NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 2 febbraio 2019

Eros e Afrodite. Calunnie e riabilitazione

Afrodite al bagno con Eros, II sec. d.C.


Afrodite e suo figlio Eros sono invincibili
Amore calunniato e riabilitato

Il primo stasimo cantato da donne trezenie canta con sgomento la necessità di venerare Eros, il tiranno degli uomini (tuvrannon ajndrw'n, v. 538) che distrugge (Ippolito, pevrqonta, v. 541) e incede in mezzo a sventure di ogni tipo (dia; pavsa~-ijovnta sumfora'~, 541-542).
La madre Cipride non è da meno: ella uccise la madre di Bacco con folgore fiammeggiante e dovunque spira terribile (deina; ga;r panta'/ potipnei') e continua a volare come un’ape (mevlissa d’ oi{a ti" pepovtatai [1], vv. 563-564).
Cipride dunque punge.  Al v. 556 Kuvpri" e[rpei, si insinua.

Nella Fedra di Seneca la figlia di Pasife, innamorata del proprio figliastro, cerca di giustificarsi con la nutrice denunciando l’onnipotenza del dio alato Amore cui soggiacciono gli stessi dèi maggiori poiché egli è alato e ha un potere senza freni in ogni parte del mondo: “Hic volǔcer omni pollet in terra impŏtens (v. 186) e vola parimenti opprimente nel cielo e sulla terra : “volitat caelo pariter et terra gravis” (v. 194).
La potenza sconvolgente di Eros

Cfr. Sofocle (Antigone) Terzo Stasimo, vv.  781-800.
E' un inno a Eros, invincibile in guerra, capace di abbattersi sulle ricchezze e di riposare sulle morbide guance delle ragazze. Egli è in movimento sul mare e nelle dimore agresti; è inevitabile da parte dei mortali e degli immortali che vengono resi folli da lui. Amore può traviare le menti dei giusti e renderle ingiuste, può spingere i consanguinei alla contesa, quando il desiderio degli occhi di una fanciulla detta legge, poiché in quella luce c'è qualche cosa di divino.
vv. 781-790. Strofe.
Eros invincibile in battaglia,/Eros che sulle ricchezze ti abbatti,/che nelle morbide guance/della fanciulla trascorri la notte,/vai e vieni tanto sul mare quanto/nelle agresti dimore:/e degli immortali nessuno ti sfugge/né degli uomini effimeri;/ma chi ti possiede è impazzito- oJ d  j e[cwn mevmhnen (790).

Apollonio Rodio lo chiama addirittura il dio del dolore
L'infelicità è connessa all'amore prima ancora che questo si realizzi:  quando la fanciulla Medea si avvia incontro a Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio del dolore ("daivmwn  ajlginovei"", Argonautiche, 4, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e preparati in ogni modo a sopportare, per  quanto sapiente tu sia, il dolore luttuoso.

"Eros si associa a Eris, Lotta, quella Eris che Esiodo, nelle Opere e Giorni , colloca "alle radici della terra" (v. 19)"[2].
Anche nel grande amore di Anna Karenina  e Vronskij a un certo punto entra la cattiva Eris, ossia lo spirito della competizione distruttiva dovuta al fatto che lui era in allarme per la propria autonomia minacciata dall'amante; ella a sua volta:" sentì che, a fianco dell'amore che li univa, fra loro si era insediato un certo malvagio spirito di dissidio e che lei non poteva scacciarlo dal cuore di lui, né, ancor meno, dal proprio"[3]. Perfino le espressioni di approvazione diventano sospette e allarmanti quando l'amore, in uno solo dei due, è in fase calante:" C'era qualcosa di offensivo nel fatto che egli avesse detto:"Questo sì che va bene", come si dice ai bambini quando smettono di fare i capricci; e ancor più offensivo era quel contrasto fra il tono di colpa che aveva lei e quello sicuro di sé di lui: e per un istante Anna sentì sollevarsi dentro di sé il desiderio di lotta; ma, fatto uno sforzo su se stessa, lo soffocò e accolse Vrònskij con la stessa allegria di prima" (p. 746). Tuttavia la simulazione non regge:" anche sapendo che si rovinava, non poté non fargli vedere quanto lui avesse torto, non poteva sottomettersi" (p. 747),
Capita spesso, quasi sempre purtroppo, che gli amanti diventino nemici.

Vediamo una una riabilitazione rispetto alle tante calunnie dei detrattori di Eros.
 il discorso di Agatone nel Simposio platonico (194 e 4-197 e 8).  dove c’è una rivalutazione del dio calunniato da molti poeti
 Agatone parla dopo Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane. Dopo di lui Socrate poi Alcibiade.
Amore come concordia, pace, delicatezza felicità, stenebramento, arte, virtù in tutte le sue forme (coraggio, temperanza, giustizia)
 Amore è il più bello e nobile tra gli dèi. E' anche il più giovane: infatti fugge di corsa la vecchiaia. Egli genera concordia: e se ci fosse stato lui nei tempi primordiali non ci sarebbero state amputazioni né incatenamenti :" ejktomai; oujde; desmoiv"(195c).
Amore è delicato (aJpalov"), ma gli manca un poeta come Omero che rappresenti la sua delicatezza. Egli si insedia nelle anime delicate, mentre si allontana dalle anime dure. Inoltre è bello e cerca bellezza: infatti tra amore e bruttezza c'è una guerra continua.  Passa la sua esistenza in mezzo ai fiori. La sua virtù sta nel fatto che il dio non fa e non riceve torti (ou[t j ajdikei' ou[t j ajdikei'tai). Oltre che di giustizia è dotato di somma temperanza (196c): infatti, essendo più  forte di tutti gli altri piaceri e istinti, li domina. Quanto a coraggio, neppure Ares resiste ad amore.
 Inoltre Eros rende poeta chi lo prova. Amore insegna tutte le arti. Ciò che amore non tocca rimane nella tenebra (Simposioskoteinov" 197a). Dall'amore della bellezza ha preso origine ogni cosa buona fra gli dèi e fra gli uomini. Egli ci vuota di ogni ostilità e ci riempie di ogni fratellanza e "prepara tali incontri tra noi per metterci insieme e diventa nostra guida nelle feste, nei cori, nei sacrifici" (197d), ispira mitezza, è timoniere, compagno e salvatore supremo nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola (197e).
Sembra che Agatone sia in procinto di anticipare la canzone di Cherubino (Le nozze di Figaro, II, 3) “Voi che sapete/che cosa è amor/ donne, vedete/s’io l’ho nel cor”





[1] potavomai , svolazzo cfr. pevtomai, volo
[2]J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 136.
[3]L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877) , p. 711.

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