Nicolas Poussin, Veturia ai piedi di Coriolano |
Seconda
parte della lezione che terrò nella biblioteca Ruffilli il 9 gennaio
dalle 17, 30.
Shakespeare, Coriolano (del
1607) e la Vita di Coriolano ( parallela
alla Vita di Alcibiade) di Plutarco (45-125
ca)
Prima
parte uno sguardo d’insieme
Il
Fato nel Coriolano di Shakespeare è la lotta
di classe.
Shakespeare
trae la trama da Plutarco.
Siamo
nell’epoca successiva alla cacciata dei rem nei primi anni del V
secolo a. C. I plebei hanno avuto i tribuni della plebe. Caio Marzio
ha strappato Corioli ai Volsci e ha avuto il soprannome di Coriolano.
Si
candida al consolato ma il popolo respinge la sua candidatura poiché
questo “nemico del popolo” voleva eliminare il tribunato. I
tribuni lo accusano di avere violato le leggi e lo fanno esiliare.
Coriolano passa dalla parte dei Volsci. E propone una spedizione
contro Roma.
Giunto
alle porte di Roma, potrebbe conquistarla, ma la madre e la moglie lo
fanno tornare indietro
Livio
lo fa morire serenamente tra i Volsci. Plutarco scrive che i Volsci
lo uccisero e Shakespeare segue questa versione
“La
città che scaccia il proprio comandante diventa inerme, il popolo sa
solo odiare e azzannare, ma è incapace di difendere la propria
città. Le masse sono un elemento cieco e distruttore, come il fuoco
e le inondazioni”[1].
Plutarco afferma
che una natura buona e generosa se non riceve un’educazione buona
produce molti vizi, come un terreno fertile se non trova chi lo
coltivi.
Il
vizio di Coriolano è l’alterigia.
La
storia feudale raccontata da Plutarco trova facilmente i suoi modelli
nella storia romana.
Agrippa parla
in versi, i plebei in prosa.
Agrippa racconta
l’apologo dello stomaco e delle menbra che si ribellarono contro lo
stomaco- all the body’s members –rebelled aganst the
belly- e lo accusavano- thus accused it: di
essere come un golfo like a gulf (gr. kovlpo") nel
mezzo del corpo (I, 1, 93-95), torpido e nullafacente, idle
and unactive, sempre a stiparsi di cibo, senza lavorare,
mentre the other instruments did minister unto
appetite and affection common of the whole body (I,
1, 102-104), gli altri organi provvedevano agli appetiti e bisogni
comuni di tutto il corpo
Un
apologo che si trova sia in Livio sia in Plutarco il quale
scrive che i plebei occuparono o[ro" o}
nu'n iJero;n kalei'tai para; to;n jAnivwna
potamovn un colle che ora si chiama sacro presso il fiume
Aniene. La data tradizionale è quella del 494. Il senato allora
mandò uno dei suoi membri più moderati e ben disposti verso il
popolo, Agrippa il quale andò dalla plebe secessionista e narrò il
ben noto apologo: e[fh ga;r
ajnqrwvpou ta; mevlh pavnta pro;" th;n gastevra stasiavsai kai;
kathgorei'n aujth'" wJ"
movnh" ajrgou' kai; ajsumbovlou kaqezomevnh" ejn
tw'/ swvmati (6, 4) raccontava infatti che tutte le
membra del corpo si ribellarono contro lo stomsco e lo accusarono di
starsene unica parte del corpo inerte e ozioso, mentre le altre parti
per i suoi appetiti-eij" ta;"
ejkeivnh" ojrevxei"- si sobbarcavano
grandi fatiche e servizi povnou"
te megavlou" kai; leitourgiva" uJpomenovntwn .
Lo
stomaco rise della loro ingenuità continua il racconto di
Agrippa-th;n
de; gastevra th" eujhqeiva" aujtw'n katagela'n-poiché
ignoravano che lui trofh;n
uJpolambavnei me;n eij" aujth;n a{pasan raccoglie
sì, dentro di sé tutto il nutrimento, ma poi lo rimanda
e lo distribuisce alle altre parti del corpo ajnapavmpei d
j au\qi" ejx auJth'" kai; dianevmei toi" a[lloi"
(6,
4).
Nel Coriolano di
Shakespeare il ventre rispose (I, 1, 105) with a
kind of smile- meidiavw-,
con una specie di sorriso, di essere il deposito the
storehouse (I, 1, 131) e l’officina di tutto il
corpo: attraverso il sangue rimando la sostanza del cibo
al palazzo del cuore e al trono del cervello I
send it trough the rivers of your blood even to the court
, the heart, to the seat of the brain (I, 1, 133-134).
Agrippa
contrappone alla opposizione di classe una concezione organica della
società che è appunto un grande organismo.
La
conclusione di agrippa è
“the
senators of Rome are this good belly
And
you the mutinous members” (I, 1, 146-147)
Alla
rozza dicotomia patrizio- plebea viene contrapposta una teoria
organica e funzionale.
