Il potere della passione
Percorso presentato nel liceo Aldo Moro di Manfredonia durante la notte dei licei, 11 gennaio 2019
Il potere è razionale e morale solo se
esercitato al servizio dei sudditi: nelle Epistole a Lucilio
il maestro di Nerone già ripudiato dal discepolo imperiale ricorda
che nell'età dell'oro governare era compiere un dovere non
esercitare un potere assoluto:" Officium erat imperare, non
regnum" (90, 5).
Così aveva insegnato un discepolo di
Zenone ad Antigono Gonata re di Macedonia1
cui il regnare apparve un “onorevole servizio”, e[ndoxo"
douleiva2.
Luogo simile in I Promessi sposi
:"Ma egli, persuaso in cuore di ciò che nessuno il quale
professi cristianesimo può negar con la bocca, non ci esser giusta
superiorità d'uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio, temeva
le dignità, e cercava di scansarle" (cap. XXII). Si tratta del
cardinale Federigo Borromeo.
Concetto analogo si trova in
Psicanalisi della società contemporanea di E. Fromm:"Il
capo non è soltanto la persona tecnicamente più qualificata, come
deve essere un dirigente, ma è anche l'uomo che è un esempio, che
educa gli altri, che li ama, che è altruista, che li serve. Obbedire
a un cosidetto capo senza queste qualità sarebbe una viltà"
(p. 299). -
Annibale presenta una possibilità di
educazione reciproca tra il comandante e i suoi soldati. Dopo la
traversata delle Alpi, parlando al suo esercito utilizzò questo
topos: “alumnus prius omnium vestrum quam imperator” (
Livio, 21, 43). Corrisponde al Mutuo ista fiunt, et homines dum
docent, discunt di Seneca (Ep. 7, 8) e “ai bambini ci
curano l’anima” di Dostoevskij (L’idiota, parte I , cap.
V).
La protagonista dell'Antigone di
Brecht si propone come tale tipo paradigmatico in antitesi a Creonte
il quale le domanda:"Di' dunque perché sei così ostinata".
E la ragazza risponde:"Solo per dare un esempio".
Il potere del resto secondo la figlia
di Edipo è una specie di droga che asseta di sé:"Perché chi
beve il potere/Beve acqua salsa, non può smettere, e seguita/Per
forza a bere".
“Sono rari i sovrani che apprendono
la saggezza nella sovranità. Al contrario, l’occupazione del
potere suscita un delirio di potenza, e la sete di potere suscita il
più delle volte ambizioni smisurate. Così intorno al potere si
moltiplicano colpi di stato, assassini, fratricidi, patricidi, così
ben descritti da Eschilo, Sofocle, Euripide, Shakespeare, mentre la
follia insita nel potere è stata mirabilmente mostrata da Calderón
de la Barca ne La vita è sogno. Minacciati da rivali o da
pretendenti, i despoti diventano patologicamente diffidenti di
tutto”3.
Marco Aurelio in effetti dice a se
stesso: “ bada a non cesarizzarti” o{ra
mh; ajpokaisarwqh'/" ( A se stesso, 30).
L’ira del tiranno
Edipo è in preda all'ira quando
minaccia Tiresia: non tralascerò nulla, irato come sono ( "wJ"
ojrgh'" e[cw", Edipo re , 345) e pure quando
uccide Laio (" paivw di j ojrgh'"
", colpisco con ira, v. 807).
"L'ira appare tratto distintivo di
ogni figura di tiranno venga rappresentata sulla scena; essa trova
una particolare evidenza nell'Antigone e nell'Edipo re
sofoclei. Sia Creonte fin dall'inizio, sia Edipo, da quando
incomincia a sospettare un complotto contro il suo potere (è dunque
in questo caso il principio della degenerazione che trasforma il buon
re paterno del prologo in una figura tirannica), appaiono soggetti
all'ira, incapaci perciò di un dialogo rispettoso dell'interlocutore
e di una decisione meditata. "Taci, prima di riempirmi d'ira con
le tue parole" (Antigone , v. 280), esclama Creonte,
quasi ad interrompere il resoconto col quale la guardia lo sta
informando del clandestino seppellimento di Polinice. E, a
conclusione quasi della scena, nuovamente lo redarguisce:"Non ti
rendi conto di parlare di nuovo in modo irritante? (Antigone ,
v. 316)"4.
