Commento dei primi 59 versi dell'Elettra di Euripide
Recita
il prologo il contadino-autourgov"-, un
personaggio positivo.
Vedi
la “teoria della classe media”.
Il
senso della misura e la teoria della classe media.
In
fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della
misura.
“In
principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è
Voragine? E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può
essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo,
gli dèi, gli uomini,
p. 9).
La
formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è
quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re
barbaro gli fece vedere i suoi smisurati tesori e gli
chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui, nominò
personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni". Allora
Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto")
e zotico (a[groiko"),
tuttavia volle domandargli se lo mettesse in qualche modo
nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi
rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere
misurati (metrivw"
e[cein e[dwken oJ qeov"),
e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma
popolare, non regale né splendida "[1].
Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del
“nulla di troppo”, condannano spesso la dismisura. Diamo la
formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:"
Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato avrà
vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei
mortali senza rovina (ejkto;"
a[ta")"
(vv. 611-614). Anche il "sacrilego" Euripide considera
santo questo valore:"ajcalivnwn
stomavtwn-ajnovmou t& ajfrosuvna"-to; tevlo"
dustuciva",
cantano le Menadi nel primo Stasimo ( Baccanti,
vv. 387-389), di bocche senza freno, di stoltezza senza misura, il
termine è sventura.
Il
Coro della Medea nella
prima strofe del secondo stasimo biasima l'eccesso anche
nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan)
non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se
Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ),
nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare mai, o
signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile
dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).
Nietzsche
mette in rilievo il valore della misura nella sfera
dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la
misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così,
accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere
l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo",
mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri
demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del
mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[2].
A
questa idea della misura è collegabile la teoria della
classe media. La troviamo nelle Supplici [3] di
Euripide. Qui Teseo[4] non
è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori
della povli",
il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I
fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo
si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una
città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra
l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non
ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417-418).
Il
capo degli Ateniesi "non controbatte l'araldo per
quel che riguarda la critica ai demagoghi"[5],
ma propugna la teoria della classe media.
Tre
sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano
avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono
temibili ("deinoiv",
v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle
lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti. Questa
parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali delinquenti
si trova anche nella Costituzione
degli Ateniesi dello
Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il
vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia,
cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel
popolo c’è il massimo di ignoranza , di disordine e malvagità: la
povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza
di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza
(1, 5).
In
conclusione:"Triw'n
de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous
j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici,
vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città,
custodendo l'ordine che essa dispone. Anche Plutarco nella Vita
di Teseo mette
in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli unificò
la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise
che questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse
disorganizzata e confusa (ouj
mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den,
25, 2).
La
teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si
ripropone negli anni
successivi. Nell'Elettra[6] di
Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma,
aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei
d ' a[ndra
th'/ creiva/ kakovn "(v.
375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male
Concludo
con l’Oreste (del
408). (p. 191) “Egli[7] vede
negli aujtourgoiv,
nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare
la polis .
Il v. 920 dell'Oreste -
"un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a
salvare la patria"[8]-ricorda
da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo
salva le città". La classe media era quindi per Euripide
costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro
proprietà"[9].-
Questo
marito in bianco di Elettra, reclusa con lui in una zona montuosa
dell’Argolide al confine con la Laconia, ricorda quando
Agamennone e[pleuse salpò nausi;
cilivai" contro
la Troade ( Elettra,
vv. 2 e 3)
Tucidide tende
a sfatare il mito della grande guerra di Troia,
Agamennone
invero raccolse la flotta poiché superava in potenza i potenti di
allora (tw'n
tovte dunavmei prouvcwn,
I 9, 1).
Il
lidio Pelope infatti aveva portato dall'Asia immense ricchezze
venendo in Grecia tra gente povera (ej"
ajnqrwvpou" ajpovrou",
I 9, 2) e proprio per questo si costruì una potenza politica
(duvnamin I,
9, 2) e divenne eponimo di quella terra, poi chiamata Peloponneso
appunto Il figlio di Pelope, Atreo, continua Tucidide, ereditò la
potenza paterna e la lasciò, accresciuta, ad Agamennone, il quale,
divenuto più forte degli altri anche per la flotta, poté guidare la
spedizione dopo avere raccolto l'armata non con l'amore più che con
la paura:"th;n
strateivan ouj cavriti to; plevon h] fovbw/ xunagagw;n"(I,
9, 3).
Questa
tesi viene autorizzata con l'attestazione di Omero e la citazione di
un verso dell'Iliade (II,
1O8):"pollh'/sin
nhvsoisi kai; [Argei panti; ajnavssein",
su molte isole e su l'Argolide tutta a regnare[10].
