Marilyn Cerri, Toto' In Malafemmena |
Studio comparativo:
Euripide, Seneca e altri autori su
Ippolito il giovane ostile alle donne e all’amore
Seconda parte della conferenza che
terrò il 20 febbraio nel liceo Filateco di Ferentino
La fantasia contro natura di fare figli senza le donne
Ippolito poi Giasone di Euripide (Ippolito e Medea)
Nelle Baccanti di Euripide c’è
il mito della nascita di Dioniso da una coscia di Zeus. Curzio Rufo denuncia la
falsità di questo mito. Denuncia ribadita da Caricle nelle Questioni
d'amore [Erwte" dello
Pseudo - Luciano.
Nel Simposio di Platone,
Pausania sostiene che l’Afrodite più antica e nobile, Urania, è figlia del
Cielo ed è nata senza madre. Nell’Orlando furioso, Rodomonte
biasima la natura femmina perché ci fa nascere dalle femmine.
Nel Cimbelino di
Shakespeare, Postumo che si crede tradito da Imogene impreca contro le donne e
la necessità di mettere al mondo i figli con loro.
Un motivo presente
anche nel Paradise Lost (1658 - 1665) del "puritano
d'incrollabile fede"[4] John
Milton.
Erich
Fromm definisce questa fantasia come "la più contronatura che sia immaginabile"
e la fa risalire alla creazione della Genesi.
Il
costruttore Sollness di Ibsen e l'invidia del ventre della donna da
parte dell'uomo
Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con
la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne, ingannevole male
per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi" kakovn ", v. 616), male grande
("kako;n mevga", v.
627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[5] ("ajthrovn[6]...futovn", v. 630), che auspica la loro
collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646 - 647) e la propagazione della
razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Traduco alcune parole del
"puro" folle che dà in escandescenze:
"O Zeus perché ponesti
nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini? Se infatti
volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne,
ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un
peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono
offerto, e vivessero in case liberi, senza le femmine. Ora invece quando
dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, esauriamo la prosperità della
casa - o[lbon dwmavtwn ejkpivnomen" (vv. 616 - 626).
Vediamo altri versi del "puro
folle" Ippolito :"La
situazione più facile è per quello cui tocca una nullità, ma la donna/ inutile
per la sua stupidità viene collocata in casa./La saccente la odio (sofh;n de;
misw' , v.
640): non stia nella mia casa /quella che pensa più di quanto debba pensare una
donna./Infatti Cipride genera maggior malizia/nelle saccenti (ejn tai'"
sofai'sin, 643);
mentre la donna semplice/ è privata della pazzia amorosa dalla sua corta
mente./Inoltre bisognerebbe che nessuna
serva si recasse da una donna/ma che si mettessero ad abitare con loro
muti morsi/di fiere, affinché non potessero rivolgere la parola ad alcuno/né
ricevere parole di rimando da chicchessia./Ma ora le scellerate dentro le case macchinano/scellerati disegni, e le
serve li portano fuori - e[xw d j ejkfevrousi provspoloi[7]" (Ippolito , 638 - 650).
Sentiamo Giasone nella Medea di
Euripide: "Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;" -
pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai gevno": - cou{tw" a]n
oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573 - 575), bisognerebbe in effetti che
gli uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle
femmine non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.
Insomma il male è la femmina.
Nelle Baccanti di Euripide il coro delle menadi
durante il secondo stasimo ricorda la
nascita di Dioniso da una coscia di Zeus: “Figlia di Acheloo,/maestosa e
bella vergine Dirce,/tu infatti una volta nelle tue acque/accogliesti il figlio
di Zeus,/quando Zeus il genitore lo
sottrasse/con la coscia al fuoco immortale/gridando così :/Vieni, Ditirambo,
entra/in questo mio maschio grembo”i[qi,
Diquvramb j, ejma; a[r - sena tavnde ba'qi nhduvn (vv. 519 - 527).
La madre non è indispensabile sostiene Apollo quando difende il matricida
Oreste nelle Eumenidi di
Eschilo:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio/la quale non
venne nutrita nelle tenebre di un utero,/ma è come un virgulto che nessuna dea
avrebbe potuto partorire"( 664 - 666).