L'ira di Edipo continuerà a colpire i
nemici anche dopo la morte: nell' Edipo a Colono Ismene dice
al padre che un giorno il suo cadavere sarà un grave peso (bavro"
, v. 409) per i Cadmei, quindi la ragazza precisa: "th'"
sh'" uJp ' ojrgh'", soi'"
o{tan stw'sin tavfoi"" (v. 411),
a causa della tua ira, quando staranno presso la tua tomba. Lo
ha fatto sapere Apollo delfico (v. 413).
Il tiranno, come lo schiavo calpesta la
fides che è un valore solo per le persone oneste.
Cicerone
nel De amicitia5
scrive:"Haec enim
est tyrannorum vita nimīrum, in qua nulla fides, nulla caritas,
nulla stabilis benevolentiae potest esse fiducia, omnia semper
suspecta atque sollicita, nullus locus amicitiae. Quis
enim aut eum diligat quem metuat, aut eum a quo se metui putet?"
(15, 52), questa
infatti senza dubbio è la vita dei tiranni, nella quale non può
essere alcuna lealtà, alcun affetto, alcuna fiducia di stabile
benevolenza, tutto è sempre pieno di sospetto e di ansia, e non c'è
posto per l'amicizia. Chi infatti potrebbe amare quello che deve
temere o quello dal quale pensa di essere temuto?
Nell'Agamennone
di Seneca, Egisto parlando con Clitennestra fa questo rilievo:"non
intrat umquam regium limen fides" (v. 285), la lealtà non
entra mai nella soglia di una reggia. La regina ribatte che se la
comprerà con i doni, ma il drudo conclude:"pretio parata
vincitur pretio fides" (v. 287), la lealtà procurata a
pagamento può essere superata da un altro pagamento.
Anche
in questo il tiranno è simile agli schiavi oJ
tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(Platone,
Repubblica, 579e)
Nel mondo carnevalesco e rovesciato
degli schiavi plautini6
al posto del valore forte della fides troviamo quello della
perfidia , la “santa” protettrice dei servi:"
Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas"
(Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare
assai la mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
L’uguaglianza. Le obiezioni di
Giocasta a Eteocle nelle Fenicie di Euripide
Nelle Fenicie dove "Eteocle
incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più"7,
Giocasta obietta:"tiv d j e[sti to;
plevon; o[nom j e[cei monon:/ejpei;
tav g j ajrkounq j iJkana; toi'" ge swvfrosin"
(vv. 553 - 554), che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il
necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata
dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: essi
quando vogliono, a turno, ce le portano via.
Luogo simile in Seneca che nella
Consolatio ad Marciam (10, 2) scrive:"mutua
accepimus. Usus fructusque noster est ", abbiamo ricevuto
delle cose in prestito. L'usufrutto è nostro.
Del resto Giocasta propugna
l'uguaglianza più in generale:"kei'no
kavllion, tevknon, - ijsovthta tima'n" (Fenicie,
vv. 535 - 536), quello è più bello, figlio, onorare l'uguaglianza;
infatti essa è legge cosmica:"nukto;"
t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'" - i[son badivzei
to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543 - 544), l'oscura
palpebra della notte e la luce del sole percorrono uguale il ciclo
annuo. Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure8,
domanda la madre, tu non tollererai di avere una parte uguale del
palazzo (su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn
i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è
la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv
th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori
eccessivamente e pensi che sia un gran che?
Pensi che essere guardati sia segno di
valore? E' cosa vuota (kenovn, v. 551)
di fatto. O vuoi avere molte pene con molte cose nella casa?
