Le Troiane di Euripide (415 a. C.)
Parte 3
Torniamo
al prologo delle Troiane.
Ecuba continua la sua monodia dicendo, con un’altra metafora
marina, che Elena l’ha fatta arenare nelle secche della sciagura (
ejς tavnd j
ejxwvkeil j a[tan, v. 137).
Intanto
Troia brucia e va in fumo (tuvfetai
[Ilion, v. 145).
Tufw`n
, tifone, uragano.
Tifone
rappresenta il Caos che viene cosmizzato dalla III generazione divina
ma rimane sempre in agguato e ogni tanto ritorna
Erodoto
racconta che Tifone (identificato con Seth) uccise Osiride, poi venne
ucciso da Oro, il figlio di Osiride che i Greci chiamano Apollo. Oro
fu l’ultimo dio che regnò sull’Egitto (2, 144, 2)
Sentiamo
anche C. Pavese: "Il mito greco insegna che si combatte sempre
contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro
Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si
combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte
soprattutto per non
essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non
combatte"1.
Tifone
figlio di Tartaro e di Gea , il più potente dei figli di Gea, genera
diversi figli con Echidna: la Chimera, il leone di Nemea, Orto, il
cane a due teste, l’aquila che divora il fegato di Prometeo, la
Sfinge. (Apollodoro)
Secondo
Esiodo invece la Sfinge (Fivx)
è figlia di Echidna e di suo figlio Orto, dunque è nata da un
incesto.
Zeus
uccise Tifone e lo seppellì sotto l’Etna.
febbraiol
La
Parodo (vv. 153-234) è cantata da due semicori di prigioniere
troiane.
Nella
prima coppia strofica c’è uno scambio di battute con Ecuba, la
seconda invece è cantata interamente dal Coro
Ecuba
pre-sente e antivede, raffigura la sciagura ( eijkavzw
a[tan, v. 163), congetturo la
sciagura
Ecuba
è dunque eijkasthv~,
una capace di congetturare come il loico Temistocle di Tucidide.
Temistocle
è l'eroe dell’ intelligenza laica: egli che "oijkeiva/
xunevsei" appunto, con la sua facoltà di capire, era "tw'n
te paracrh'ma di j ejlacivsth" boulh'" kravtisto"
gnwvmwn", ottimo giudice
della situazione presente attraverso un rapidissimo esame" e
"tw'n
mellovntwn ejpi; plei'ston tou' genhsomevnou a[risto"
eijkasthv"" (I, 138,
3), e ottimo a congetturare (supporre) il futuro per ampio raggio in
quello che sarebbe accaduto. Prevedeva benissimo i danni o i vantaggi
quando erano ancora avvolti nell’oscurità: “tov
te a[meinon h] cei'ron ejn tw/' ajfanei' e[ti proewvra malista”.
a[tan del v. 163.
Nell’Iliade
Ate è l’acciecamento mentale
Nel IX canto dell’Iliade
, Fenice racconta che le Preghiere ("Litaiv ", v. 502) le
figlie di Zeus, zoppe, rugose e losche d'occhi, seguono Ate che è
gagliarda, veloce e percorre la terra danneggiando gli uomini; esse
pongono riparo se vengono richieste; ma se uno le rifiuta, le Litài
chiedono a Zeus che l'Ate insegua il riluttante ed egli paghi il fio.
Ate insomma è una smisurata forza irrazionale contro la quale spesso
la volontà e l'educazione umana sono impotenti.
Un vero e proprio trofeo di Ate ( [Ata" tropai'on, Eschilo, I
sette a Tebe , v. 956) si trova
sulle porte di Tebe sulle quali urtavano i fratelli figli di Edipo
ammazzandosi a vicenda, poi, impadronitosi dei due, il demone cessò
("duoi'n krathvsa" e[lhxe daivmwn", v. 960).
L’Ate spinge gli uomini alla guerra dunque.
Ecuba
teme la vergogna (aijscuvnan,
172) che verrà di fronte ai Greci dalla delirante Cassandra, la
figliola menade .
Per
quanto riguarda il pudore, nelle Troiane
di Seneca, Ecuba invita le donne del coro a spogliarsi: “uteroque
tenus pateant artus” (v.88). Il
pudore infatti non è servito a niente (come la “stolta virtù”
del Bruto minore
di Leopardi.
Dunque
sia libera (vacet, 92)
la furibunda manus
(93) di colpire il petto nudo.
Ma
vedremo che la follia di Cassandra è più saggia della saggezza del
mondo.
Platone
assimila la follia religiosa a quella erotica: nel Fedro
ricorda che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è
stato già trattato da Saffo e Anacreonte ed elenca quattro modi di
essere fuori di sé: quello dei profeti come la Pizia di Delfi,
quello dei fondatori di religione, quello dei poeti, e quello degli
innamorati.
C'è da notare che maivnomai,
"sono pazzo", maniva,
"follia" e mavnti"
, “profeta”, hanno la radice
comune man(t) -/mhn-.
Platone
nel Fedro
sostiene che agli uomini i beni più grandi derivano da una mania
data dagli dèi (244a): infatti la profetessa di Delfi, quella di
Dodona e la Sibilla procurano benefici agli uomini quando si trovano
in stato di mania, mentre in stato di senno non ne procurano alcuno.
Gli antichi che hanno coniato i nomi hanno chiamato manikhv
la più bella delle arti che prevede il futuro. Sono stati i moderni,
ajpeirokavlw~,
con ignoranza del bello, che mettendoci dentro una tau,
mantikh;n
ejkavlesan (244c), l’hanno
chiamata mantica.