Entra
poi in scena Coriolano che dice alla plebe: “che c’è di nuovo,
sediziose carogne che grattando la triste rogna delle vostre opinioni
vi coprite di pustole?” (Coriolano, I, 1, 161-163)
“Agrippa
è l’ideologo dei patrizi (…) è il tattico e il
filosofo dell’opportunismo (…) Nel Coriolano Agrippa
fa la parte, nel migliore dei casi, di Polonio nel’Amleto (Kott, Op.
cit.,
p. 145 e p. 146).
Agrippa
in Plutarco è un personaggio positivo, un membro moderato
del senato, tra i più vicini al popolo
(mavlista dhmotikouv", 6,
3)
Coriolano
respinge ogni genere di tattica
Marzio
aggiunge alla divisione in classi, quella tra i nobili e i vili,
un’altra separazione: quella tra gli intelligenti e gli scemi.
Chiama
la plebe cani senza razza, chi merita onore ha il vostro odio, e le
vostre passioni sono desideri di malato che vuole soprattutto ciò
che gli fa male “and your affections are- a sick man’a
appetite who desires most that -which increase his evil, cambiate
opinione ad ogni momento- with every minute you do change a
mind- (I, 1, 174-189).
Gridate
contro il Senato, ma se questo non vi tenesse a freno, vi divorereste
l’un l’altro.
Per
Coriolano i plebei sono delle bestie che troppo nutrite si avventano
contro gli uomini.
La
canaglia con il tempo spezzerà le serrature del Senato e farà
entrare i corvi a beccare le aquile and bring in the
crows to peck the eagles (III, 1, 138)
C’è
la guerra: i Volsci insorgono contro Roma e Caio Marzio dice: The
Volsces have much corn; take these rats thither to gnaw their
garners-granarium- (I, 1, 248) portiamo là questi topi a
rodere i loro granai.
I
tribuni della plebe Sicinio e Bruto commentano l’insolenza di
Coriolano.
Bruto
dice che quando si arrabbia non esita a insultare gli dèi, e Sicinio
aggiunge: bemock
the modest moon (I,
1, 254) sfotte la casta luna.
Quindi:
se il successo lo aizza, sdegna l’ombra che pesta a
mezzogiorno.disdains the shadow which he treads on at noon (I,
1, 259)
Coriolano
non vuole chiedere i voti del popolo per diventare console.
La
madre Volumnia gli consiglia di dire anche parole bastarde come si
può fare con dei nemici esterni.
Questo
è il dramma dell’odio di classe
Ma
Coriolano non vuole adulare “la moltitudine volubile e
puzzolente” (III, 1, 66). Il popolo è tetro e miserabile ma non
silenzioso. Abbaia come una muta di cani. E’ mutevole, grida
“evviva”, poi “a morte” ed è pronto a tutto pur di salvare
la pelle e i suoi cenci puzzolenti
Per
Shakespeare, il popolo è solo materia della storia, non il suo
attore: può suscitare pietà o ribrezzo o paura, ma è impotente, è
un giocattolo nelle mani dei pochi che hanno il potere.
Cfr.
Tacito delle Historiae e i cives Romani che
assistevano all’ultimo scontro sanguinoso tra Flaviani vincitori e
Vitelliani vinti facendo il tifo come al circo e spostandosi da
bordelli a osterie.
“E
anche per il popolo la guerra civile-quando non importi la privazione
dei comodi più volgari- può essere motivo di squisito sollazzo”
(Marchesi, Tacito,
p. 257). In Hist.
III, 83 Tacito racconta come entrarono i Flaviani vittoriosi in Roma
nel dicembre del 69 durante la festa dei Saturnali
“Aderat
pugnantibus spectator populus, utque in ludrĭco certamine, hos,
rursus illos clamore et plausu fovebat”
Sangue
e accanto bagasce e bagascioni,
-saeva
ac deformis urbe tota facies: alibi proelia et volnera, alibi
balineae popinaeque: simul cruor et strues corporum, iuxta
scorta et scortis similes.
Una
pace dissoluta, il saccheggio più bruto. Furore e gioia. Era già
successo con Silla e con Cinna. C’era una disumana indifferenza
- inhumana securitas- e la dissolutezza non ammetteva
interruzioni e i piaceri non furono interrotti, come se ai Saturnali
si fossero aggiunti altri spassi. Godevano per la sola allegrezza del
pubblico male (p. 258)
Nel Giulio
Cesare il popolo prima acclama Bruto, poi, dopo l’orazione
di Marco Antonio, vuole farlo a pezzi. Si può pensare a Mussolini a
piazza Venezia poi a piazzale Loreto. Nihil novi.
Shakespeare
aveva visto gli artigiani londinesi salutare Essex con le torce, poi
pascersi alla vista della sua esecuzione (Kott)
I
tribuni in Plutarco difendono il popolo; nel Coriolano sono
degli imbecilli: sono “la lingua della bocca comune” ( the
multi tudinous tongue, III, 1, 1,56), una lingua che
il senato dovrebbe strappare. I tribuni Bruto e Sicinio sono malmessi
e ridicoli.
