Continua il prologo
La propaganda entra dappertutto.
Entra in scena Elettra la quale si rivolge alla
nera notte nutrice di stelle d’oro - w\ nuvx mevlaina, crusevwn a[strwn trofev (Elettra, 54). Dice che scende alle
sorgenti del fiume phga;"
potamiva" metevrcomai (56) portando questa
brocca tovd j
a[ggo" fevrousa, posata sul
capo jefedereu'on kavra/. Non lo fa perché ridotta a tal punto di indigenza, ma per la
volontà di mostrare agli dèi l’ybris di
Egisto (59). La propaganda entra in molti comportamenti umani: dalla politica,
alla religione, alla guerra (cfr. fama bella constant)
Alessandro Magno giustifica anche dal punto di
vista laico la propria vanteria di essere figlio non di Filippo, bensì di
Zeus. Ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre,
dice il giovane eroe macedone : “Famā[30] enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum
est, veri vicem obtinuit” (Historiae Alexandri Magni VIII, 8, 15), Le guerre sono
fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche
quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.
Cfr. 3, 8, 7 dove Dario III dice “fama bella stare”.
Appunti
Demagogo e tiranno
L'araldo tebano delle Supplici di Euripide ribatte che il governo di un solo uomo
non è male: infatti il monarca esclude i demagoghi, i quali, gonfiando la folla
con le parole, la volgono di qua e di là secondo la loro
convenienza. Del resto come potrebbe pilotare uno Stato il popolo
che non è in grado di padroneggiare un discorso? Chi lavora la terra non ha
tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche: "oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou'
tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419-420), è
infatti il tempo che dà un sapere più forte, invece della fretta.
Teseo non controbatte la critica ai demagoghi,
che condivide, ma risponde che il tiranno è l'entità più ostile alla
polis: "oujde;n
turavnnou dusmenevsteron povlei" (Euripide, Supplici, v. 429). Egli infatti uccide i
migliori, quelli dei quali considera la capacità di pensare, in quanto teme per
il suo potere:"kai;
tou;" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n-kteivnei,
dedoikw;" th'" turannivdo" pevri"
(vv. 444-445). Sicché la città si indebolisce: come potrebbe essere forte
quando uno miete i giovani come da un campo di primavera si porta via la spiga
a colpi di falce? (vv. 447-449).
Inoltre il despota si impossessa dei beni
altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva acquistare ricchezze per i propri
figli. Per non parlare delle figlie che l'autocrate vuole rendere strumenti del
suo piacere.
l'Elettra di
Euripide recitando il biasimo funebre di Egisto allude, con pudica e
verginale aposiopesi, alle porcherie che l'usurpatore faceva con le
donne: "ta; d j
eij" gunai'ka", parqevnw/ ga;r ouj kalo;n-levgein,
siwpw'" (Elettra, vv. 945-946) Il potere dunque può essere funzionale al
soddisfacimento di varie brame, compresa quella sessuale inclusiva del
libertinaggio.
Nell’Elettra di Euripide il coro
sentenzia: “tuvch
gunaikw'n ej~ gavmou~” (v. 1100), è il
caso delle deonne nelle nozze: vedo che alcuni eventi dei mortali vanno bwne,
altri cadono non bene
Passiamo all’Elettra di Euripide del 413.
Il coro, composto da contadine argive considera
Elena pollw`n
kakw`n aijtivan (v. 213). Oreste svaluta la bellezza in generale: le carni vuote di
intelletto, dice, sono ajgavlmat j ajgora`~ (v. 388), statue di piazza.
Più avanti Elettra gli fa da eco biasimando la
bellezza molle di Egisto: le cose speciose sono solo ornamento per le danze:
“ta; d j eupreph`
dh; kovsmo~ ejn coroi`~ movnon” (v. 951).
Clitennestra poi si giustifica dell'assassinio
di Agamennone davanti ai figli in procinto di ucciderla, ricordando loro i
torti subiti dal marito, giustiziato dunque per le sue numerose malefatte.
Intanto uccise la primogenita in maniera spietata:"leukh;n dihvmhs j [31] jIfigovnh" parhΐda " (v. 1023), lacerò
la bianca guancia di Ifigenia. E non lo fece per difendere la sua città o per
salvare altri figli, ma per recuperare Elena che schiumava di lussuria (mavrgo~ h\n, era dissoluta, v. 1027) e Menelao era incapace di punire una
moglie infedele. Inoltre tornò a casa dalla moglie portandosi dietro una menade
invasata[32] e la infilò nel letto ("mainavd j e[nqeon kovrhn-levktroi"
t j ejpeisevfrhke[33]", vv. 1032-1033).
Elettra
replica che Elena e Clitennestra sono “ a[mfw mataivw Kavstorov~ t j oujk ajxivw” (v.
1064), entrambe stolte e non degne di Castore. Elena infatti venne rapita ejkou`~ j (1064)
e andò in rovina, mentre l’altra, che avrebbe potuto fare una bella figura al
confronto con Elena, assassinò il marito.
Alla fine della tragedia tuttavia Castore
annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto,
dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d j, wJ"
e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n,- ei[dwlon JElevnh~ ejxevpemy
j ej~ [Ilion ” ( Elettra, vv. 1282-1283), ma
Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci
fosse guerra e strage dei mortali.
Il Paride di Ovidio scrive a Elena che non deve
temere una guerra come conseguenza del suo adulterio: Teseo rapì Arianna e
Giasone Medea senza che ne conseguissero guerre (Heroides, XVI, 347 ssg). Ma se un ingens bellum (353) dovesse scoppiare, Menelao non avrà più
coraggio (plus animi, 357) di Paride.
I fatti dell’Iliade (III canto) smentiranno questa previsione.
Insomma
se ci sarà la guerra la vinceremo io e mio fratello Ettore, sostiene Paride.
[30] Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e mangia ma pure fa e
interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem
componimur " (De vita beata ,
1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci
secondo il "si dice".
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