Sono Felici Conte, Di Maio, Matteo Salvini e altri uomini del genere?
Rispondo,
con Platone, che non li conosco abbastanza ma ne dubito.
Nel Gorgia il
giovane retore di origine agrigentina Polo dice a Socrate che fatti
anche recenti dimostrano che molti uomini sono felici pur
commettendo ingiustizie wJ"
polloi; ajdikou'nte" a[nqrwpoi eujdaivmonev" eijsin (470d).
Quindi fa l’esempio di
Archelao re di Macedonia (quello che aveva ospitato, tra gli altri
Euripide e Agatone). Poi domanda retoricamente all’anziano
filosofo se non gli sembri felice quel monarca.
Il
dialogo è ambientato nell’ultimo decennio del V secolo.
Socrate
risponde che non lo sa poiché non ha mai incontrato Archelao.
Polo
incalza il maestro di Platone e lo provoca dicendogi: è chiaro che
ora affermerai che nemmeno del grande re di Persia sai
dire se sia felice.
A
questo giovane infatuato doveva sembrare del tutto assurdo non
riconoscere a occhi chiusi la felicità del sovrano più ricco e
potente della terra.
Socrate
risponde con solida semplicità e chiarezza: “ E dirò
appunto solo quello che è vero: di fatto non so come stia a
educazione e giustizia “ouj
ga;r oi\da paideiva~ o{pw~ e[cei kai; dikaiosuvnh~ , Gorgia 470e).
Sono
questi i criteri del giudizio sulla felicità.
Poi
il maestro afferma che l’uomo bello e buono, così come la donna, è
felice , mentre quello ingiusto e malvagio è un disgraziato-to;n
me;n ga;r kalo;n kai; ajgaqo;n a[ndra kai; gunai'ka eujdaivmona
ei\naiv fhmi, to;n de; a[dikon kai; ponhro;n a[qlion.
Ieri
ho visto il film La favorita che mostra per immagini
tale verità
Dentro
il palazzo c’è il dolore.
Infine
porto l’ argomento decisivo per negare la felicità di quelli che
hanno raggiunto il potere aspirando alla potenza: il potere non è
potenza.
Via
Penteo, da’ retta a me: ajll
j ejmoiv, Penqeu', piqou'
non
presumere che il potere abbia potenza sugli uomini, mh;
to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi"
e[cein (Euripide, Baccanti, 309-310)
Sono
parole del vate Tiresia a Penteo, l’infatuato giovane re di Tebe
Poco
più avanti, nel I Stasimo, il Coro dice che il sapere non
è sapienza –to; sofo;n d j ouj
sofiva (Baccanti, 395)
Baci
gìanni
p.s. Seneca maledice il potere. Il regnum secondo Seneca è un fallax bonum del quale non c'è da gioire: copre grande quantità di mali sotto un aspetto seducente:" Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis"(Oedipus,vv.7-8), qualcuno gode del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto una facciata così lusinghiera!. Sono parole di Edipo che dà inizio al dramma descrivendo l'infuriare della pestilenza.
Per
Seneca, " per questo uomo di potere…il potere è un nucleo
irriducibile di male-insieme fatto e subìto, avviluppato nelle
rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia soggettiva"[1].
Questo
tema è presente anche nella tragedia greca. Ione sostiene
la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al
potere che viene smontato del tutto :"del potere lodato a
torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn
dovmoisi de;- luphrav): chi
infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso
(dedoikw;" kai;
parablevpwn), trascina/il
corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che
essendo tiranno ("dhmovth"
a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno"
w[n"),/il quale si
compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di
attentati " (Ione,
vv. 621-628). Tale affermazione è ricorrente
nell'opera euripidea: torna nell' Ifigenia
in Aulide dove
lo stesso Agamennone, richiesto di sacrificare la vita della
primogenita , dice a un vecchio servo:" ti invidio,
vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una vita/senza
pericoli, ignorato, oscuro (ajgnw;"
ajklehv" );/ quelli
che stanno tra gli onori li invidio di meno"(17-20).
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