Bruto accusa
Coriolano di parlare da traditore e coriolano replica: che nemmeno al
popolo può venire alcun beneficio da “questi tribuni
spelacciati” these bald Tribunes (III, 1, 163).
La
plebe scaccia Coriolano, gli imbelli patrizi lo abbandonano, Roma si
è dimostrata vile e Coriolano dice: “Io disprezzo per causa vostra
la città e le volgo le spalle: there is a world elsewhere,
vi è un mondo altrove (III, 3, 134).
Coriolano
va dai Volsci dando ragione alla plebe che lo considera un nemico del
popolo.
Menenio
dice di lui: “La sua natura è troppo nobile per il mondo” (III,
1, 254). Non adulerebbe nettuno per il suo tridente né Giove per il
tuono: “his heart, s his mouth” (III, 1, 253), il suo
cuore è la sua bocca.
Coriolano
comincia a perdere quando accetta i compromessi. Egli cade
vittima delle leggi di natura: “io mi intenerisco e non
sono di un’argilla più resistente di quella degli altri” (V, 3,
28-29).
Poi
l’ironia della storia: sarà Aufidio, il generale dei Volsci a
uccidere Coriolano e a pronunciare il suo elogio funebre.
Come
Ottaviano rende omaggio alle spoglie di Antonio. Si pensi a Moro
(Aldo), fatto ammazzare, poi celebrato dalle stesse persone
Alla
fine le trombe, i pifferi, i tamburi dei romani make the sun
dance (V, 4, 50), fanno danzare il sole
Confronti
tra il testo inglese e quello greco.
Coriolano
è un “edipico”.
Coriolano
non vuole ricompense in denaro, Un cittadino dice che quanto ha fatto
di meglio he did it to please his mother and to
be partly proud per piacere a sua madre e anche per la
superbia, che ha grande come il coraggio (Shakespeare, Coriolano I,
1, 37-38).
Plutarco scrive
che Coriolano si proponeva come fine della gloria la felicità di sua
madre tevlo"
ejkeivnw/ de; th'" dovxh" hj th'" mhtro;"
eujfrosuvnh ( Vita di coriolano,
4, 5).
Marzio
si sposò quando la madre Veturia (Volumnia in Shakespeare) glielo
chiese ed ebbe anche dei figli dalla moglie Virgilia, ma continuò a
vivere nella stessa casa con la madre. La madre del resto
lo ha allevato come facevano le spartane: ero contenta di lasciarlo
cercare il pericolo dove poteva trovare la fama (I, 3).
To
a cruel war I sent him, dalla
quale tornò con le tempie cinte di quercia. Non provai tanta gioia
quando seppi che mi era nato un uomo, quanta ne sentii seeing
he had proved himself a man (I,
3, 10 ss.)
E
ancora: “i seni di Ecuba quando allattava Ettore non
erano belli come la fronte del figlio quando pieno di sprezzo
(contemning- lat. contemno) schizzava sangue
contro le spade greche” (I, 3, 41-44).
Cfr. Gorgò la
moglie di Leonida, a una straniera che le aveva detto: solo voi donne
spartane comandate sugli uomini, Gorgò rispose: “movnai
ga;r tivktomen a[ndraς (Plutarco, Vita
di Licurgo, 14),
infatti solo noi partoriamo degli uomini.
Gorgò
da bambina diede ordini perfino al padre, al re Cleomene. Lo dissuase
dall’accettare il denaro (50 talenti) che Aristagora di Mileto gli
offriva in cambio di un aiuto militare (Erodoto, V, 52, 2).
Virgilia,
la moglie, vuole fare la parte di Penelope. Glielo rinfaccia Valeria,
un’amica della madre Volumnia, aggiungendo che tutta la lana filata
in assenza di Ulisse non fece che riempire Itaca di tarme (I, 3, 82
ss)
Dopo
la battaglia nella quale Coriolano si è coperto di gloria, il
collega generale Cominio vuole assegnargli the tenth, la
decima parte della preda (I, 9, 39-40)), ma Coriolano rifiuta un
premio tanto grande e dice che la sua parte deve essere uguale a
quella di chi lo ha visto combattere.
Una
forma di comunismno aristocratico. Uguaglianza economica ma comamdino
i migliori, i più capaci.
Siamo
nel periodo immediatamente successivo al 494 quando la plebe
ottenne magistratus sacrosanti quibus auxilii latio adversus
consules esset (Livio, II, 33). Nell’anno della presa di
Corioli morì Menenio Agrippa cui mancarono i denari per il funerale
e la plebe fece una colletta.
Vedi
anche il potere dell’intercessio, il diritto di veto dei
tribuni.
Plutarco mette
in luce che in quel tempo il denaro non era un idolo. Marzio si
presentò quale candidato al consolato (uJpateiva,
u{patoς console)
con il solo mantello (iJmavtion) a[neu
citw'noς, senza la
tunica, sia per apparire più umile nell’aspetto, come è
appropriato a chi fa delle richieste, sia per mostrare le cicatrici
(wjteilaiv),
come segni visibili del valore.