Plutarco nella Vita di Solone
ricorda che il legislatore ateniese aveva detto: “to;
i[son povlemon ouj poiei`” (14, 4), l’uguaglianza non
provoca guerra.
“La ricchezza che sta tanto a cuore a
Eteocle si rivelerà così un plou'to~
dapanhrov~ (v. 566) , una ben dispendiosa ricchezza (…) Le
parole conclusive di Giocasta saranno suonate nel teatro di Dioniso
come un accorato monito a una generazione di politici ateniesi così
vicini ai due fratelli del mito: mevqeton9
to; livan, mevqeton (“abbandonate l’eccesso,
abbandonatelo”, v. 584). Ed è un monito diretto a entrambe le
parti: alla parte oligarchica, perché si renda conto che la ricerca
del potere porta alla rovina della città; alla parte democratica,
perché capisca che anche con la ragione dalla propria parte non si
può praticare la violenza all’interno della polis senza
danno per tutti. Non c’è nulla di peggio della somma di due
ajmaqivai contrapposte”10.
Le Fenicie vennero scritte
intorno al periodo del colpo di Stato oligarchico del 411, ma il
rifiuto dell’eccesso è una posizione topica molto diffusa.
Vediamone alcune occorrenze.
Nietzsche mette in rilievo il valore
della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità
etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la
conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della
bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e
del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso
furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea,
dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo
barbarico"11.
La qualità della moderazione
appartiene anche al Catone Uticense della Pharsalia,
celebrato da Lucano come uomo ricco di virtù in testa alle quali c'è
quella serbare la giusta misura ("servare modum ",
II, 381). Conseguono a questo mos altri non meno buoni:"
finemque tenere/naturamque sequi patriaeque impendere vitam/nec
sibi sed toti genitum se credere mundo" (II, 381 - 383),
attenersi al giusto limite, seguire la natura, spendere la vita per
la patria, e credersi nato non per sé ma per tutto il mondo.
Il
quarto coro dell'Oedipus
di Seneca raccomanda di evitare ogni eccesso:"
Quidquid excessit modum,/pendet instabili loco
" (vv. 909 - 910), tutto ciò che ha oltrepassato la giusta
misura, vacilla su un appoggio instabile.
La
dismisura è svantaggiosa: commodus,
“vantaggioso” e commodum,
“vantaggio”, sono connessi etimologicamente a modus
(cum, modus)
Un altro esempio più recente troviamo
nel Parini il quale sostiene che, solo, ama la Musa:"Colui cui
diede il ciel placido senso/e puri affetti e semplice costume;/che,
di sè pago e dell'avito censo,/più non presume"12;
e uno successivo nel Manzoni che ne fa un precetto:" Sentir,
riprese, e meditar: di poco/esser contento...de le umane cose/tanto
sperimentar, quanto ti basti/per non curarle: non ti far mai servo"13.
CONTINUA
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1
276 - 239 a. C.
2
Eliano, Var. hist.
II 20.
3
E. Morin, L’identità umana,
p. 164.
4D.
Lanza, Il tiranno e il suo pubblico ,
p. 50.
5
Del 44 a. C.
6
Plauto visse tra il 255 ca e il 184 a. C.
7Lanza,
op. cit., p. 53.
8
Il consiglio di seguire la natura, in particolare osservando
l'alternarsi del dì e della notte, per prendere decisioni
equilibrate lo dà anche Seneca a Lucilio "cum
rerum natura delibera: illa dicet tibi et diem fecisse et noctem"
(Ep. 3, 6), prendi
decisioni osservando la natura: quella ti dirà che ha fatto il
giorno e la notte. I mortali non possiedono le ricchezze come cose
proprie, esse sono degli dèi e noi le amministriamo (v. 555 - 556).
9
Imp. Aoristo, duale, di meqivhmi,
lascio.
10
E Medda, (a cura di) Euripide, Le Fenicie,
p. 46.
11
La nascita della tragedia,
capitolo IV
12Ode
Alla Musa , vv. 17 - 20.
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