La
giustificazione estetica della vita umana. I Greci, Shakespeare,
Leopardi, Nietzsche, T. Mann
Il kalovn, il
bello che giustifica esteticamente tanto la vita quanto la morte
La kalokajgaqiva
Quello
dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva
pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti
memorabilidi Filippo Ottonieri ).
Cfr. la kalokajgaqiva.
L'importanza
capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal
poeta di Recanati nello Zibaldone ( 2546-2547). :"Le
Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da
Omero bow'pi" (bowvpido")
cioè ch' ha occhi di
bue . La grandezza
degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo
sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci
intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione
in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar
questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal
resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga
una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli
uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di
gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo
eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete
Secondo Jaeger nella
cultura greca "la considerazione dell'utile è indifferente o ad
ogni modo accessoria e l'elemento
decisivo è invece il kalovn,
cioè il Bello, col valore impegnativo d'un miraggio, d'un
ideale...Dai poemi di Omero alle opere filosofiche di Platone e
Aristotele la parola kalovn,
"il bello" denota una delle più significative forme del
valore personale. In contrasto a parole come hjduv o sumfevron,
il piacevole o l'utile, kalovn significa
l'ideale...Un'azione è fatta dia;
to; kalovn,
ogni volta che esprime semplicemente un ideale umano come fine a se
stesso, non quando serve a un altro fine."[1]
Nella Retorica (1389b)
Aristotele, sparlando a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che
sono fivlautoi
ma'llon h] dei',
egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva,
meschinità: kai;
pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn,
vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto di
essere egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il
bello è un bene assoluto (to;
de; kalo;n aJplw'~).
La
giustificazione estetica della vita umana, il culto della
bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri padri
spirituali.
Soltanto
nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere,
afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a
una vita senza onore:"to;
ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Il
culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle:
Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che
spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla
di così grave da non morire nobilmente"peivsomai
ga;r ouj-tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~
qanei`n ( Antigone, vv. 95-97).
Aiace i
risponde al corifeo (Aiace, vv.479-480):"ajll
j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh'
crhv" ma
il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.
Altrettanto
afferma Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, in
faccia al subdolo Odisseo del Filottete : "bouvlomai
d j, d'
, a[nax,
kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'" "
(vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere
successo nella volgarità.
L’Elettra
di Sofocle, riconosciuto il fratello, si affida a lui: “Ora guidami
tu”. Quindi precisa: “Sappi comunque che anche da sola non avrei
fallito uno di questi due scopi: o salvarmi nella bellezza o nella
bellezza morire: oujk a]n
duoi'n h{marton: h] ga;r a]n kalw'"-e[sws j ejmauth;n h] kalw'"
ajpwlovmhn (Elettra, 1320-1321)
La
bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla
degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo
capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il
cadavere della regina, le ha domandato : "kala;
tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, la regina
risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista
me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn"
(Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si
confà a una donna che discende da re tanto grandi.
Lo
stesso personaggio (Charmian) dell'Antonio e
Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First
Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian,
is this well done?) , replica: "It is well done, and
fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah,
soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana
discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Nietzsche
e l’Apollineo
Nietzsche parla
di giustificazione estetica della vita data dall’arte. Senza questa
ci sarebbe la sapienza silenica e la negazione buddistica della
volontà, per l’impossibilità, denunciata da Amleto di rimettere
in sesto un mondo uscito dai cardini. Ma l’arte trasforma l’atroce
in sublime e l’assurdo in comico
L’apollineo
è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai
mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica
che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.
Nietzsche
mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura
nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige
dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E
così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere
l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo",
mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri
demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del
mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[2].
“Il
culto dell’immagine che è proprio della cultura apollinea,
quale si manifesta nel tempio, nella statua o nell’epos
omerico, aveva il suo scopo più alto nell’esigenza etica
della misura, che corre parallela all’esigenza estetica della
bellezza…La misura, sotto il cui giogo si muoveva il nuovo mondo di
dèi (a fronte di un distrutto mondo di Titani), era quella della
bellezza: il limite, cui il greco doveva attenersi, quello della
bella apparenza”[3].
La
bella apparenza spesso può nascondere il profondo ma può anche
prefigurarlo: “Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere;
per vivere occorreva arrestarsi animosamente alla superficie,
all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a
forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi
Greci erano superficiali –per
profondità! E
non facciamo appunto ritorno a essi, noi temerari dello spirito…Non
siamo esattamente in questo –dei Greci? Adoratori delle forme, dei
suoni, delle parole? Appunto perciò…artisti”[4].
“E’
cosa abbastanza strana, per quanto ben comprensibile, che la prima
forma in cui lo spirito europeo si è ribellato all’età borghese
sia stato l’estetismo. Non a caso ho nominato insieme Nietsche
e Wilde come ribelli, e propriamente ribelli in nome della
bellezza”[5].
giovanni
ghiselli
[3] La
visione dionisiaca del mondo, p. 76.
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