“ Più
tardi infatti, e dopo molto tempo, si introdusse la compra vendita
dei suffragi e si mescolò il denaro con i voti dell’assemblea”
(ojye;
ga;r meta; polu;n crovnon wjnh; kai; pra'siς ejpeish'lqe
kai; sunemivgh tai'ς ejkklhsiastikai'ς yhvfoiς ajrguvrion, Vita 14,
3).
Quindi
la corruzione (hJ
dwrodokiva) toccando
anche i tribunali e gli accampamenti (kai;
dikastw'n qigou'sa kai; stratopevdwn),
portò la città alla monarchia, asservendo le armi al
denaro ejxandrapodisamevnh
ta; opla toi'ς crhvmasin.
Primo
a minare la forza del popolo fu colui che iniziò a
offrirgli banchetti e doni. Cfr. il reddito di
cittadinanza invece del lavoro.
Il
popolo però riteneva già allora di subire vessazioni uJpo;
tw'n daneistw'n (Vita,
5, 2) da parte degli usurai.
L’indebitamento
si chiamava nexum e
prevedeva la schiavitù degli insolventi. Questa conseguenza provocò
rivolte e fu abolita nella seconda metà del IV secolo. Cfr. Solone e
le sue leggi.
In
Shakespeare. Un cittadino dice che i senatori make
edicts for usury (I, 1) fanno editti a vantaggio degli
usurai.
Anno
492. Coriolano non venne eletto per il 491, bensì Minucio e
Sempronio
Gelone
(tiranno di Siracusa dal 485 al 478; nel 491-490 era ancora tiranno
di Gela) inviò del grano in dono e la plebe sperava che venisse
venduto a prezzo politico o regalato. Coriolano si oppose. Era anche
contrario al tribunato della plebe come stato nello Stato.
Tito
Livio
In Livio,
Coriolano dice: “Si annonam veterem volunt, iam pristĭnum
reddant patribus (II, 34), se vogliono il grano al vecchio
prezzo, restituiscano ai patrizi, lo stato di prima. Dice che non ha
sopportato la dittatura di Tarquinio, e non vuole tollerare i
tribuni. Et senatui nimis atrox visa sententia est (II,
35).
La
plebe vedeva in Coriolano un mostruoso carnefice. Coriolano damnatus
absens in Volscos exulatum abiit,
condannato in contumacia andò in esilio tra i Volsci (II, 35). Lo
ospitò Attio Tullio (In Shakespeare si chiama Tullo Aufidio)
acerrimo nemico dei Romani.
Trattare
bene il popolo come facevano le democrazie radicali della Grecia,
disse Coriolano, significava rifornire la loro indisciplina th;n
ajpeivqeian aujtw'n ejfodiavzein (Plutarco,
16).
Cfr.
Platone: la democrazia è costituzione anarchica e variopinta
(Repubblica: E'
una costituzione populista, piacevole, anarchica e variopinta, che
distribuisce una certa uguaglianza nello stesso modo a uguali e
disuguali (hJdei'a politeiva kai;
a[narco" kai; poikivlh, ijsovthtav
tina oJmoivw~ i[soi~ te kai; ajnivsoi~ dianevmousa, 558c).
Coriolano propone
di togliere alla plebe th;n
dhmarcivan (il
tribunato, Vita,
16, 7) che annulla il potere consolare e divide la città. Roma
infatti è stata tagliata in due.
Il
Coriolano di Shakespeare aveva detto ai senatori: “ nell’
assecondare la folla, noi nobili nutriamo contro il nostro senato la
cattiva erba della ribellione, dell’insolenza della
sedizione we nourish –nutrio-nutrire-‘gainst
our Senate the cockle of rebellion, insolence, sedition (III,
1, 69-70 )
Plutarco:
i tribuni dhvmarcoi aizzarono
la folla contro Coriolano.
In Shakespeare i
tribuni Sicinio e Giunio Bruto manovrano per danneggiarlo. Eppure
aveva riempito Roma di benefici.
Plutarco ricorda
che Coriolano quando era ancora un ragazzo partecipò alla battaglia
finale contro Tarquinio che gettava l’ultimo dado (e[scaton kuvbon,
3, 1) avendo molti latini alleati (forse fa confusione con
quella del lago Regillo contro i Latini del 499 o 496).
Allora
il dittatore incoronò il giovane eroe con una corona di
quercia-ejstefavnwse
druo;ς stefavnw/ (3)
E Shakespeare scrive
che Marzio piegò Tarquinio e per ricompensa was
brow-bound with the oak, fu
incoronato con la quercia (II, 2).-brow, sopracciglio
e fronte- cfr. ojfruvς,
sopracciglio e orgoglio
Il
popolo quasi si scagliava contro i senatori.
I
tribuni presentarono un’accusa (aijtivan)
contro Coriolano e lo invitavano a discolparsi ejkavloun
aujto;n ajpologhsovmenon (Vita,
17, 4). Coriolano cacciò i funzionari con la citazione. Allora i
tribuni, meta; tw'n
ajgoranovmwn (17,
5) con gli edili della plebe, cercarono di catturarlo.