Ecuba
però continua a lamentarsi. Si assimila a un fuco (khfhvn,
Troiane
193),
Come
fuco, la disgraziata,
forma
cadaverica,
immagine
inconsistente del mondo dei morti (193-195)
khfhvn-h'no"
significa fuco e anche persona debole, incapace di tutto
Nelle
Baccanti
(v. 1365) Cadmo, anche lui annientato dal dolore, si assimila a un
cigno decrepito-khfh'na-
abbracciato dalla figlia
Ca.
Perché mi getti attorno le braccia, figlia infelice,
come
un cigno alato il decrepito padre canuto? (1364-1365)
Nelle
Opere,
Esiodo sostiene che uomini e dèi provano sdegno per chi vive
inoperoso ajergov~2
simile, per carattere, a fuchi senza pungiglione (304-305)
Ecuba
si sente quale un’immagine di morti priva di consistenza (nekuvwn
ajmenhno;n a[[galma, v. 193), una
forma di cadavere (nekrou`
morfav), simile alle teste
svigorite della Nevkuia omerica (ajmenhna;
kavrhna, Odissea,
XI, 29).
Le Troiane giovani temono la schiavitù sessuale: di essere spinta
nei letti dei Greci ( levktroi~
plaqei`s 4
JEllavnwn,
v. 203).
Il
letto è sempre un mobile molto importante nelle tragedie di
Euripide, specialmente nell’Alcesti
e nella Medea.
Il mobile più importante della casa (Kott)
Nelle
Troiane
c’è anche la consueta propaganda antispartana (cfr. specialmente
Andromaca
e Oreste)
che mal si concilia con la contrarietà alla guerra.
Il
Coro depreca la propria schiavitù a Corinto dove dovrebbe attingere
da misera serva (provspolo~
oijktrav, v. 206) le sacre acque
di Pirene5.
Ma
la città più odiata è sempre Sparta, la povli~
nemica di Atene, situata sulla corrente dell’Eurota, odiosissima
dimora di Elena (ta;n
ejcqivstan qeravpnan JElevna~, v.
211).
Nell’Andromaca,
la protagonista eponima lancia un anatema contro la genìa dei
signori del Peloponneso, chiamati yeudw'n
a[nakte~ :" o i più odiosi
(e[cqistoi) tra i mortali per tutti gli uomini, abitanti di Sparta,
consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, tessitori di mali, che
pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza
giustizia avete successo per la Grecia (vv.445-449).
“The
Andromache, written early in the Peloponnesian War, shows a loathing
of Spartan arrogance and cruelty and deviousness”6,
l’Andromaca,
scritta nei primi anni della guerra del Peloponneso, mostra un
aborrimento per l’arroganza, la crudeltà e la tortuosità degli
Spartani.
Dal
canto suo Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro
costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta7
("swvfrwn",
v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando
le case con le cosce nude ("gumnoi'si
mhroi'"", v.598) e i
pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non
sopportabili " (Andromaca,
vv.595-600).
Menelao,
lo Spartano, è un pessimo personaggio nell’Andromaca
dove perseguita la vedova di Ettore la quale lo apostrofa dandogli
del fau`lo~
(v. 325), della nullità, e del pallone gonfiato e falsificato dalla
dovxa,
la reputazione, che gonfia appunto la vita di tanti uomini che non
valgono nulla: “oujde;n
gegw`si bivoton w[gkwsa~ mevgan”(v.
320).
Con
effetto quasi tumorale.
Peleo si scaglia contro Menelao : lo chiama infame assassino di
Achille (v. 615). E aggiunge che non vale nulla (v. 641), che non ha
avuto nessun merito nella presa di Troia. In Grecia c’è l’usanza
sbagliata di riconoscere solo ai capi il vanto delle imprese, e il
comandante, non facendo niente più di uno solo, ottiene una fama
maggiore
Bertolt
Brecht fa eco a questa critica: “Il giovane Alessandro conquistò
l’India./Da solo?/Cesare sconfisse i Galli./Non aveva con sé
nemmeno un cuoco?”9.
CONTINUA
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Le
guerre le vogliono i potenti e gli speculatori, le iene del campo di
battaglia.
1Il
mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.
2
e[rgon energia, sinergia, liturgia,
ted Werk,
ingl. work
3
Participio passato di sein.
4
Da pelavzw.
5
Fonte di Corinto che, situata sull'istmo, era un nodo commerciale
(jempovrion,
Tucidide, I 13, 5) e i suoi abitanti erano potenti per le ricchezze
(crhvmasiv
te dunatoi; h\san).
Questa
città di mercanti sarà la più decisa nel volere lo scoppio della
grande guerra nell'estate del 432, quando si riunì a Sparta
l'assemblea federale della lega peloponnesiaca cui furono invitati
anche gli ambasciatori degli Ateniesi dei quali i delegati della
città dell'istmo danno un ritratto (I, 68-71) inciso con l'acume
dell'odio eppure non troppo diverso da quello, nobilmente
elogiativo, che fornirà Pericle nell'orazione sui caduti durante il
primo anno di guerra (II, 35-46).
6
M. Hadas, op. cit, pp. VIII-IX
7
Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il
legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con
corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto..per eliminare poi
in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a
intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle
feste sotto gli occhi dei giovani (Vita
di Licurgo
, 14). E' interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire
a Gige: "la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche
del pudore".
8
Spesso il merito di un impresa va a chi non l’ha compiuta. La
Medea di Euripide rinfaccia a Giasone l’aiuto che gli ha dato per
compiere l’impresa: “il drago, che avvolgendo il vello tutto
d'oro/lo sorvegliava con le spire contorte senza dormire,/dopo
averlo ucciso, sollevai per te la luce della salvezza” (Medea,
vv. 480-482).
9
Domande di un
lettore operaio,
vv. 16-19, da Poesie
di Svendborg,
1939, ,in Brecht, Poesie,
p. 157.
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