NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 10 febbraio 2019

Imprevedibilità degli eventi e felicità

manifattura Benacchio, Bambino sorridente

La vita umana è interessante in quanto è un’avventura e non c’è assicurazione che possa toglierle l’imprevedibilità.
La felicità è il primo atto di una pietas autentica.

Leggiamo gli ultimi cinque versi della Medea di Euripide:" Di molti casi Zeus è dispensatore sull' Olimpo (Pollw'n tamiva" Zeu;" ejn jOluvmpw/);/e molti eventi fuori dalle nostre speranze (ajevlptw") portano a compimento gli dèi;/e i fatti attesi non si avverarono,/mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via./Così è andata a finire questa azione"(vv. 1415-1419). La conclusione dell'Alcesti, dell'Andromaca , dell'Elena e delle Baccanti è uguale, tranne che per il primo verso di questo finale topico : " pollai; morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti , v. 1159; Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688; Baccanti, v. 1388),  molte sono le forme della divinità".
Questo costituisce uno dei tovpoi della letteratura che afferma l'imprevedibilità della vita umana. Si tratta di un motivo sapienziale arcaico già presente in Archiloco (fr. 58D.):"toi'" qeoi'" tiqei'n  a{panta...pollavki" d& ajnatrevpousi kai; mavl j eu\ bebhkovta"/uJptivou" klivnous j", bisogna attribuire ogni cosa agli dei...spesso rovesciano e stendono supini anche quelli ben saldi.
Pindaro afferma che Tantalo era l'uomo più amato dagli dèi che lo onoravano frequentando la sua mensa; egli però non seppe smaltire la grande felicità:" se mai i protettori dell'Olimpo onorarono un uomo/mortale, era Tantalo questo; però/ di fatto non seppe/digerire la grande felicità, e con la sazietà attirò/un accecamento pieno di prepotenza, e su di lui/il padre sospese un macigno pesante,/che egli desidera sempre stornare dal capo/ed erra lontano dalla gioia. (Olimpica I, vv. 54-61).
 "E' il culmine della felicità quando gli dèi si assidono alla nostra tavola e portano i loro doni-ma da quel momento non è possibile che tramontare. "I venti che soffiano sulle cime incessantemente mutano. La felicità non dura a lungo ai mortali, quand'essa viene nella sua pienezza" (Pindaro, Pitiche, III, 104-106)"[1].
Anche Sofocle denuncia più di una volta questa insicurezza e nei suoi drammi si trova l'immagine dell' altalena fatale:" nell'Esodo dell'Antigone  il messo sentenzia:"tuvch ga;r ojrqoi' kai; tuvch katarrevpei-to;n eujtucou'nta to;n te dustucou'nt j ajeiv (vv.1157-1158),  la sorte infatti raddrizza e la sorte butta giù/ il fortunato e il disgraziato via via. Nell'Edipo re  il coro chiede ad Apollo:"intorno a te ho sacro timore: che cosa, o di nuovo/o con il volgere delle stagioni ("peritellomevnai" w{rai"") un'altra volta/effettuerai per me?"(vv. 155-157).  In questo scorrere rapido dei giorni, nel girare vorticoso delle stagioni, avvengono mutamenti continui e alcune cose si ripetono, ma altre accadono inopinatamente.
Gli ultimi versi di questo dramma avvisano : sicché, uno che sia nato mortale, non ritenga felice nessuno,/considerando quell'ultimo giorno a vedersi, prima che/abbia passato il termine della vita senza avere sofferto nulla di doloroso ("pri;n a]n  /tevrma tou' bivou peravsh/ mhde;n ajlgeino;n paqwvn", vv.1528-1530).
L'imprevedibilità del futuro è denunciata anche da Deianira all'inizio delle Trachinie  (vv. 1-3) :" esiste un antico detto ("Lovgo" me;n e[st& ajrcai'o"") diffuso tra gli uomini: che non puoi conoscere la vita di un uomo prima che uno sia defunto, né se per lui sia stata buona o cattiva".
Più avanti la Nutrice afferma addirittura che è sconsiderato (mavtaiovv" ejstin), v. 945 chi conta su due giorni o anche più: infatti non c'è il domani se prima uno non ha passato l'oggi.
 Queste parole ribadiscono gli insegnamenti delfici del  conoscere, anche attraverso se stessi, la natura umana, i suoi limiti e pure le sue connessioni con il cosmo, per  rifuggire ogni eccesso, ogni rottura dell'equilibrio e dell'armonia.
Aristofane nella Lisistrata echeggia questo locus in chiave parodica:"h h\ povll j a[elpt j e[nestin ejn tw'/ makrw'/ bivw/ " (v. 256) davvero in una lunga vita ci sono molte cose impreviste. Infatti le donne "odiose a Euripide e a tutti gli dèi", come le definisce il corifèo (v. 283) hanno occupato l'Acropoli e intendono fare lo sciopero del sesso per impedire la continuazione della guerra. La parola d'ordine lanciata dalla loro "capa" Lisistrata è :"ajfekteva toivnun ejstivn hJmi'n tou' pevou""(v. 124), bisogna astenersi dal bischero. 
nelle Rane  Aristofane fa recitare al personaggio Euripide i primi due versi della sua Antigone che non ci è arrivata:" Edipo dapprima era un uomo felice" (v. 1182)..."ma poi divenne viceversa il più infelice dei mortali" (v. 1187). Ogni giorno infatti è assolutamente diverso dal precedente.    Si trovano concetti analoghi in diversi drammi euripidèi.

