"Le Troiane" di Euripide al Teatro Millepini di Asiago |
Le Troiane di Euripide (415 a. C.)
Parte 4
Le
guerre le vogliono i potenti e gli speculatori, le iene del campo di battaglia.
Il
Cappellano della pièce di Brecht Madre
Courage e i suoi figli dice che la guerra non finirà mai; se ci sarà crisi
“le verranno in soccorso gli imperatori, i re e il papa”
Non
mancano motivi propagandistici anche in altre tragedie di Euripide: nello Ione ([1]) la genealogia dei Greci che fa
discendere solo gli Ateniesi dagli amori di Creusa con il dio Apollo serve a
legittimare l'imperialismo di Atene;
l'Ifigenia in Aulide ([2]), scritta verso la
fine della vita del poeta, quando Sparta si era accordata con la Persia per
sconfiggere la lega attica, contiene un grido di guerra contro i nemici
orientali: "è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i
barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi",
proclama la fanciulla (Ifigenia in Aulide,
vv. 1400-1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria: "do il mio
corpo per l'Ellade. Sacrificate, espugnate Troia. Questo infatti sarà il mio
monumento a lungo, questi i figli, le nozze e la gloria
mia"(vv.1397-1399).
Torniamo
alle Troiane
Atene,
l’illustre e felice terra di Teseo ( ta;n kleina;n ei[q j e[lqoimen-Qhsevw" eujdaivmona cwvran, vv. 208-209) è, naturalmente, la meta preferita. Parole
stonate ma il pubblico seduto a teatro doveva essere compiaciuto.
Viene
elogiata anche la valle di Tempe, bagnata dal fiume Peneo e bellissima base
dell’Olimpo (krhpi`d j
Oujluvmpou kallivstan, v. 215).
C’è
un vagheggiamento di terre lontane. Questa valle si trova in Tessaglia, tra i
monti Ossa (1978 m) e Olimpo (2895).
L’imperatore
Adriano fece preparare nel grande parco della villa di Tivoli un ambiente che
ricordasse la valle di Tempe in dimensioni ridotte.
Un’altra
destinazione plausibile, comunque non aborrita, è “l’etnea terra di Efesto,
madre dei monti siculi. Sento dire che è celebrata per le corone del valore” (ajkouvw-karuvssesqai stefavnoi~
ajreta`~, vv. 222-223).
Questa
celebrazione della Sicilia mi sembra ambigua: siamo nella primavera del 415,
quando Alcibiade propugnava e faceva approvare la spedizione contro l’isola:
può significare tanto che la Sicilia era una conquista appetibile, tanto che
era un obiettivo difficile da conseguire, quindi rischioso. E’ questo
l’argomento usato da Nicia che era contrario alla vertiginosa impresa.
Alcibiade
diceva, tra l’altro: “hJ
ejmh; neovth~ kai; a[noia para; fuvsin dokou`sa ei\nai” Tuc. VI, 17, 1) la mia giovinezza e follia che sembra
contro natura ha trattato con la potenza del Peloponneso e l’ha persuasa. Ora
voi non dovete cambiare idea sulla spedizione in Sicilia come se fosse contro
una grande potenza: “Kai;
to;n ej~ th;n Sikelivan plou`n mh; metagignwvskete wJ~ ejpi; megavlhn duvnamin
ejsovmenon” (VI, 17, 2),
Nicia
invece consigliava la riflessione e metteva in guardia i concittadini
dall'egoismo dell'antagonista il quale, troppo giovane per comandare, voleva
trarre vantaggio dalla carica a costo dei pericoli della città (Tucidide, VI
12, 2).
Le
corone del valore (v. 223) possono riferirsi alle gare panelleniche vinte dagli
atleti siciliani mandati dai tiranni celebrati da Pindaro. In particolare
Ierone di Siracusa ([3]) e Terone di
Agrigento ([4]).
