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domenica 17 febbraio 2019

Euripide, Seneca e altri autori su Ippolito il giovane ostile alle donne e all’amore. II parte

Marilyn Cerri, Toto' In Malafemmena


Studio comparativo:
Euripide, Seneca e altri autori su Ippolito il giovane ostile alle donne e all’amore

Seconda parte della conferenza che terrò il 20 febbraio nel liceo Filateco di Ferentino


La fantasia contro natura di fare figli senza le donne
Ippolito poi Giasone di Euripide (Ippolito Medea)
Nelle Baccanti di Euripide c’è il mito della nascita di Dioniso da una coscia di Zeus. Curzio Rufo denuncia la falsità di questo mito. Denuncia ribadita da Caricle nelle Questioni d'amore [Erwte" dello Pseudo - Luciano.
Nel Simposio di Platone, Pausania sostiene che l’Afrodite più antica e nobile, Urania, è figlia del Cielo ed è nata senza madre. Nell’Orlando furioso, Rodomonte biasima la natura femmina perché ci fa nascere dalle femmine.
Nel Cimbelino di Shakespeare, Postumo che si crede tradito da Imogene impreca contro le donne e la necessità di mettere al mondo i figli con loro.
Un motivo presente anche nel Paradise Lost (1658 - 1665) del "puritano d'incrollabile fede"[4] John Milton.
Erich Fromm definisce questa fantasia come "la più contronatura che sia immaginabile" e la fa risalire alla creazione della Genesi.
 Il costruttore Sollness di Ibsen e l'invidia del ventre della donna da parte dell'uomo

Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne, ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[5] ("ajthrovn[6]...futovn", v. 630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646 - 647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case liberi, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, esauriamo la prosperità della casa - o[lbon dwmavtwn ejkpivnomen" (vv. 616 - 626).
Vediamo altri versi del "puro folle" Ippolito :"La situazione più facile è per quello cui tocca una nullità, ma la donna/ inutile per la sua stupidità viene collocata in casa./La saccente la odio (sofh;n de; misw' , v. 640): non stia nella mia casa /quella che pensa più di quanto debba pensare una donna./Infatti Cipride genera maggior malizia/nelle saccenti (ejn tai'" sofai'sin, 643); mentre la donna semplice/ è privata della pazzia amorosa dalla sua corta mente./Inoltre bisognerebbe che nessuna serva si recasse da una donna/ma che si mettessero ad abitare con loro muti morsi/di fiere, affinché non potessero rivolgere la parola ad alcuno/né ricevere parole di rimando da chicchessia./Ma ora le scellerate dentro le case macchinano/scellerati disegni, e le serve li portano fuori - e[xw d j ejkfevrousi provspoloi[7](Ippolito , 638 - 650).

Sentiamo Giasone nella Medea di Euripide: "Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;" - pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai gevno": - cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573 - 575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.
Insomma il male è la femmina.

Nelle Baccanti di Euripide il coro delle menadi durante il secondo stasimo ricorda la nascita di Dioniso da una coscia di Zeus: “Figlia di Acheloo,/maestosa e bella vergine Dirce,/tu infatti una volta nelle tue acque/accogliesti il figlio di Zeus,/quando Zeus il genitore lo sottrasse/con la coscia al fuoco immortale/gridando così :/Vieni, Ditirambo, entra/in questo mio maschio grembo”i[qi, Diquvramb j, ejma; a[r - sena tavnde ba'qi nhduvn (vv. 519 - 527).

La madre non è indispensabile sostiene Apollo quando difende il matricida Oreste nelle Eumenidi di Eschilo:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio/la quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero,/ma è come un virgulto che nessuna dea avrebbe potuto partorire"( 664 - 666). 
Pochi versi prima aveva detto alle Erinni:"La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~), ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera (tivktei) il maschio che la monta; colei come un ospite con un ospite salva il germe (e[rno~), per quelli ai quali gli dèi non l’abbia distrutto"(vv. 658 - 661).

Nell’ Oreste di Euripide, il protagonista, per scagionarsi, utilizza il medesimo argomento della generazione patrilinea.
Infatti dice a Tindaro che lo ha accusato di spietatezza, poiché non si è fermato nemmeno davanti al seno della madre: “path;r me;n ejfuvteusen me, sh; d j e[tikte pai'~, - to; spevrm j a[roura paralabou's j a[llou pavra: - a[neu de; patro;~ tevknon oujk ei[h pot j a[n” (vv. 552 - 554), il padre mi ha generato, tua figlia mi partoriva,/un campo ha preso il seme da un altro: - senza il padre non ci sarebbe mai un figlio.
Ma il coro di donne argive nell’epodo del secondo stasimo ribatte che non c’è sulla terra malattia, lacrime, pena più grande che versare con la propria mano a terra il sangue della madre ammazzata (vv. 832 - 833)
Sono esempi di logica doppia, aperta al contrasto.

E’ la fantasia contro natura di generare figli senza la donna.
In questi versi si vede la paura dell'uomo per l'oscurità della donna che è poi la zona oscura di se stesso, la propria parte femminile.

 Un mito del quale Curzio Rufo denuncia la falsità quando racconta che Alessandro Magno giunse a Nisa, tra i fiumi Cofen e Indo. Dopo un breve assedio, i Nisei, che asserivano di discendere dal padre Libero, capitolarono. "Sita est <urbs>sub radicibus montis quem Meron incolae appellant; inde Graeci mentiendi traxēre licentiam Iovis femine Liberum Patrem esse celatum (Historiae Alexandri Magni, 8, 10, 12), la città è situata sotto il monte che gli abitanti chiamano Meros; di lì i Greci si presero la libertà di inventarsi che il Padre Libero era stato nascosto nella coscia di Giove .