Dunque l'Atride aveva una flotta e da questa spedizione si deve
congetturare (eijkavzein
de; crhv,
I, 9, 4)) quanto (meno) grandi siano state le precedenti.
Quella
guerra del resto non poté essere tanto grande quanto
l'ultima combattuta dai Greci. Lo stesso Omero che, siccome poeta,
ingrandisce, racconta di 1200 navi con un carico di uomini non
innumerevoli: dai 120 delle imbarcazioni dei Beoti, ai 50 dei
vascelli di Filottete. La conclusione del ragionamento è che, per
chi considera la media, non sembrano molti quelli andati a Troia,
visto che erano stati mandati da tutta la Grecia in
comune:"to;
mevson skopou'nti ouj polloi; faivnontai ejlqovnte", wJ"
ajpo; pavsh" th'" jEllavdo" koinh'/ pempovmenoi"(I,
10, 5). H. Strasburger ne deduce una volontà emulativa dello
storiografo:"Ciò che indusse Tucidide alla sua opera fu
piuttosto, come abbastanza chiaramente egli stesso lascia capire, la
speranza di poter superare la guerra di Troia e quella contro i
persiani con la sua
guerra ,
e conseguentemente Omero ed Erodoto con la sua narrazione"[11].
Il
contadino racconta il successo di Agamennone a Troia-kakei'
me;n eujtuvchsen- (Elettra,
8). Ma l’eujtuciva il
successo non è eujdaimoniva,
felicità[12].
Cfr.
Medea dove il messo racconta la morte di Creonte e della figlia
Glauce quindi commenta;
Le
cose mortali non ora per la prima volta considero ombra, 1223
e
senza timore potrei dire che gli uomini i quali si credono
pieni
di sapere e indagatori di ragioni
proprio
costoro meritano l'accusa della più grande follia.
Tra
i mortali infatti non c'è nessun uomo che sia felice, cercal il
greco
quando
passa un'ondata di prosperità, uno può diventare
più
fortunato di un altro, ma felice nessuno. 1230
Euripide
esprime simile negazione della felicità anche in un verso del
prologo della perduta Stenebea citato
da Aristofane :" oujk
e[stin o{sti" pavnt j ajnh;r eujdaimonei'"
( Rane ,
v. 1217).
Agamennone
dunque, se ebbe successo nella Troade, ejn de; dwvmasin-qnh/skei,
muore ucciso nel palazzo in aggiunta all’inganno di
Clitennestra- pro;"
Klutaimnhvstra" dovlw/ (9)
e di Egisto, figlio di Tieste. Ammazzato il marito, i due amanti si
sono sposati.
Partendo
per Troia il re lasciò nel palazzo a[rsena
tj jOrevsthn, qh'luv t jj Hlevktra" qavlo" (Elettra,
15) un maschio Oreste e una femmina il germoglio di Elettra.
Dalla
radice qal- deriva
il sostantivo qavlo" che
indica il "germoglio" cui verrà assimilata Nausicaa da
Ulisse nel VI canto (v. 157).-qavllw,
fiorisco. La fioritura è collegata alla giovane età e al
correlativo celibato; così come qavlo" viene
chiamata Nausicaa da Odisseo quando vuole ingraziarsela (v. 157),
vv.
153-157:"se invece sei uno dei mortali, che dimorano sulla
terra,/tre volte felici certo per merito tuo il padre e la veneranda
madre,/tre volte felici i fratelli: molto, credo, a loro
l'animo/tutte le volte di letizia si scalda per te/quando vedono un
tale germoglio entrare nella danza".-qh'lu"
, femminile,
femmina, è imparentato etimologicamente con femina,
felix, felicitas,
da una radice indoeuropea *dha-/dhe che
ha dato come esito in greco qh-,
in latino fe-
CONTINUA
-------------------
[3] Del
422 a. C.
[4] Alcuni
personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una
pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[6] Probabilmente
degli anni intorno al 415.
[7] Euripide.
[8]Aujtourgo;",
oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[9]Di
Benedetto, op. cit., p. 208.
[10] Omero
fa la storia dello scettro che Agamennone tiene in mano. Era di
origine divina e glielo aveva lasciato Tieste da portare come
simbolo del potere (“a regnare”, appunto).
[11] La
storia secondo i Greci: due modelli storiografici, in La
storiografia greca ,
p. 18.
[12] "Gianni
Agnelli è stato un uomo fortunato, nel senso che gli dei gli
procurarono, all'apparenza, tutto quanto si può desiderare nella
vita. Ma non è stato un uomo felice" scrive Piero Ottone pochi
giorni dopo la morte di questo personaggio molto noto, invidiato e
corteggiato (in Il Venerdì di "la Repubblica" del
31 gennaio 2003, p. 19).
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