A
proposito di nozze. Molti insegnanti di greco e latino - quorum ego, felicemente - non si sposano
Nell’Elettra di
Euripide , Egisto ha dato in moglie la principessa Elettra figlia di Agamennone a un contadino. La ragazza vive in una casa tra i monti
dell’Argolide.
Oreste
che ha riconosciuto la sorella ma non è stato ancora riconosciuto da
lei, le domanda: per quale motivo abiti qui lontano dalla
città?- a[stew"
ejkav" ;
246[1]
Elettra
rivela il suo qanavsimon
gavmon, il matrimonio che ha fatto morire il suo rango di
principessa (247).
Mi viene
da commiserare tuo fratello (w[mwxa aor
da oijmwvzw) fa
Oreste, poi le domanda se quel marito sia
almeno un miceneo
Sì. Ma
non quello cui il padre sperava di darmi ( cioè Castore), risponde
la ragazza, poi indica la casa dove abita lontana da tutto – thloro;"
naivw 25 th'le - o{ro".
Ai confini del mondo. Con questo aggettivo Elettra vuole significare
di nuovo la propria desolazione,
Oreste
conferma: skafeuv" ti"
h] bouforbo;" a[xio" dovmwn (252), uno
zappatore (skavptw)
o un bovaro (bou'" e fevrbw,
nutro) sarebbe degno di tale casa.
Elettra
ribatte che quell’uomo è povero ma nobile e rispettoso verso di
lei - pevnh" ajnh;r
gennai'" e[" t e[m j eujsebhv" (
253) Un verso chiave nell’opera euripidea.
Oreste
domanda quale tipo rispetto nei confronti di lei pertiene al suo
sposo
Non ha
mai osato toccare il mio letto oujpwvpot eujnh'"
th'" ejmh'" e[tlh qigei'n (255).
Il
fratello domanda se il marito abbia in mente una castità di
tipo religios0- a[gneum
j qei'on o disdegni la sposa-h[
sj ajpaxiw'n (256)
No, è
un fatto di u{bri" evitata:
non riteneva giusto uJbrivzein i
miei genitori (257) risponde Elettra. E’ una forma
di u{bri" classista.
Teognide ne
denuncia la sparizione.
Vediamo
qualche verso della Silloge (183-192):
"I
montoni e gli asini noi li cerchiamo, o Cirno, e pure i cavalli
di
razza buona, e ciascuno vuole che derivino
da
procreatori buoni; invece di sposare una donna ignobile, figlia di
padre ignobile non si preoccupa
l'uomo
nobile, se gli dà molto denaro.
Né
una donna sdegna di essere la sposa di un plebeo - oujde;
gunh, kakou' ajndro" ajnaivnetai ei\nai a[koiti" purché
ricco, anzi lo preferisce facoltoso piuttosto che nobile.
Onorano
il denaro (crhvmata me;n
timw'si): e un nobile sposa la
figlia di un plebeo e un plebeo quella di un nobile: la
ricchezza ha mescolato le stirpi./ plou'to~
e[meixe gevno~
Allora
non meravigliarti, Cirno, che la razza dei cittadini/
si
oscuri: infatti la nobiltà si mescola con la plebe". su;n
ga;r mivsgetai ejsqla; kakoi'~.
Oreste domanda
come mai lo zappatore non è contento oujc
h{sqh di un matrimonio che lo eleva
Ritiene
chi mi ha dato in sposa to;n
dovnta, uno (Egisto)
non padrone, ouj kuvrion-
di farlo.
Non
c’è la padronanza della donna sulle proprie scelte.
A
proposito di letti non armonizzati
Rileggiamo
questi versi del secondo stasimo della Medea di
Euripide
Prima
strofe (vv. 627-635)
Gli
Amori che oltrepassano l'eccesso - e[rwte"
uJpe;r me;n a[gan- non procurano
buona
reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride
giungesse
con
moderazione (a[li") ,
nessun'altra dea sarebbe così gradevole.
Non
scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro
il tuo
dardo inevitabile dopo averlo intinto nel desiderio.
Prima
antistrofe (vv. 636-644)
Mi abbia
cara castità- swfrosuvna (635),
il più bel dono
degli
dèi;
né mai
Cipride tremenda mi scagli addosso le ire della discordia
e
contese insaziabili, sconvolgendomi l'animo qumo;n
ejkplhvxas j
per
talami altrui - ejtevroi" ejpi;
levktroi" - ma onorando i letti senza conflitti
giudichi
con mente acuta le unioni delle donne.
Del
resto secondo Euripide le nozze non funzionano mai
Queste
sono parole che concludono il I Stasimo dell’Alcesti:
"non
dirò mai che le nozze rechino gioia
più
che dolore , congetturandolo
dalle
storie del passato e osservando
queste
sventure del re, che, perduta
questa
moglie ottima-ajrivstan
gunai'ka-, d'ora in avanti
vivrà
una vita non vita"(vv 238-243)
Admeto
che, sebbene re, è un miserabile, ha chiesto alla propria
sposa di morire al posto suo, tuttavia, dopo che l’ha vista morta,
siccome è pure imbecille, dice di essere inconsolabile:
non trae conforto neppure dal bene che c'è stato tra lui e Alcesti,
neanche dai figli avuti da lei:
" Dei
mortali invidio quelli senza nozze né figli: zelw'
d j ajgavmou" ajtevknou" te brotw'n
infatti
hanno una sola vita, e soffrire per questa
è un
peso moderato - mevtrion
a[cqo".
Ma
vedere le malattie dei figli
e il
letto nuziale reso vedovo dai colpi della morte
non
è sopportabile quando è possibile vivere
sempre
senza moglie e senza figli ejxo;n
ajtevknou"-ajgavmou" t j ei\nai dia; pantov".
(Alcesti, 882-888)-
Conclusione
Per fare
questa scelta è necessaria la capacità rarissima di stare soli.
Magari conoscendo “meravigliosamente” decine di amanti, ma
vivendo strutturalmente soli.
I più
non ne sono capaci. I più sono funzionari della specie e vivono solo
per mangiare e riprodursi. Senza contare quelli che si
sposano, intendo fanno matrimoni eterosessuali, perché rimanga
nascosta, magari perfino a se stessi, la loro omosessualità
Bologna
4 gennaio 2019 giovanni ghiselli
p. s il
blog è arrivato a 714291. Compirà 6 anni in questo mese
arrivando a 720 mila e mantenendo la media di 10000 visite all’anno.
[1] Secondo
Valgimigli (op. cit., p. 41) "a[stu è
la città propriamente detta, la città nel suo centro, con reggia
templi fortificazioni; povli" è
il complesso dell'abitato, fino nei sobborghi, gai'a,
e più specificamente dh'mo" (cfr.
3) è il territorio". In effetti con la radice ajstu- si
forma ajstei'o" , "cittadino"
che, contrapposto ad a[groiko",
"rozzo", viene a significare anche "urbano,
elegante, cortese"- In
effetti nel Simposio di Platone 172a a[stu è
opposta al Pireo e al Falero.
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