Gianfranco Bevilacqua, Nascita di Atena |
La fantasia contro natura di fare figli
senza le donne : la pena di morte per l'umanità
Ippolito poi Giasone di
Euripide (Ippolito e Medea)
Nelle Baccanti di
Euripide c’è il mito della nascita di Dioniso da una coscia di Zeus. Curzio
Rufo denuncia la falsità di questo mito. Denuncia ribadita da
Caricle nelle Questioni d'amore [Erwte" dello Pseudo- Luciano. Nel Simposio di
Platone, Pausania sostiene che l’Afrodite più antica e nobile, Urania, è figlia
del Cielo ed è nata senza madre. Nell’Orlando furioso Rodomonte
biasima la natura femmina perché ci fa nascere dalle femmine.
Nel Cimbelino di
Shakespeare, Postumo che si crede tradito da Imogene impreca contro le donne e
la necessità di mettere al mondo i figli con loro. Un motivo presente
anche nel Paradise
Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[1] John Milton.
Erich Fromm definisce questa fantasia come "la più
contronatura che sia immaginabile"
e la fa risalire alla creazione della Genesi. Il costruttore Sollness di
Ibsen e l'invidia del ventre della donna da parte dell'uomo.
Nell'Ippolito il
protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato
dalle donne, ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon
ajnqrwvpoi" kakovn", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più
letteralmente, frutto dell'ate[2] ("ajthrovn[3]... futovn", v.
630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647)
e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine
umane.
Traduco
alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
"O
Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli
uomini ? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era
necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in
cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza
di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case liberi,
senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel
malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
Sentiamo
Giasone nella Medea di
Euripide: "Crh'n ga;r a[lloqevn
poqen brotou;" - pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai
gevno" - cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli
uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle femmine
non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.
Insomma
il male è la femmina.
Nelle Baccanti di
Euripide il coro delle menadi durante il secondo stasimo ricorda la nascita di
Dioniso da una coscia di Zeus:“ Figlia di Acheloo,/maestosa e bella vergine
Dirce,/tu infatti una volta nelle tue acque/accogliesti il figlio di
Zeus,/quando Zeus il genitore lo sottrasse/con la coscia al fuoco
immortale/gridando così :/Vieni, Ditirambo, entra/in questo mio maschio grembo”
(vv. 519-527).
Un
mito del quale Curzio Rufo denuncia la falsità quando racconta che Alessandro
Magno giunse a Nisa, tra i fiumi Cofen e Indo. Dopo un breve assedio,
i Nisei, che asserivano di discendere dal padre Libero, capitolarono. "Sita est
<urbs>sub radicibus montis quem Meron incolae
appellant; inde Graeci mentiendi traxēre licentiam Iovis femine Liberum Patrem
esse celatum (Historiae Alexandri
Magni, 8, 10, 12), la città è situata sotto il monte che gli abitanti
chiamano Meros; di lì i Greci si presero la libertà di inventarsi
che il Padre Libero era stato nascosto nella coscia di Giove .
Nelle Questioni d'amore (Erwte" dello Pseudo-Luciano) il personaggio di
Caricle corinzio propugna l'amore eterosessuale afferma che nessun uomo può
vantarsi di essere nato da un uomo: "oujdei;~ d j
ajnh;r ajp j ajndro;~ aujcei' genevsqai" (19). Insomma la
natura ha scritto la legge sacra e inviolabile che ciascuno dei due sessi abbia
la sua funzione e che resti nei propri limiti kai; mhvte to; qh'lu
para; fuvsin ajrrenou'sqai mhvte ta[rren ajprepw'" malakivzesqai, che la femmina non si virilizzasse contro natura né
il maschio si effemminasse indecentemente.
Caricle
Corinzio discute con Callicratide ateniese che invece esalta l’amore per i
ragazzi
Lo
scritto non è di Luciano siccome fa riferimento ad avvenimenti del III secolo,
Del resto questi e[rwte" risentono anche di Plutarco jErwtikai; dihghvsei", narrazioni sull’amore.