Di
questa celebrazione della Sicilia risente forse Lucrezio quando a proposito
della grande isola scrive: “quae cum
magna modis multis miranda videtur/gentibus humanis regio visendaque fertur,/rebus
opima bonis, multa munita virum vi ,/nil
tamen hoc habuisse viro praeclarius in se/nec sanctum magis et mirum carumque
videtur ” (De rerum natura, I,
726-730) terra che mentre appare in molti modi grande e mirabile/alle genti
umane e si dice che vada veduta,/ricca di beni, munita di grande forza di
uomini,/ tuttavia sembra non avere in sé niente di più glorioso/di quest’uomo,
né più santo, mirabile e caro.
La
lode della Sicilia e dei Greci di Sicilia culmina dunque nel poema con
l’encomio agiografico di Empedocle di Agrigento.
Infine
dalle Troiane è menzionata la Magna Grecia, ricordata come la terra bagnata dal
bellissimo fiume Crati che scorre vicino a Sibari e tinge le chiome di biondo
(v. 227).
Anche
la regione che questo fiume nutre e rende prospera è una terra di uomini
vigorosi (eu[andron ga`n, v. 229 cfr. ‘ndrangheta da ajndragaqiva, coraggio
virile).
Mi
sembra che prevalga l’avvertimento di non compiere mosse affrettate e passi
falsi. Può essere pure che i territori desiderabili per le Troiane siano indicati come asili sacri. Forse Euripide cercava una
strada per l’ospitalità offerta da qualche signore siciliota o italiota.
Forse
con il Crati si allude alla non lontana colonia panellenica di Turi fatta
fondare da Pericle nel 444.
I
Episodio vv. 235-510
Arriva
l’araldo Taltibio e inizia la prima scena del primo episodio.
Le donne sono state già
sorteggiate: Cassandra per Agamennone come levktrwn skotiva
numfeuthvria
(v. 252), sposa tenebrosa del letto. Questo buio (oJ
skovto~ - shadow, Schatten ) è simbolico della morte di entrambi gli amanti.
Eros ha colpito con la
sua freccia (ejtovxeus j ([5]), v. 255) Agamennone.
Una freccia mortale.
Eros qui è il dio del
dolore (daivmwn ajlginovei"), come nelle Argonautiche (4, 64) di Apollonio Rodio.
Taltibio chiede
ottusamente se non sia per Cassandra una cosa grande ottenere un letto regale
(v. 259). Ecuba non lo degna nemmeno di una risposta, ma gli chiede quale
sorteggio abbia avuto di Polissena.
La “vil razza dannata
degli araldi” è malvista da Euripide.
Negli
Eraclidi, il coro dei vecchi ateniesi
afferma che gli araldi ingrandiscono quanto è accaduto raddoppiandolo e
innalzandolo come una torre ([6]) (pa`si khvruxi novmo~ di;~ tovsa
purgou`n, v. 293).
Si tratta
dell’araldo di Euristeo che ha minacciato Demofonte il quale lo ha cacciato. Ma
si può pensare alla critica del personaggio Euripide al personaggio Eschilo
nelle Rane di Aristofane. E pure a
tanti giornalisti dei nostri giorni.
Anche
nell'Oreste, l'araldo Taltibio fa una
brutta figura nel racconto del messo che riferisce a Elettra i discorsi
dell’assemblea di Argo: "Ed ecco si alza Taltibio che con tuo padre
saccheggiava i Frigi. E parlò, lui che è da sempre sottoposto ai potenti,
doppiamente, mostrando ammirazione per tuo padre, ma non approvando tuo
fratello, intrecciando parole buone e cattive, dicendo che il figlio aveva
istituito usanze non buone verso i genitori: e sempre rivolgeva occhiate
ammiccanti agli amici di Egisto.
Siffatta
è questa genia: sul carro di quello che ha buona fortuna, saltano sempre gli
araldi (ejpi; to;n
eujtuch` phdw`s j ajei; khvruke~): ed è loro
amico colui che nella città ha cariche e poteri" (vv. 888-897).
Un
poco come i giornalisti di oggi, quasi tutti.
Taltibio risponde alla domanda di Ecuba su
Polissena con una frase ambigua: le è stato ordinato di servire alla tomba di
Achille (Troiane, v. 264). Quindi:
considerala felice, sta bene (e[cei kalw`~, v. 268). E’ lo
stare bene secondo la sapienza silenica.
