Penteo |
Due
versi chiave delle Baccanti di Euripide (395-396)
Il
sapere non è sapienza to;
sofo;n d j ouj sofiva
e
avere la pretesa di comprendere fatti non mortali to;
te mh; qnhta; fronei`n.
La sofiva è
lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica:"
la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta
suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza
si tuffa nel fiume della vita. La scienza al contrario è il fine
dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al
terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre
su e giù lungo la riva"[1] .
“La
scienza lavora incessantemente a quel grande colombario dei
concetti-cimitero delle intuizioni”[2].
“All’idea
di classicità, Nietzsche sostituisce in definitiva quella di
tragicità: la civiltà greca non è una civiltà classica ma
piuttosto una civiltà tragica”[3].
Vale
la pena di riferirne anche l'esegesi di T. Mann:"A questa
tragica saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità,
durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso"[4].
Su questa opposizione sapere/sapienza riferisco, di seconda mano,
Eliot che pure è uno dei miei massimi maestri:"Eliot
affermava:"Qual è la conoscenza che noi perdiamo
nell'informazione e qualè la sapienza (wisdom)
che perdiamo nella conoscenza?"[5].
Interessante
a questo proposito è un elogio dello stupore di
H. Hesse: "Per stupirci siamo qui!" dice un verso di
Goethe. Tutto inizia con questa stupefazione e con essa termina,
tuttavia non è un cammino vano. Sia che io ammiri un musco, un
cristallo, un fiore, un maggiolino d'oro, sia che guardi un cielo
solcato dalle nuvole, un mare con il pacato gigantesco respiro della
sua risacca, l'ala di una farfalla con la trama ordinata delle sue
costole vitree…in quello stesso istante io ho abbandonato e
dimentico il mondo avido e cieco dell'umana necessità e, anziché
pensare a comandare, acquistare, sfruttare, combattere o organizzare,
non faccio altro, per quell'istante, che provare la "stupefazione"
goethiana e, contemporaneamente, non divengo solo fratello di
Goethe e di tutti i poeti e saggi, ma sono anche fratello del cosmo
vivente che contemplo e sperimento: della farfalla, del coleottero,
della nuvola, del fiume e del monte. Percorrendo la via dello
stupore, sono infatti sfuggito per un attimo al mondo delle
differenziazioni e sono entrato in quello dell'unità, dove ogni cosa
o creatura dice all'altro: Tat
twam asi ("Sei
Tu")...non vogliamo lamentarci che nelle nostre università non
si insegni a percorrere le strade più semplici per conseguire la
saggezza e che, al posto dello stupore, si insegni l'esatto
contrario: a contare e a misurare invece che perdersi
nell'estasi, l'oggettività invece della malia, il rigido attenersi
alle differenziazioni anziché subire l'attrazione del Tutto e
Uno. Le università non sono scuole di saggezza, sono scuole di
sapere, ma tacitamente postulano come conosciuto ciò che
esse non possono insegnare: la capacità di osservare, la
stupefazione goethiana, e i loro spiriti migliori non conoscono
altra finalità più nobile che costituire un altro gradino perché
Goethe e altri nuovi saggi si manifestino di nuovo"[6].
Seneca sostiene che la
sapienza è l’unica libertà: “Sapientia
quae sola libertas est”[7].
il
sapere non
vale nulla, non è sapienza quando non riconosce sopra di sé il
sacro e il divino che inspiegabilmente lega"con amore
in un volume ciò che per l'universo si squaderna". Agostino afferma:
“Ecce
pietas est sapientia”[8].
E'
il caso di Edipo che crede di azzeccarci con
l'intelligenza senza avere imparato nulla dagli uccelli ("gnwvmh/
kurhvsa" oujd& ajp& oijwnw'n maqwvn", Edipo
re v.