Nelle Questioni d'amore [Erwte" dello Pseudo - Luciano il personaggio di Caricle corinzio propugna l'amore eterosessuale afferma che nessun uomo può vantarsi di essere nato da un uomo: "oujdei;~ d j ajnh;r ajp j ajndro;~ aujcei' genevsqai" (19).
Insomma la natura ha scritto la legge sacra e inviolabile che ciascuno dei due sessi abbia la sua funzione e che resti nei propri limiti kai; mhvte to; qh'lu para; fuvsin ajrrenou'sqai mhvte ta[rren ajprepw'" malakivzesqai, che la femmina non si virilizzasse contro natura né il maschio si effemminasse indecentemente.
Caricle Corinzio discute con Callicratide ateniese che invece esalta l’amore per i ragazzi
Lo scritto non è di Luciano (120 - 192) siccome fa riferimento ad avvenimenti del III secolo d. C.
Del resto questi e[rwte" risentono anche di Plutarco jErwtikai; dihghvsei", narrazioni sull’amore.

Nel Simposio di Platone, Pausania intende correggere il precedente discorso encomiastico di Fedro nei confronti di Eros, facendo una distinzione tra due forme di Amore e due varietà di Afrodite. La più antica (presbutevra) e nobile, Urania, è figlia del Cielo (Oujranou' qugavthr) ed è nata senza madre (ajmhvtwr, 180 d),
la più recente è figlia di Zeus e Dione e noi la chiamiamo Volgare, Usuale (Pavndhmon kalou'men, 180 e). Così gli Amori, figli di Afrodite, sono due: uno celeste, come la madre, e uno volgare al pari della mamma sua. Dunque bisogna elogiare (dei' ejpainei'n) solo Eros figliolo di Afrodite Urania. Infatti l'altro Eros, quello nato da Afrodite Volgare, è veramente volgare e agisce a casaccio, e questo è l'amore che prediligono oiJ fau'loi (181 b), gli uomini dappoco. Costoro infatti amano le donne non meno dei ragazzi, amano i corpi più delle anime e amano le persone che siano il più possibile prive di intelligenza, mirando ad avere relazioni sessuali (pro;~ to; diapravxasqai movnon blevponte~).
 Afrodite Celeste dunque non partecipa della natura femminile, e gli uomini ispirati da Eros Celeste, figlio di tale madre, si rivolgono ai maschi che sono più forti e intelligenti delle donne.

Nell'Orlando furioso (1532 dell’Ariosto troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.
Prima il"Saracin" biasima l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh feminile ingegno, - egli dicea - /come ti volgi e muti facilmente[8],/contrario oggetto a quello della fede!/Oh infelice, oh miser [9] chi ti crede!" (27, 117). 
 Quindi Rodomonte aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana imposta come punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de l'uom, che senza te saria giocondo:/come ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine l'amante infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che Natura femina vien detta"(27, 120). Morirà nel duello con Ruggero

Nel Cimbelino[10] di ShakespearePostumo che si crede tradito da Imogene impreca contro le donne e la necessità di mettere al mondo i figli con loro: “Is there no way for men to be, but women - Must be half - workers?We are all bastards, - And that most venerable man, which I - Did call father, was I know not where - When I was stamp’d” (II, 4), non c’è modo per gli uomini di esserci, senza che le donne facciano metà del lavoro? Noi siamo tutti bastardi, e quell’uomo rispettabilissimo che io chiamavo padre, era chissà dove, quando io fui coniato.
Cimbelino continua maledicendo le femmine e attribuendo loro tutti i vizi: “ That tends to vice in man, but I affirm - It is the woman’s part: be it lying, note it, - The woman’s: flattering, hers; deceiving, hers: - Lust, and rank thoughts, hers, hers; revenges, hers; - Ambitioncovetingschange of prides, disdain, - Nice longing, slanders, mutability; - All faults that name, nay, that hell knows, why, hers - In part, or all: but rather all.” Quello che spinge l’uomo al vizio, io affermo, deriva solo dalla donna: sia esso il mentire, notate, è della donna: la lusinga è sua, l’inganno è suo: la lussuria, i pensieri immondi, suoi, suoi; le vendette, sue; ambizione, bramosie, superbie variabili, disprezzo, bizzarri desideri, calunnie, volubilità; tutte colpe che hanno un nome, anzi che l’inferno conosce, ebbene sono sue, in parte o in tutto: ma piuttosto in tutto.

Un motivo presente anche nel Paradise Lost (1658 - 1665) del "puritano d'incrollabile fede"[11] John Milton (1608 - 1674)In questo poema Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura this fair defect [12] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X, 888 e sgg.).



CONTINUA

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[4] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
[5] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.
[6] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunaikev~ ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.
[7] Si può pensare a quella della moglie di Eufileto dell'orazione di Lisia in difesa del marito che ha assassinato l’amante della moglie.
[8] Cfr. "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569 - 570).
[9] Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono alcuni “studiosi”, assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato. In realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser" (685), non c'è e non c'è stato un vecchio innamorato infelice quanto me. 
[10] Del 1610.
[11] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
[12] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.

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