Andromaca
è stata assegnata a Neottolemo[7], Ecuba a Odisseo.
Andocide
nell’orazione Contro Alcibiade, forse
non autentica, scrive che Alcibiade propose di ridurre in schiavitù tutti gli
abitanti di Melo, quindi comprò una prigioniera ed ebbe un figlio da lei. La
nascita di questo bambino è mostruosa più di quella quella di Egisto (nato da
Tieste e da sua figlia Pelopia) perché il figlio di Alcibiade nacque da due
nemici. La spregiudicatezza (tovlma) di Alcibiade è senza limiti: fece un
figlio con questa donna, le uccise il padre, le distrusse la città, e rese il
figlio nemico implacabile a sé e ad Atene. Tali situazioni voi le considerate
deinav quando le vedete nelle tragedie, mentre vi lasciano indifferenti quando
sono crimini reali (22, 23)
Plutarco
nella Vita di Alcibiade dice che il
concubinaggio con la Melia e il fatto che allevò il figlio avuto da lei venne
considerato dagli Ateniesi un gesto di filantropia, anche se fu proprio
Alcibiade il principale responsabile del massacro, in quanto appoggiò la
proposta ufficiale dell’eccidio (16, 6)
La
vecchia regina se ne duole poiché le è toccato in sorte di servire l’Itacese,
un uomo abominevole, fraudolento nemico di giustizia (musarw`/ dolivw/ levlogca fwti;
douleuvein - polemivw/ divka~, vv. 283-284), una
bestia feroce contraria alla legge (paranovmw/ davkei).
Ulisse
malfamato
La
cattiva reputazione di Odisseo risale a Pindaro che nella Nemea VIII contrappone all’astuzia di Odisseo, ai suoi discorsi
ingannevoli la schiettezza dell’a[glwsso~ Aiace (v. 24).
Quindi,
nel Filottete di Sofocle, Neottolemo
viene ingannato pro;~
tou` kakivstou, dal peggiore di tutti, nato da
malvagi. Se ne lamenta lo stesso figlio di Achille.
Nell’Ecuba di Euripide il coro presenta
Odisseo come lo scaltro furfante dal dolce eloquio (131-132) che convince
l’esercito a sacrificare Polissena.
Non
basterà l’accorata supplica di Ecuba a salvarla (a[li~, v. 278).
Nel Ciclope di Euripide, il Sileno lo
definisce krovtalon
drimuv, sonaglio petulante, stridulo
chiacchierone, razza di Sisifo (vv. 103-104). Krovto~, rumore.
Nelle
Troiane di Seneca, Ulisse avanza dubio gradu vultuque (v. 521) ed è machinator fraudis et scelerum artifex (v.
750).
Infine
nell’Eneide, Ulisse è scelerum inventor (II, 164).
CONTINUA
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[3] Cfr.Olimpica I. che celebra la vittoria di Ierone nella
gara del cavallo montato nella 76 Olimpiade (476 a, C,). Ierone era succeduto
nel 478 a Gelone come tiranno di Siracusa.
[4] Cfr. Olimpica II. Celebra la vittoria di Terone di
Agrigento nella corsa delle quadrighe, nella stessa Olimpiade del 476.
L'estetica di Callimaco prescrive
quella Musa sottile (Mou'san leptalevhn, Aitia , fr. 1 Pfeiffer, v. 24) che
il coro delle Rane attribuisce a Euripide, il cincischiatore
di concettuzzi, la cui lingua aguzza, inquisitrice di versi, sminuzzerà (kataleptologhvsei) le parole colossali di Eschilo,
grande fatica di polmoni (pleumovnwn polu;n povnon, v. 829 ). Non solo: lo stesso Euripide personaggio
della commedia di Aristofane si vanta di avere prima di tutto reso snella
l'enfatica poesia di Eschilo (i[scana me;n
prwvtiston aujthvn) e di averle
tolto gravezza con parolette e rigiri (kai; to; bavro"
ajfei'lon-ejpullivoi" kai; peripavtoi", Rane, vv. 941-942).
[7] Alcibiade volle comprare una delle donne di Melo rese schiave e avere
un figlio da lei.
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