Pelagio Palagi Le Troiane in atto di incendiare le navi |
Le Troiane di Euripide (415 a. C.)
Parte 2
Il
Coro della Medea nella prima strofe del secondo stasimo biasima
l'eccesso anche nel campo erotico: "Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma
se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare
mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo
averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).
Nietzsche
mette in rilievo il valore della misura nella sfera
dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e,
per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità
estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te
stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso
furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età
titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[1].
A questa idea della misura è
collegabile la teoria della classe media. La troviamo nelle Supplici [2] di
Euripide. Qui Teseo[3]
non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I
fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo
tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo (
che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come
potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv.
417-418).
Il capo degli Ateniesi
"non controbatte l'araldo per quel che riguarda la critica ai
demagoghi"[4], ma
propugna la teoria della classe media.
Tre
sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre
di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e,
ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti.
Questa
parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali delinquenti si trova anche
nella Costituzione degli Ateniesi
dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il vecchio oligarca”, da
August Boeck identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta
tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza , di disordine e
malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la
mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
In
conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei
povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici,
vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città,
custodendo l'ordine che essa dispone. Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per
l’ordine: egli unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non
permise che questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse
disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).
La teoria della bontà della via di mezzo e
della classe media si ripropone negli anni successivi. Nell'Elettra[5]
di Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la
povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il
male.
Concludo
con l’Oreste (del 408). (p. 191)
“Egli[6]
vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in
proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste
- "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a
salvare la patria"[7]-ricorda
da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le
città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente
dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[8].-
Anche in Shakespeare il potere si
rivela spesso quale male
Enrico VI, terza parte: “O God, methink it were a happy life/to be no
better than a homely swain” (II, 5, monologo del re che vorrebbe essere un
semplice pastore ) O anche Riccardo II
Nel Riccardo II si legge che la Morte tiene
la corte nella corona cava (within the
hollow crown) che cinge le tempie
mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla
sua pompa and grinning at his pomp.
Riccardo
II[9]
deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti
dei re”
For
God’sake let us sit upon the round
And tell
sad stories of the death of kings:
How some
have been deposed, some slain in war,
Some
haunted by the ghosts they have deposed,
Some
poisoned by their wives, some sleeping kill’d,
All
murdered. For within the hollow crown
That
rounds the mortal temples of a king
Keeps
death his court; and there the antic sits,
Scoffing
his state and grinning at his pomp,
(Riccardo II, III, 2, 155-177)
Sentiamo ora un pensiero (141) tratto dai Ricordi
di Guicciardini "la
corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita[10]:
“spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso
che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa del popolo di quello che
fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in
India".
Rimane il pianto e il canto
delle sciagure.
Ecuba dice:
Poesia
è anche questa per gli infelici 120
Far
risuonare le sciagure prive di danze.
Euripide tende alle
situazioni patetiche, grondanti lacrime.
Anche Seneca accentua il
pathos. Nelle Troiane del Cordovano Ecuba
rivendica l’incendio di Troia a se stessa che ha partorito Paride dopo avere
sognato di dovere generare una fiaccola: non è stato Ulisse né il fallax Sinon a incendiare Troia: “meus ignis iste est” (v. 39). E’ il
“darsi animo” notato da Eliot (Shakespeare
e lo stoicismo di Seneca).
I versi 190-203 della Medea
contengono la poetica di Euripide: la poesia non deve rallegrare i conviti e le
feste, già di per sé piacevoli, ma alleviare gli affanni dei mortali. La poesia
è una specie di cura omeopatica: racconta casi dolorosi, pieni di lacrime, per
consolare le lacrime e gli affanni.
Questi
versi possono essere polemici rispetto a a quanto afferma Telemaco nel primo
canto dell'Odissea: il cantore deve dilettare ("tevrpein", v. 347) gli uomini che già godono (v. 369) del
banchetto, ed essi apprezzano maggiormente il canto che suoni più nuovo a chi
ascolta (vv. 351-352).
Nell’Elena, Menelao afferma addirittura che
le lacrime sono la sua gioia (v. 125).
Ecuba
nomina l’odiosa sposa (stugna;n a[locon, Troiane 132) di Menelao, onta
per Castore e ignominia per l’Eurota.
Elena
dunque non è Afrodite ma Nemesi.
K. Kerényi fa questa
distinzione: "O Nemesi o Afrodite: queste sono le due possibilità della
bellezza femminile, di cui ci parl ano le trasformazioni del mito di Nemesi e
di Helena. O rimanere la figlia di Nemesi e, dal fondo del senso della
colpevolezza, elevarsi a punizione dell'umanità (ed Omero respinge questa
soluzione) oppure (e la Helena dell'Iliade
è l'eterno simbolo di quest'altra) servire l'esigente ed indifferente Signora e
portare lo splendore, immune di colpa, di Afrodite, quale destino proprio e
destino tragico per gli uomini mortali"[11].
"In un colloquio con
Priamo essa si definisce kuvnwpi", "svergognata"[12]. Eppure! Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani
stanno immobili, come le cicale, seduti presso le porte della città: essi, i
saggi, i bravi oratori, immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare,
accompagnata dalle sue due fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si
potevano distinguere, perché essa era involta in un luminoso velo bianco-gli
anziani esclamano tra di loro: "Ouj nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano
da tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee
immortali"[13]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e
tuttavia per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il
riscatto della bellezza dal peccato"[14].
Ebbene questo riscatto non è
riconosciuto dall'Ecuba delle Troiane
che nel III episodio dirà a Menelao: "ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao.
Ma evita di vederla che non ti prenda con il desiderio (mh; s jj
e{lh/ povqw/, 891). Ella infatti possiede
tanta seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia
le case ("ejxairei' povlei",-pivmprhsin oi[kou"", vv. 892-893).
Euripide qui probabilmente ricorda " JElevnan
ejpei; prepovntw" eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone (vv. 689-691 del II stasimo)
di Eschilo.
CONTINUA
[1] La
nascita della tragedia, p. 37.
[2] Del
422 a. C.
[3] Alcuni
personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di
significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[4]V.
Di Benedetto, Euripide: teatro e società,
p. 180.
[5] Probabilmente
degli anni intorno al 415.
[6] Euripide.
[7]Aujtourgo;",
oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[8]Di
Benedetto, op. cit., p. 208.
[9] Riccardo II
Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio 1367 – Pontefract, 14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra
dal 1377 al 1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
I Plantageneti sono assimilabili ai Pelopidi e ai
Labdacidi per gli aspetti tragici di queste famiglie.
[10]F.
De Sanctis, Storia della letteratura
italiana, 2, p. 107
[12]Iliade, III, 180. Noi l'abbiamo trovato
nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo
tradotto "faccia di cagna".
[13]156-158.
[14]K.
Kerényi, Miti e misteri , p. 54.
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