Pochi versi prima aveva detto alle Erinni:"La cosiddetta madre non è
la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~), ma
la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera (tivktei) il maschio che la monta; colei come un ospite con un ospite salva il
germe (e[rno~), per quelli ai quali gli dèi non l’abbia
distrutto"(vv. 658 - 661).
Nell’ Oreste di Euripide, il protagonista, per scagionarsi, utilizza il
medesimo argomento della generazione patrilinea.
Infatti dice a Tindaro che lo ha
accusato di spietatezza, poiché non si è fermato nemmeno davanti al seno della
madre: “path;r me;n ejfuvteusen me, sh; d j e[tikte pai'~, - to; spevrm j a[roura
paralabou's j a[llou pavra: - a[neu de; patro;~ tevknon oujk ei[h pot j a[n” (vv. 552 - 554), il padre mi ha
generato, tua figlia mi partoriva,/un campo ha preso il seme da un altro: -
senza il padre non ci sarebbe mai un figlio.
Ma il coro di donne argive
nell’epodo del secondo stasimo ribatte che non c’è sulla terra malattia,
lacrime, pena più grande che versare con la propria mano a terra il sangue
della madre ammazzata (vv. 832 - 833)
Sono esempi di logica doppia, aperta al contrasto.
E’ la fantasia contro natura di generare figli senza la donna.
In questi versi si vede la paura dell'uomo per l'oscurità della donna che è
poi la zona oscura di se stesso, la propria parte femminile.
Un mito del quale Curzio Rufo denuncia la falsità
quando racconta che Alessandro Magno giunse a Nisa, tra i fiumi Cofen e Indo.
Dopo un breve assedio, i Nisei,
che asserivano di discendere dal padre Libero, capitolarono. "Sita est <urbs>sub radicibus montis quem
Meron incolae appellant; inde Graeci mentiendi traxēre
licentiam Iovis femine Liberum Patrem esse celatum (Historiae
Alexandri Magni, 8, 10, 12), la città è situata sotto il monte che gli
abitanti chiamano Meros; di lì i Greci si presero la libertà di inventarsi che
il Padre Libero era stato nascosto nella coscia di Giove .
Nelle Questioni
d'amore [Erwte" dello
Pseudo - Luciano il
personaggio di Caricle corinzio propugna l'amore eterosessuale afferma che
nessun uomo può vantarsi di essere nato da un uomo: "oujdei;~ d j
ajnh;r ajp j ajndro;~ aujcei' genevsqai" (19).
Insomma la natura ha scritto la
legge sacra e inviolabile che ciascuno dei due sessi abbia la sua funzione e
che resti nei propri limiti kai; mhvte to; qh'lu para; fuvsin
ajrrenou'sqai mhvte ta[rren ajprepw'" malakivzesqai, che la femmina non si virilizzasse
contro natura né il maschio si effemminasse indecentemente.
Caricle Corinzio discute con
Callicratide ateniese che invece esalta l’amore per i ragazzi
Lo scritto non è di Luciano (120 -
192) siccome fa riferimento ad avvenimenti del III secolo d. C.
Del resto questi e[rwte" risentono anche di Plutarco jErwtikai;
dihghvsei", narrazioni
sull’amore.
Nel Simposio di
Platone, Pausania intende correggere il
precedente discorso encomiastico di Fedro nei confronti di Eros, facendo una
distinzione tra due forme di Amore e due varietà di Afrodite. La più antica (presbutevra) e nobile, Urania, è figlia del Cielo (Oujranou' qugavthr) ed è nata senza madre (ajmhvtwr, 180 d),
la più
recente è figlia di Zeus e Dione e noi la chiamiamo Volgare, Usuale (Pavndhmon
kalou'men, 180 e).