I
patrizi lo difesero e scoppiò un tumulto (tarachv,
17, 7v)
Il
giorno dopo i consoli tentarono di placare il popolo.
I
tribuni chiesero che Marzio andasse a scusarsi sperando che si
umiliasse o si arrabbiasse. Marzio invece si presentò con aria
sprezzante e di sfida, e il popolo si inasprì. Il più ardito dei
tribuni (tw'n dhmavrcwn oJ
qrasuvtatoς),
Sicinio, disse che loro, i difensori del popolo, avevano condannato a
morte Marzio (Vita,
18, 3-4)
Alla
fine Marzio si sottopose al giudizio e fu condannato all’esilio
perpetuo-ajivvdio"
fughv (20) Il
popolo ne fu felice. Marzio non ne fu umiliato ma adirato. Quindi
abbracciò le sue donne poi uscì da Roma seguito da tre o quattro
clienti. trei'ς h]
tevttaraς pelavtaς e[cwn
peri; aujtovn (21).
I clienti non mancano mai, a Roma non sono mai mancati.
Coriolano
prima dimorò nei suoi poderi poi decise di suscitare ajnasth'sai una
grave guerra-povlemon
baruvvn kai; o{moron contro
Roma da parte dei popoli confinanti (ojmo" e o{ro"-
ou-
confine).
Coriolano si
rivolse a Tullo Attio che viveva nella città di Anzio. Questo
accoglie la sua proposta e lo invitò a prendere il comando delle
truppe. Marzio conquistò diverse città del Lazio fini a Bola che
dista solo cento stadi da Roma (18 km circa). A questo punto la plebe
chiese il ritorno di Coriolano a Roma ma il Senato non ratificò il
plebiscito. Allora Marzio si infuriò e mosse contro Roma ponendo il
campo a quaranta stadi (7 km e mezzo) quinque ab urbe
milia (Livio, II, 9, 5).
Andarono
a pregarlo dei suoi parenti e amici ma lui li ricevette seduto con
una pompa e un sussiego insipportabili met
j o[gkou kai; baruvthto" oujk ajnekth'" (30,
6). Coriolano rispose agli ambasciatotori di Roma con sdegno e
ira pikrw'" kai;
pro;" ojrghvn per
i torti subiti, Poi chiese che si estendesse ai Volsci ijsopoliteivan
h{nper Lativnoi" (30,
8) in pratica il foedus
Cassianum concesso
dal console Cassio ai Latini nel 493 dopo la battaglia del lago
Regillo
Era
un patto difensivo nei confronti dei Volsci e degli Equi.
In
Shakespeare, Coriolano caccia Menenio Agrippa (V, 2, 87-88)
Tuttavia
si ritirò dal territorio di Roma e questo suscitò tra i Volsci le
prime accuse. Tra i detrattori ostili c’era Tullo invidioso di
Coriolano –ejn d
jj‘anqrwpivnw/ pavqei gegonwv", vittima
di una debolezza umana (31, 2)
Marzio
poi avanza di nuovo contro Roma.
Allora
Valeria va a trovare Volumnia e Virgilia e propone di
recarsi dal loro figlio e marito con i figli della coppia. Gli stessi
Volsci ne ebbero compassione
Rimane
fondamentale il rapporto con la madre Volumnia.
Coriolano
come vide avanzare le matrone si stupì (ejqauvmasen, Vita,
34), poi, osservandole, venne sopraffatto dall’emozione
(genovmenoς de;
tou' pavqouς ejlavttwn)
e fu sconvolto a quella vista kai;
suntaracqei;ς pro;ς th;n
o[yin,
e non sopportò di rimanere seduto: mentre si avvicinavano scese
dalla tribuna, prwvthn
me;n hjspavsato th;n mhtevra anche
con l’abbraccio più lungo kai;
plei'ston crovnon, poi
abbracciò la moglie Virgilia e i figli, senza trattenersi dalle
lacrime
In
Shakespeare. Coriolano vede arrivare “lo stampo venerata da cui
prese forma questo torso” ( the
honoured mould-modulus misura- wherein
this trunk truncus-was framed-V, 3, 22-23).
Volumnia
porta per mano il nipote del suo sangue-and in her hand- the
grandchild to her blood (V, 3, 23-24).
Coriolano
è commosso ma cerca di resistere: let it be virtuous to be
obstinate,-obstinatus- sia virtuosa la risolutezza (V, 3,
26)
Dice:
mia madre si inginocchia bows come un Olimpo che si
curvi a implorare la tana di una talpa, and my young boy hath
an aspect of intercession which great Natur cries ‘deny
–nego-not’! che la grande natura mi grida: non
respingere!” (V, 3, 29-33)
Coriolano
cerca di non impietosirsi: “I’ll never be such a
gosling to obey-oboedio- instinct, non sarò
come un papero che obbedisce all’istinto, but stand as if
man were author of himself and knew no other kin-ma resisterò
come se fossi un uomo che ha fatto se stesso e non conosce altri
parenti (34-37)
Plutarco:
come riconobbe la madre che camminava davanti alle altre, dapprima
cercò di non impietosirsi ma poi genovmeno"
de; tou' pavqou" ejlavttwn, sopraffatto
dall’emozione e sconvolto a quella vista kai;
suntaracqei;" pro;" th; o[yin ,
non sopportò di rimanere seduto e andò loro incontro senza
risparmio di lacrime e gesti di tenerezza (34).