398) e fallisce. "Coloro che hanno interpretato l'Edipo
re secondo
il modulo della "tragedia di conoscenza" hanno postulato
che Sofocle abbia voluto rappresentare due tipi di conoscenza
differenti per mezzi e possibilità, dal cui incotro-scontro
risulterebbe il senso stesso del dramma. Si è parlato di un "sapere
umano" e un "sapere divino"[9],
di una conoscenza umana sensitiva e fondata sull'apparenza ed una
conoscenza divina vera, cioè dovxa e ajlhvqeia,
illusione e saggezza[10].
Edipo sulla scena sofoclea rappresenterebbe l'uomo raziocinante che
si basa sulla conoscenza dei sensi e del proprio intelletto e che
agisce di conseguenza, ma le coincidenze degli eventi fanno sì che
alla fine tutte le sue costruzioni intellettuali si rivelano fallaci,
mentre il sapere degli dei, incontrollabile e spesso incomprensibile
per gli uomini, risulta essere l'unico sapere veritiero...In realtà,
quello di Edipo non è un generico "sapere umano", ma
rappresenta allusivamente il sapere di alcune correnti di sapere
razionalistiche dell'epoca, e analogamente non si deve parlare tanto
di generico "sapere divino", quanto piuttosto di sapere
oracolare delfico, con le sue peculiari modalità espressive e
celebrante un dato sistema di valori etici"[11].
Insomma
la gnwvmh è
fallace e gli uomini non possono comprendere tutto. Non solo le vie
della divinità sono imperscrutabili ma anche quelle dell'incoscio.
Il
motivo antiintellettualistico, ricorrente nell'Edipo, avrà
un'infinità di riprese: da Euripide, il "filosofo della scena",
quando giunge alla stanchezza postfilosofica delle Baccanti ,
al movimento abbastanza recente dello Sturm und Drang ("il
mio cuore-annota Werther il 9 maggio 1772-è
l'unica cosa della quale sono superbo...Quello che io so, lo può
sapere chiunque, ma il mio cuore lo possiedo io solo". ), fino a
Elias Canetti il quale in La provincia dell'uomo afferma
che "L'ignoranza non deve impoverirsi con il sapere...Per ogni
risposta deve saltare fuori una domanda che prima dormiva
appiattata...Le sole risposte inaridiscono il corpo e il respiro"(pp.
1600-1601).
E'
il profeta a nutrire la forza della verità
(v.356) che non è potenza economica né militare, ma nemmeno
cerebrale, anzi è consapevolezza dei limiti angusti che racchiudono
le nostre facoltà intellettive.
Nell'episodio
di Aconzio e Cidippe , una famosissima storia
d'amore compresa nel terzo libro degli Aitia di
Callimaco, poi imitata da Ovidio nelle Heroides (XXI
lettera: Cidippe ad Aconzio) il poeta di Cirene afferma che
l'ampiezza e la varietà del conoscere è un bene soltanto se
conferisce a chi lo possiede e lo usa la capacità di padroneggiare
la lingua:
"
il molto sapere è un grave male, per chiunque non è padrone
della
lingua: è proprio come per un bambino avere un coltello"(fr.75
Pf, vv. 8-9).
Ora
sentiamo T. Mann: “e se si usa dire per esempio che in casa
d’altri non bisogna mettere gli occhi addosso alle donne, perché
tale comportamento è pericoloso, si è soliti tuttavia farlo, perché
altro è la saggezza e altro è la vita”[12].
Il
sapere può essere usato come un’arma contro l’uomo comune.
Viceversa
le armi possono essere uno strumento di offesa e difesa dell’uomo
comune dagli intellettuali.
Lo
dice Adilph Cusins, il professore di greco del Maggiore Barbara
di B. Shaw: “As
a teacher of Greek I gave the intellectual man weapons against the
common man. I now want to give the common man weapons against the
intellectual man”[13],
come professore di greco, io ho dato agli intellettuali le armi
contro l’uomo comune. Io ora voglio dare all’uomo comune le
armi contro l’intellettuale.
E.
