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martedì 5 febbraio 2019

Il pessimo film "Il primo re" e una sua recensione contestata

Scrivo sul film Il primo re. Anzi voglio commentare una recensione apparsa nel domenicale del 3 febbraio di “Il sole 24 0re” (p. 29) a firma Roberto Escobar che accredita il film di “sapienza narrativa” e di “una forza espressiva da tempo ignote al nostro cinema”. In genere le recensioni di questo critico sono accettabili, talora anche pregevoli. Ma questa volta deve essere entrata in gioco una forma di simpatia per il regista che ha offuscato la vista mentale di Escobar. Il pezzo inizia con una citazione imprecisa di alcune parole del De officiis di Cicerone.
Mettiamola a confronto con il testo latino.
“Il potere non si condivide, scrive Cicerone nel De officiis, ‘Per assicurarsi ciò che gli sembrava utile’ prosegue da politico raffinato, un figlio di Rea Silvia  uccise l’altro, e il suo gesto fu ‘un crimine (…) con rispetto di Quirino e di Romolo’ ”  Queste sono le parole di Escobar.
Il testo latino è nel De Officiis III, 10, 41. Già questa indicazione precisa manca. Come è carente la fedeltà della traduzione
Il contesto del brano ciceroniano sostiene che un’azione per essere  davvero utile deve essere anche onesta, come fu quella di Bruto Maggiore che invitò il collega Collatino a dimettersi dal potere consolare. “Itaque utilitas valuit propter honestatem, sine qua ne utilitas quidem esse potuisset” (40) Questa è la premessa. Escobar afferma che Cicerone scrive “il potere non si condivide”. Non so se da qualche parte lo abbia davvero scritto l’Arpinate, non sono specializzato in Cicerone. Nel passo in questione tali parole comunque non ci sono.
In ogni caso per indicare la fonte di questo assioma politico avrei usato Lucano  omnisque potestas- impatiens consortis erit (Pharsalia I, 91-92) e , ancora più precisamente,  Tacito che lo segnala tra gli arcana domus: “eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur” (Annales, I, 6).
Vediamo dunque le parole del De Officiis III, 10, 41 “tradotte” da Escobar: “At in eo rege, qui urbem condidit, non item; species enim utilitatis animum pepulit eius, cui cum visum esset utilius solum quam cum altero regnare , fratrem interemit. Omisit hic et pietatem et humanitatem, ut id, quod utile videbatur, neque erat, assequi posset, et tamen muri causam opposuit, speciem honestatis, nec probabilem nec sane idoneam. Peccavit igitur, pace vel Quirini  vel Romuli dixerim”.
Mi sembra che Escobar raffazzonando una traduzione per niente perspicua del chiarissimo passo Ciceroniano, voglia nascondere o minimizzare la condanna  di questo arcanum imperii o domus, segreto del potere o del palazzo che Cicerone disapprova sostenendo che l’utile vero deve essere anche onesto. L’autore del De officiis chiarisce molto bene questo pensiero. Il recensore del Sole, è vero, usa la parola “crimine” ma la inserisce quasi di sfuggita in un elogio della grandezza e della bellezza del film che invece a parer mio manca esso pure di chiarezza come altresì di pregi estetici, di serietà storica e non saprei dire se filologica poiché le parole parlate comparivano nei sottotitoli tradotte e se ne udivano assai poche siccome bofonchiate in mezzo a rumori infernali provocati da continue violenze prive non solo di humanitas e di pietas ma per lo più di qualsiasi ragione se non quella di assecondare il sadismo oggi di moda.


giovanni ghiselli


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