In
Shakespeare Coriolano davanti alla moglie che gli rinfaccia il loro
dolore dice a se stesso, a parte: “-aside-like a dull
actor now I have forgot my part” (V, 3, 40 ).
Poi
si inginocchia davanti alla madre. Volumnia lo fa alzare. Quindi si
inginocchia lei stessa
Volumnia
gli presenta il figlio come a poor epitome of yours (V,
3, 68) un povero compendio di te.
La madre
aggiunge che anche se loro non parlassero, should we be
silent and not speak, our raiment and state of bodies would
bewray what life we have led since thy exile le vesti e lo
stato dei corpi direbbero quale vita abbiamo fatto dal tuo esilio (V,
3, 95-97)
In Plutarco Veturia
dice oJra'ς w|
pai', ka]n aujta; mh; levgwmen, ejsqh'ti kai; morfh'/ tw'n
ajqlivwn swmavtwn tekmairovmenoς oi{an
oijkourivan hJ sh; fugh; periepoivhse (35,
2), tu vedi pure se noi non parliamo dalle vesti e deducendolo anche
dall’aspetto dei nostri miseri corpi a quale vita ritirata in casa
si abbia costretto il tuo esilio
Siamo ajtucevstatai
pasw'n gunaikw'n poiché
siamo quelle cui la sorte ha reso temibile la più cara
delle viste –ai|ς to;
h{diston qevama foberwvtaton hJ tuvch pepoivhken (35,
2)
How
more unfortunate than all living women are we,
poiché la tua vista che dovrebbe riempirci gli occhi di gioia e far
danzare i cuori di felicità, li forza a piangere e a tremare di
paura e di dolore (V, 3, 98-100.)
Ora
noi dobbiamo perdere la patria, nostra cara nutrice o la tua
persona Alack, or we must lose-the country our
dear nurse-nutrix, or else thy person, our comfort in the
country (V, 3, 109-111)
E Plutarco:
non è possible aijtei'sqai
para; qew'n kai; th'/ patrivdi nivkhn a{ma kai; soi; swthrivan (35,
3)
Se
attaccherai la patria thy country, gli dice
Volumnia, non potrai che calpestare than to tread il
ventre di tua madre –on thy mother’s womb-che ti mise al
mondo (V, 3, 123-125 )
E
Virgilia aggiunge: e il mio ventre Ay, and mine che
ti partorì questo ragazzo e farà vivere nel tempo il
nome di Coriolano (V, 3, 126-127).
In Plutarco Volumnia
dice: “se non riuscirai a farti benefattore di questi
due popoli, tu non potrai attaccare la patria pri;n
h[ nekra;n uJperbh'nai thn tekou'san (35,
6), prima di essere passato sulla morta che ti ha partorito”
Non
ti chiedo di distruggere i Volsci, no, la nostra richiesta è di
riconciliarli our suit is to reconcile them. (V, 3,
135-136)
“a[dhloς d
j w]n oJ povlemoς tou't
j e[cei provdhlon” (Vita, 35,
9) essendo
la guerra incerta, ha questo di certo; se vincerai, sarai il
distruttore della patria, se verrai sconfitto tutti penseranno che
per spirito di vendetta hai causato sventure ai tuoi benefattori e
amici.
“The
end of war is uncertain; but this is certain” (V,
3, 141)
Se
conquisti Roma, ti rimarrà la rinomanza di uomo che fu nobile ma con
l’ultima impresa spazzò via la nobiltà: egli ha
distrutto la sua terra madre destroyed his country (V,
3, 147)
In
Plutarco Volumnia dice che a Coriolano vincitore rimarrà la cattiva
fama di ajlavstwr
th'ς patrivdoς,
demone vendicatore, flagello della patria (35, 9).
Coriolano
non risponde subito.
Allora
Volumnia fa: “tiv
siga'/ς w\ pai';” (36,
2).
E in
Shakespeare: Why dost not speak? (V, 3, 153)
Risentimento
negativo e gratitudine invece positiva
Poi
aggiunge: “Think’st
thou it honourable for a nobleman still to remember wrongs pensi
che sia onorevole per un nobile ricordare le offese per
sempre? (154-155).