Dodds indica un nesso tra questa sentenza del primo stasimo
delle Baccanti e
la transvalutazione denunciata da Tucidide di cui abbiamo detto[14] :
“ ‘cleverness
is not wisdom’, ‘the world’s Wise are not wise’
(Murray). Here again the Chorus take up a thought expressed in
the preceding scene: to;
sofovn has
the same implication as in 203[15];
it is the false wisdom of men like Pentheus, who fronw'n
oujde;n fronei' (332,
cf. 266 ff., 311 ff.), in contrast with the true wisdom of devout
acceptance (179, 186)…for the paradoxical form cf. I A. 1139 oJ
nou'~ o{d j aujto;~ nou'n e[cwn ouj tugcavnei[16], Or.
819 to;
kalo;n ouj kalovn[17]. Such
paradoxes are the characteristic product of an age when traditional
valuations are rapidly shifting in the way described in the famous
passage of Thucydides on the transvaluatation of values,
3, 82”[18],
‘l’ingegnosità non è sapienza’, ‘la Maniera del mondo, non
è saggia’ (Murray). Qui di nuovo il Coro assume un pensiero
espresso nella scena precedente: il sapere ha la stessa implicazione
che al v. 203; è la falsa sapienza di uomini come Penteo, il
quale pur
avendo la mente non ha la sapienza (332, cfr. 266 ss.[19] 311
ss.[20]),
in contrasto con la vera saggezza della della pia accettazione (179,
186[21])…per
il modulo paradossale cfr. Ifigenia
in Aulide 1139
, Oreste 819.
Tali paradossi sono il prodotto caratteristico di un’età in cui le
valutazioni tradizionali stanno rapidamente cambiando nel modo
descritto nel famoso passo di Tucidide sulla transvalutazione dei
valori, 3, 82.
“L’attacco
antisofistico si basa sulla contrapposizione tra sofiva e sofovn,
con la conseguenza che la sofiva si viene a caratterizzare in modo
non intellettualistico e si collega a una visione delle cose recepita
dalla tradizione. Ciò significa escludere un approccio di tipo
protagoreo”[22].
“L’uomo
rinunci dunque alla sua saggezza. Perché, dice un verso singolare,
la saggezza non è saggezza: “To;
sofo;n d’ouj sofiva”.
E non è inutile notare che la pretesa saggezza dell’uomo è
designata con una parola neutra, molto intellettuale[23],
una parola che le dà un carattere di artificiosità; mentre la
parola sofiva-
che indica la saggezza ritrovata dall’uomo quando riesce a
rinunciare al suo spirito critico-è una buona vecchia parola della
lingua corrente ed è di genere femminile, il che vale a sottolineare
il suo carattere vitale e fecondo”[24].
-to;
te mh; qnhta; fronei`n (v.
396): Sull'incomprensibilità da parte della mente umana dei misteri
della divinità si esprime anche Dante:"Matto è chi spera
che nostra ragione/possa trascorrer la infinita via/che tiene una
sustanza in tre persone./State contenti, umana gente, al quia ;
ché, se potuto aveste veder tutto,/mestier non era parturir
Maria"[25].
E pure il suo Ulisse pecca, come Edipo, per la presunzione e l'uso
eccessivo dell'intelligenza, tant'è vero che l'autore, all'inizio
del canto dei consiglieri fraudolenti, afferma:"Allor mi dolsi,
e ora mi ridoglio/quando drizzo la mente a ciò ch'i' vidi,/e più lo
'ngegno affreno ch'i' non soglio,/perché non corra che virtù nol
guidi;/sì che, se stella bona o miglior cosa/m'ha dato 'l ben, ch'io
stesso nol m'invidi"[26].
Infine Re
Lear :
“Per apprendere come veramente stiano le cose, Lear è
costretto a perdere del tutto la ragione, seguendo così il modello
disegnato da Paolo[27]:
“Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in
questo mondo, si faccia stolto per divenire sapiente; perché la
sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto
infatti: Egli
prende i sapienti per mezzo della loro astuzia”. La
citazione paolina, non a caso, proviene proprio dal Libro di
Giobbe[28]”[29].
