo: il turanniko;"
ajnh;r Repubblica (573c)
è , per natura, o per le abitudini, tra l'altro"mequstikov"
te kai; ejrwtikov"" incline
al bere e anche al sesso. La seconda inclinazione invero a me non
sembra tanto viziosa né deleteria, soprattutto se si pensa a coloro
che in questi giorni di maggio, un "depraved
May "[55],
direbbe Eliot, fanno le code per comprare, a caro prezzo,
la pillola contro l'impotenza sessuale. Ma questo è tutt' altro
discorso.
FINE INTRODUZIONE
Le restanti parti si trovano qui nel blog col titolo "Plutarco in Shakespeare"
ecco i link:
Plutarco in Shakespeare. Parte 1
Plutarco in Shakespeare. Parte 2
Plutarco in Shakespeare. Parte 3
Le restanti parti si trovano qui nel blog col titolo "Plutarco in Shakespeare"
ecco i link:
Plutarco in Shakespeare. Parte 1
Plutarco in Shakespeare. Parte 2
Plutarco in Shakespeare. Parte 3
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[37]Senza
contare quelli molto probabilmente apocrifi.
[45]Fr.
579 Nauck, v. 1.
[46] I,
24:"kai;
toi'si ejselqei'n ga;r hjdonh;n eij mevvlloien ajkouvsesqai tou'
ajrivstou ajnqrwvpou ajoidou'".
[47] Traduzione
italiana, Garzanti, Milano, 1973, p. 84 e p. 88
[48] E'
sempre la prefazione a Timoleonte-Emilio
Paolo
[53] Stendhal, Il
rosso e il nero (del 1830)
in Stendhal Romanzi e racconti, vol. I, , trad. it.
Sansoni, Firenze, 1956, p. 594
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