Plutarco:
“è forse bello abbandonarsi del tutto all’ira e al risentimento,
mentre non è bello compiacere la madre che ti rivolge così gravi
preghiere? (povteron
ojrgh'/ kai; mnhsikakiva/ pavnta sugcwrei'n kalovn, ouj
kalo;n de; mhtri; carivsasqai deomevnh/ peri; thlikouvtwn; 36,
2)
O
conviene (proshvkei)
a un grand’uomo ricordare il male subito mentre sarebbe indegno di
un uomo grande e nobile rendere onore e omaggio ai benefici che da
bambino ha ricevuto dai genitori? (36 , 2)
“There’s
no man in world more bound to’s mother,
non c’è uomo al mondo più obbligato a sua madre (V, 3, 158-159)
“Thou
hast never in thy life-showed thy dear mother any courtesy” (V,
3, 160-163), nella tua vita non hai mai dimostrato gentilezza a tua
madre, a lei che, povera chioccia-poor
hen-,
non volle una seconda covata, e che starnazzava se andavi in guerra ,
e se ne tornavi salvo, pieno di onori.
Eppure
a nessuno si converrebbe osservare la riconoscenza kai;
mh;n oujdeni; ma'llon e[prepe threi'n cavrin wJς soiv (36,
2) più che a te che così duramente ti vendichi della ingratitudine.
Ti
sei vendicato ampiamente della patria ma th'/
mhtri; oujdemivan cavrin ajpodevdwkaς (36,
3), non hai mai
mostrato gratitudine alla madre.
Quindi
Volumnia dice: down
ladies! Let us shame him with our
knees- govnu -govnato", tov -genu-us- a
terra donnne!, svergogniamolo con le ginocchia! ( V, 3, 169)
E
in Plutarco : kai;
tau't j eijpou'sa prospivptei toi'ς govnasin
aujtou' meta; th'ς gunaiko;ς a{ma
tw'n paidivwn (36,
4-5), e detto
questo, si getta alle ginocchia di lui con
la moglie e i figli.
Allora
Coriolano fa alzare la madre e le dice: “nenivkhkaς-ei\pen-
eujtuch' me;n th'/ patrivdi nivkhn, ejmoi; d j ojlevqrion” (36,
5), hai vinto una vittoria fausta per la patria ma rovinosa per me.
E
Shakespeare: “ O
my mother, mother! O! you
have won a happy victory to Rome. But for your son-believe it, o
believe it-most dangerously you
have him prevailed -praevaleo-if
not most mortal to him”. (V,
3, 186-190)
A
Roma vengono festeggiate le donne. Il Senato decretò che venisse
loro concesso qualsiasi cosa chiedessero, ed esse chiesero solo che
venisse edificato un tempio alla Fortuna muliebre oujde;n
hxivwsan a[llo h] Tuvchς gunaikeivaς iJero;n
iJdruvsasqai (37,
4)
A
Roma suonano trombe oboi, tamburi and the shouting Romans
make the sun dance (V, 4, 48-49), mentre i Romani
urlanti fanno ballare il sole
Quanto
a Volumnia, Virgilia e Valeria, un senatore grida che bisogna
spargere fiori sul loro cammino (Vita di Coriolano, V, 5, 3)
Plutarco racconta
che il Senato fece erigere il tempio con la statua della Fortuna
muliebre (Tuvch"
gunaikeiva" iJerovn (37,
4), mentre le donne a loro spese fecero costruire una seconda
statua che avrebbe anche parlato dicendo alle donne che il dono
fatto era gradito agli dei (37, 5).
L’autore
non se la sente di negarlo in
quanto il divino non assomiglia all’umano e, se fa cose per noi
impossibili, non è in contrasto con la ragione ou[te
paravlogovn ejstin (38,
6).
La
maggior parte delle cose divine tw'n
qeivwn ta; pollav,
come dice Eraclito, ci sfugge ajpistivh/, a
causa della nostra incredulità (38, 7)
Cfr. mutatis
mutandis, l’accoglimento del mito in Livio, Curzio Rufo,
Tacito, Arriano. Nessuno se la sente di negarlo del tutto.
In Tito
Livio le donne si recano da Veturia, la madre di Coriolano, e da
Volumnia, la moglie. Queste vanno nel campo nemico con i due figli di
Coriolano il quale rimase multo obstinatior
adversus lacrimas muliebres (II,
40) di cui aveva avuto l’annuncio. Ma quando le vide, si lanciò
verso la madre per abbracciarla. Veturia, prima di lasciarsi
abbracciare gli chiese se fosse un figlio o un nemico e se lei fosse
prigioniera o madre. Coriolano si commosse, ritirò l’esercito.
Alcuni invidia
rei oppressum tradunt,
ma apud
Fabium longe antiquissimum[2] auctorem si
legge che visse fino alla vecchiaia. Ripeteva che l’esilio è molto
più doloroso nella vecchiaia.
Curzio
Rufo sui miti : “Equidem
plura transcribo quam credo: nam nec adfirmare sustineo, de quibus
dubito, nec subducere, quae accepi”
(Historiae
Alexandri Magni,
9, 1, 34), per conto mio riporto più notizie di quelle cui presto
fede: infatti non me la sento di confermare notizie delle quali non
sono sicuro, né di sottrarre quelle che ho ricevuto. Quindi, a
proposito del cadavere di Alessandro che giaceva nel sarcofago da sei
giorni, trascurato, e, nonostante il caldo estivo, non ancora
degenerato: “Traditum
magis quam creditum refero” (10,
10, 12).