[1] La
nascita della tragedia ,
p. 122 e p. 123.
[2] G.
Vattimo, Op. cit., p. 159.
[3] G.
Vattimo, Op.cit., p. 69.
[4] T.
Mann, Nobiltà
dello Spirito,
p. 814.
[5] E.
Morin, op. cit., p. 45.
[6]H.
Hesse, La
bellezza della farfalla ,
in Hesse
L'arte dell'ozio ,
pp. 401-402.
[7] Seneca, Ep.,
37, 4.
[8] Confessiones,
5, 5, ecco la sapienza è pietà.
[9]Diller
1950.
[10]Cfr.
su questa linea soprattutto Reinhardt 1933, trad. it. pp. 111-52;
Bowra 1944, p. 162-211; Champlin 1969.
[11]G.
Ugolini, Sofocle
e Atene ,
p. 161.
[12] Giuseppe
il nutritore, p. 43.
[13] Major
Barbara, Act III.
[14] Cap.
17.
[15] Le
tradizione ricevute dai padri, quelle che possediamo/
coeve
con il tempo, nessun ragionamento le abbatterà,/
neppure
se per opera di menti appuntite viene trovato il sapere (oujd
j eij di j a[krwn to; sofo;n hu{rhtai frenw'n) (Baccanti,
vv. 201-203), parla Tiresia. “Il richiamo alla tradizione è il
filo rosso della tragedia” (D. Susanetti, Op. cit., p.
182). Ndr
[16] Questa
astuzia, sebbene costui abbia astuzia, non funziona. Clitennestra
parla ad Agamennone che fa il finto tonto Ndr.
[17] E’ secondo
stasimo: il Coro di fanciulle argive che deplora
l’assassinio di Clitennestra, un atto ambiguo : può apparire
bello ma non lo è. Ndr.
[18] E.
R. Dodds, Euripides
Bacchae, p.
121
[19] Quando
un uomo saggio abbia preso buoni spunti/per le sue parole, non è
grande impresa il parlare bene;/tu hai sì una lingua sciolta, come
se avessi senno,/ma
nei tuoi discorsi non c'è senno (Baccanti, 266-269). Ndr
[20] Via
Penteo, da' retta a me:/non presumere che il potere abbia potenza
sugli uomini,/e non credere, se tu hai un'opinione, ed è
un'opinione malata,/di avere una qualche sapienza; invece accogli il
dio nella nostra terra/e fai libagioni e baccheggia e incoronati la
testa. (Baccanti, 309-313)
Ndr.
[21] O
Carissimo, poiché ho inteso udendo la tua voce/saggia da
un uomo saggio, stando nella reggia/eccomi pronto con questo costume
del dio;/bisogna infatti che quello essendo figlio della figlia
mia/(Dioniso che si rivelò dio agli uomini)/per quanto ci è
possibile sia esaltato come grande./Dove bisogna danzare, dove
fermare il piede,/e scuotere la testa canuta? Fai da guida tu
vecchio/a me vecchio, Tiresia: tu infatti sei saggio./Poiché non
potrei stancarmi né di notte né di giorno/di battere la terra con
il tirso: ci siamo dimenticati volentieri/di essere vecchi
(Baccanti,
178-190). E’ Tiresia che parla a Cadmo. Ndr.
[22] Di
Benedetto, Op
cit.,
p. 354.
[23] Aggiungil
Guidorizzi definisce il sofovn:
“una forma laica e razionale di sapienza” (Euripide,
Baccanti,
p. 202).
[24] A.
Bonnard, La
civiltà greca,
p. 471.
[25]Purgatorio ,
III, 34-39.
[26]Inferno ,
XXVI, 19-22.
[27] I
Corinzi 3, 18.
[28] Giobbe,
5, 13.
[29] Piero
Boitani, Il
Vangelo secondo Shakespeare,
p. 47.
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