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lunedì 11 febbraio 2019

La giustificazione estetica della vita umana


La giustificazione estetica della vita umana. I Greci, Shakespeare, Leopardi,  Nietzsche, T. Mann

Il kalovn,  il bello che giustifica esteticamente tanto la vita quanto la morte
La kalokajgaqiva
Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabilidi Filippo Ottonieri ). Cfr. la kalokajgaqiva.
L'importanza capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di Recanati nello Zibaldone ( 2546-2547).   :"Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete

Secondo Jaeger nella cultura greca "la considerazione dell'utile è indifferente o ad ogni modo accessoria e l'elemento decisivo è invece  il kalovn, cioè il Bello, col valore impegnativo d'un miraggio, d'un ideale...Dai poemi di Omero alle opere filosofiche di Platone e Aristotele la parola kalovn, "il bello" denota una delle più significative forme del valore personale. In contrasto a parole come hjduv sumfevron, il piacevole o l'utile, kalovn significa l'ideale...Un'azione è fatta dia; to; kalovn, ogni volta che esprime semplicemente un ideale umano come fine a se stesso, non quando serve a un altro fine."[1]

Nella Retorica (1389b) Aristotele, sparlando a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto di essere egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~). 

La giustificazione estetica della vita umana,  il culto della bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma  Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378),  vivere senza bellezza è un grande tormento".

Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj-tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95-97).

Aiace  i risponde al corifeo (Aiace, vv.479-480):"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.
Altrettanto afferma Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, in faccia al subdolo Odisseo del Filottete : "bouvlomai d j, d' , a[nax, kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon h]  nika'n kakw'" " (vv. 94-95), preferisco, sire, fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.

L’Elettra di Sofocle, riconosciuto il fratello, si affida a lui: “Ora guidami tu”. Quindi precisa: “Sappi comunque che anche da sola non avrei fallito uno di questi due scopi: o salvarmi nella bellezza o nella bellezza morire: oujk a]n duoi'n h{marton: h] ga;r a]n kalw'"-e[sws j ejmauth;n h] kalw'" ajpwlovmhn (Elettra, 1320-1321)

La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?, la regina risponde con il suo ultimo fiato: "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi.

Lo stesso personaggio (Charmian) dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done?) , replica: "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!

Nietzsche e l’Apollineo
Nietzsche parla di giustificazione estetica della vita data dall’arte. Senza questa ci sarebbe la sapienza silenica e la negazione buddistica della volontà, per l’impossibilità, denunciata da Amleto di rimettere in sesto un mondo uscito dai cardini. Ma l’arte trasforma l’atroce in sublime e l’assurdo in comico
L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.

Nietzsche mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[2].

Il culto dell’immagine che è proprio della cultura apollinea, quale si manifesta nel tempio, nella statua o nell’epos omerico, aveva il suo scopo più alto nell’esigenza etica della misura, che corre parallela all’esigenza estetica della bellezza…La misura, sotto il cui giogo si muoveva il nuovo mondo di dèi (a fronte di un distrutto mondo di Titani), era quella della bellezza: il limite, cui il greco doveva attenersi, quello della bella apparenza”[3].
La bella apparenza spesso può nascondere il profondo ma può anche prefigurarlo: “Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorreva arrestarsi animosamente alla superficie, all’increspatura, alla scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole, all’intero olimpo dell’apparenza! Questi Greci erano superficiali –per profondità! E non facciamo appunto ritorno a essi, noi temerari dello spirito…Non siamo esattamente in questo –dei Greci? Adoratori delle forme, dei suoni, delle parole? Appunto perciò…artisti”[4].
E’ cosa abbastanza strana, per quanto ben comprensibile, che la prima forma in cui lo spirito europeo si è ribellato all’età borghese sia stato l’estetismo. Non a caso ho nominato insieme Nietsche e Wilde come ribelli, e propriamente ribelli in nome della bellezza”[5].
La vita può giustificarsi soltanto come fenomeno estetico”[6].

giovanni ghiselli


[1] Paideia , 1, p. 27 e nota 4
[2] La nascita della tragedia, capitolo 4
[3] La visione dionisiaca del mondo, p. 76.
[4] Nietzsche, Prefazione alla seconda edizioni di La gaia scienza (1886)
[5] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 838.
[6] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 813

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