Nel Simposio di
Platone Pausania
intende correggere il precedente discorso encomiastico di Fedro nei confronti
di Eros, facendo una distinzione tra due forme di Amore e due varietà di
Afrodite. La più antica (presbutevra) e nobile, Urania, è figlia del Cielo (Oujranou' qugavthr) ed è nata senza madre (ajmhvtwr, 180 d), la più recente è figlia di Zeus e
Dione e noi la chiamiamo Volgare, Usuale (Pavndhmon kalou'men, 180 e). Così gli Amori, figli di Afrodite, sono due:
uno celeste, come la madre, e uno volgare al pari della madre sua. Dunque
bisogna elogiare (dei' ejpainei'n) solo Eros figliolo di
Afrodite Urania. Infatti l'altro Eros, quello nato da Afrodite Volgare, è
veramente volgare e agisce a casaccio, e questo è l'amore che prediligono oiJ fau'loi (181 b), gli uomini dappoco. Costoro infatti
amano le donne non meno dei ragazzi, amano i corpi più delle anime e amano le
persone che siano il più possibile prive di intelligenza, mirando ad avere
relazioni sessuali (pro;~ to; diapravxasqai
movnon blevponte~). Afrodite Celeste dunque non partecipa
della natura femminile, e gli uomini ispirati da Eros Celeste, figlio di tale
madre, si rivolgono ai maschi che sono più forti e intelligenti delle donne.
Nell'Orlando furioso (1532)
troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al
personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.
Prima
il"Saracin" biasima l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh
feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente[4],/contrario oggetto a quello della
fede!/Oh infelice, oh miser [5] chi ti crede!" (27, 117).
Quindi
Rodomonte aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana imposta
come punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e
Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave
fio/de l'uom, che senza te saria giocondo:/come ha prodotto anco il serpente
rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di mosche e di vespe e di
tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine l'amante
infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini
a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma
Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un
sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a
misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa
perfetta,/poi che Natura femina vien detta"(27, 120).
Nel Cimbelino[6] di Shakespeare, Postumo che si crede
tradito da Imogene impreca contro le donne e la necessità di mettere al mondo i
figli con loro: “Is
there no way for men to be, but women-Must be half-workers?We are all
bastards,-And that most venerable man, which I-Did call father, was I know not
where-When I was stamp’d” (II, 4), non c’è modo per gli uomini di esserci,
senza che le donne facciano metà del lavoro? Noi siamo tutti bastardi, e
quell’uomo rispettabilissimo che io chiamavo padre, era chissà dove, quando io
fui coniato.
Cimbelino continua maledicendo le donne e
attribuendo loro tutti i vizi: “ That tends to vice in
man, but I affirm- It is the woman’s part: be it lying, note it,-The woman’s:
flattering, hers; deceiving, hers:-Lust, and rank thoughts, hers, hers;
revenges, hers;-Ambition, covetings, change of prides, disdain,-Nice longing,
slanders, mutability;-All faults that name, nay, that hell knows, why, hers-In
part, or all: but rather all.” Quello
che spinge l’uomo al vizio, io affermo, deriva solo dalla donna: sia esso il
mentire, notate, è della donna: la lusinga è sua, l’inganno è suo: la lussuria,
i pensieri immondi, suoi, suoi; le vendette, sue; ambizione, bramosie, superbie
variabili, disprezzo, bizzarri desideri, calunnie, volubilità; tutte colpe che
hanno un nome, anzi che l’inferno conosce, ebbene sono sue, in parte o in
tutto: ma piuttosto in tutto.
Un
motivo presente anche nel Paradise Lost (1658-1665)
del "puritano d'incrollabile fede"[7] John Milton (1608-1674). In
questo poema Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il
cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità,
questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [8] of Nature )
e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il
femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other
way to generate Mankind? ", X, 888 e sgg.).
Questo
desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea
il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il
racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in
principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio
creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né
partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una
frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto
prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in
tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la
creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il
pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo
materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia
una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno
d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi
soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia
più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà,
ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per
raggiungere quell'unico scopo:
rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche
la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[9].
E
meno male che poi "il Signore Dio disse:"Non è bene che l'uomo sia
solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Genesi, 2, 23).
Alonge
denuncia l'invidia del ventre femminile da parte dei maschi nei drammi di
Ibsen, in particolare in Il costruttore Sollness del
1892:"L'uomo odia la donna, la odia perché ha invidia del suo ventre… Non
ci sono donne nella religione del capitale. Il dio padre corrisponde
esattamente al dio creatore. Il Figlio discende direttamente e
misteriosamente dal Padre. Nell'olimpo cristiano la Vergine tenta di nascondere
a malapena un evidente processo di partenogenesi maschile"[10].
[3] La
protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunaikev~
ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi
donne siamo un male pernicioso.
[5] Questo miser risale
alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono alcuni, assume
il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato. In
realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem
ego ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio
amico Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto
uno più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato
conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser"
(685), non c'è e non c'è stato un vecchio innamorato infelice quanto me.
[8] Cfr.
questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito
alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo
più avanti.
Nessun commento:
Posta un commento