Così gli Amori, figli di Afrodite, sono due: uno celeste, come la madre, e uno
volgare al pari della mamma sua. Dunque bisogna elogiare (dei' ejpainei'n) solo Eros figliolo di Afrodite
Urania. Infatti l'altro Eros, quello nato da Afrodite Volgare, è veramente
volgare e agisce a casaccio, e questo è l'amore che prediligono oiJ fau'loi (181 b), gli uomini dappoco. Costoro infatti amano le donne non meno dei ragazzi, amano i corpi
più delle anime e amano le persone che siano il più possibile prive di
intelligenza, mirando ad avere relazioni sessuali (pro;~ to;
diapravxasqai movnon blevponte~).
Afrodite Celeste dunque non partecipa della
natura femminile, e gli uomini ispirati da Eros Celeste, figlio di tale madre,
si rivolgono ai maschi che sono più forti e intelligenti delle donne.
Nell'Orlando
furioso (1532
dell’Ariosto troviamo echi
di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.
Prima il"Saracin" biasima
l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh feminile ingegno, - egli
dicea - /come ti volgi e muti facilmente[8],/contrario oggetto a quello della fede!/Oh
infelice, oh miser [9] chi ti crede!" (27, 117).
Quindi Rodomonte aggiunge il
motivo esiodeo della femmina umana imposta come punizione all'umanità maschile:"Credo
che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de
l'uom, che senza te saria giocondo:/come
ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer
fecondo/e di mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i
grani" (27, 119). Infine l'amante infelice rimprovera la Natura, come
Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini a mescolarsi con le donne per
la riproduzione:"Perché fatto non
ha l'alma Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per
umana cura/l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può
far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che
Natura femina vien detta"(27, 120). Morirà nel duello con Ruggero
Nel Cimbelino[10] di Shakespeare, Postumo che si crede tradito da Imogene impreca contro le donne e
la necessità di mettere al mondo i figli con loro: “Is there no way for men
to be, but women - Must be half - workers?We are all bastards, - And that most
venerable man, which I - Did call father, was I know not where - When I was
stamp’d” (II, 4), non c’è modo per gli uomini di esserci, senza che le
donne facciano metà del lavoro? Noi siamo tutti bastardi, e quell’uomo
rispettabilissimo che io chiamavo padre, era chissà dove, quando io fui
coniato.
Cimbelino
continua maledicendo le femmine e attribuendo loro tutti i vizi: “ That
tends to vice in man, but I affirm - It is the woman’s part: be it lying, note it, - The woman’s: flattering, hers; deceiving, hers: - Lust, and rank thoughts, hers, hers; revenges, hers; - Ambition, covetings, change of prides, disdain, - Nice longing, slanders, mutability; - All faults that name, nay, that
hell knows, why, hers - In part,
or all: but rather all.” Quello che spinge l’uomo al vizio, io affermo, deriva
solo dalla donna: sia esso il mentire, notate, è della donna: la lusinga è sua,
l’inganno è suo: la lussuria, i pensieri immondi, suoi, suoi; le vendette, sue;
ambizione, bramosie, superbie variabili, disprezzo, bizzarri desideri,
calunnie, volubilità; tutte colpe che hanno un nome, anzi che l’inferno
conosce, ebbene sono sue, in parte o in tutto: ma piuttosto in tutto.
Un motivo presente anche nel Paradise
Lost (1658 - 1665) del "puritano d'incrollabile fede"[11] John Milton (1608 - 1674). In
questo poema Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di
alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo
grazioso difetto di natura ( this
fair defect [12] of Nature ) e non ha riempito subito
il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un
altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X, 888
e sgg.).
CONTINUA
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[4] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
[6] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunaikev~
ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se
noi donne siamo un male pernicioso.
[7] Si può pensare a quella della moglie di Eufileto dell'orazione di
Lisia in difesa del marito che ha assassinato l’amante della moglie.
[9] Questo miser risale alla letteratura latina nella
quale, a partire da Catullo, dicono alcuni “studiosi”, assume il significato di
persona infelice per l'amore non contraccambiato. In realtà se ne trovano già
diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego ex amore
quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico
Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno
più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque
est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser" (685), non c'è
e non c'è stato un vecchio innamorato infelice quanto me.
[12] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia (
v. 585). Ci torneremo più avanti.
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