Pure Arriano a
proposito della morte di Alessandro riporta una notizia alla quale
non crede, della quale anzi afferma che dovrebbero vergognarsi quanti
l’hanno scritta: che il macedone, sentendosi morire, voleva
gettarsi nell’Eufrate per sparire accreditando la fama di una sua
assunzione in cielo, in quanto nato da un dio. Glielo impedì Rossane
ed egli le disse che lo privava della gloria di essere nato dio.
Ebbene lo storiografo di Nicomedia precisa che ha riportato queste
notizie wJ"
mh; ajgnoei'n dovxaimi perché
non sembri che io le ignori, più che per il fatto che esse
sembrino pista;
ej”ajghvghsin,
(Anabasi
di Alessandro,
7, 27, 3) credibili a raccontarle.
Infine
sui miti Tacito a proposito della morte di Otone
Tacito, Historiae,
II, 50.
Ut
conquirere fabulosa et fictis oblectare legentium animos procul
gravitate
coepti operis crediderim, ita vulgatis traditisque
demere
fidem non ausim. die, quo Bedrĭaci
certabatur, avem
invisitata
specie apud Regium Lepidum celebri luco conse-
disse
incolae memorant, nec deinde coetu hominum aut cir-
cumvolitantium
alitum territam pulsamve, donec Otho se ipse
interficeret;
tum ablatam ex oculis: et tempora reputantibus
initium
finemque miraculi cum Othonis exitu competisse.
Come
reputerei lontano dalla serietà dell’opera iniziata andare
in cerca di miti e dilettare le anime dei lettori con delle
invenzioni, così non oserei togliere credito a tradizioni diffuse.
Nel
giorno in cui si combatteva a Bedriaco, gli abitanti ricordano che un
uccello di aspetto mai visto si posò in un frequentato bosco sacro
presso Reggio Emilia, e che non venne spaventato né scacciato di lì
dalla grande quantità delle persone né degli uccelli che
svolazzavano intorno, finché Otone non si fu ucciso; allora
scomparve alla vista; e per chi tiene conto dei tempi, il principio e
la fine del prodigio coincide con la fine di Otone.
Torniamo
alle donne di Coriolano
Gli
uomini romani non portarono invidia alle donne per il loro vanto
–adeo sine obtrectatione gloriae alienae vivebatur- (Livio,
II, 40) si viveva senza cercare di abbassare la gloria altrui,
anzi consacrarono e dedicarono un tempio alla Fortuna
muliebre.
Shakespeare
Tra
i Volsci, Tullo Aufidio, il loro capo, fa uccidere Coriolano. Dice:
“at
a few drops of women’s rheum- rJeu'ma, flusso-,
which are-as cheap as lies, he sold the blood and labour –of our
great action. Therefore shall he die,-and I’ll
renew-new-nevo" me
in his fall”
(V,
6, 46-49), per poche gocce di lacrime di donna che sono a buon
mercato come le bugie, egli ha venduto il sangue e la fatica della
nostra grande impresa. Perciò morirà e io rinascerò nella sua
caduta.
Aufidio
conclude dicendo che sebbene il Romano abbia riempito di lutti le
donne dei Volsci, avrà un nobile monumento ( yet he shall
have a noble memory, V, 6 , 154-155).
Concludo
la storia di Coriolano con le ultime parole della Vita di
Plutarco: Marzio tornò ad Anzio dai Volsci, Tullo che da tempo lo
odiava e non lo sopportava per invidia misw'n
pavlai kai; barunovmeno" dia; fqovnon (39,
1) tramò per farlo uccidere, sicché i suoi seguaci lo
ammazzarono. Il popolo non era d’accordo e la tomba di Coriolano
venne adornata con armi e spoglie come si fa con un prode. Presto
dovettero rimpiangerlo. In seguito i Volsci combatterono
contro gli Equi poi vennero sconfitti e sottomessi dai Romani in una
battaglia nella quale morì Tullo. (Vita
di Coriolano, 39,
13).
Murry:
“Il Coriolano è per me un dramma assai più alto del Lear , ed
è-come preludio dell’Antonio e Cleopatra-sommamente significativo
per intendere l’evoluzione di Shakespeare. Segna il ritorno dallo
sdorzo alla spontaneità, dall’artificio alla creazione, dal
disumano all’umano”[3]
Bologna
4 gennaio 2019. giovanni ghiselli
[2] L’auctor
longe antiquissimus è
Fabio Pittore contemporaneo del Cunctator e
appartenente alla stessa gens
Fabia.
Questo “antichissimo tra gli annalisti…accentuava il diritto (e
i successi) dei Romani…non aveva più quella superiore serenità
in cui è il fascino della storiografia greca classica, insomma di
un Erodoto o di un Tucidide” (Mazzarino, Il
pensiero storico classico,
II, 104). Si tratta dell’obiettività epica di questi autori.
Fabio
pittore scrisse in greco la sua opera storica, che andava dalle
origini dei Romani, considerati come discendenti di Enea, sino,
pare, alla fine della seconda guerra punica (il frammento più
recente si riferisce alla battaglia del Trasimeno).
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