 Il tema dell'imprevedibilità si intreccia con quello della felicità non senza contraddizioni con quanto abbiamo letto nell'Alcesti, ma si sa che le ipotesi di Euripide sono variabili.
Nel terzo Stasimo delle Baccanti le Menadi cantano " to; de; kat j h\mar o}tw/ bivoto"-eujdaivmwn, makarivzw" (vv. 910-911), considero beato l'uomo la cui vita è felice giorno per giorno.
 Nell'Ippolito  il coro sentenzia:" oujk oi\d j oJvpw" ei[poim a]n eujtucei'n tina-qnhtw'n: ta; ga;r dh; prw't j ajnevstraptai pavlin"(vv. 981-982), non so come potrei dire che alcuno dei mortali è fortunato: infatti le posizioni più alte vengono rovesciate.
Nell'Ecuba  la vecchia regina, dopo il sacrificio-assassinio della figlia Polissena constata la vanità della ricchezza e del potere, quindi conclude:"kei'no" ojlbiwvtato" ,- o{tw/ kat j h\mar tugcavnei mhde;n kakovn"(vv. 627-628), il più fortunato è quello cui giorno per giorno non tocca nessun male.
 Nelle Troiane  la vedova di Priamo  dice:"nessuno dei felici considerate che sia fortunato, prima che sia morto"(vv. 509-510).
 In un'altra cara tragedia di Euripide, l'Andromaca , leggiamo:"Crh; d j ou[pot& eijpei'n oujdevn j o[lbion brotw'n-pri;n a]n qanovnto" th;n teleutaivan i[dh/"-o{pw" peravsa" hJmevran hJvxei kavtw"(vv.100-102), non bisogna dire mai felice uno dei mortali/prima che tu abbia visto l'ultimo giorno/ del defunto, come, avendolo passato, andrà laggiù.

 Nell'Eracle il Coro constata che in un attimo il dio ha rovesciato un uomo felice e in un attimo i figli (di Eracle) spireranno per mano del padre:"tacu; to;n eujtuch' metevbalen daivmwn-tacu; de; pro;" patro;" tevkn j ejkpneuvsetai " (vv. 884-885).

Poiché la vita umana è imprevedibile, non si può chiamare felice né fortunato chi non l'ha ancora compiuta tutta.: è una constatazione della mutevolezza e imprevedibilità della tuvch, una forza soprannaturale che durante l'età ellenistica acquisterà altro credito e sostituirà tutti gli dèi dell'Olimpo e degli Inferi.
Tuttavia alla fine delle Trachinie Illo sentenzia: "koujde;n touvtwn   o{ ti mh; Zeu" "(1278), nulla di questo che non sia Zeus.

La non prevedibilità della vita fa parte non solo della sapienza tragica, ma anche di quella erodotea: il Solone dello storiografo di Alicarnasso dichiara a Creso che, essendo la vita umana fatta mediamente di 26250 giorni, nessuno di questi porta una situazione uguale all'altro, pertanto l'uomo è del tutto in balìa degli eventi ("pa'n ejsti a[nqrwpo" sumforhv" (I, 32, 4). Quindi, sebbene il saggio ateniese  abbia visto che il re di Lidia è ricco e potente, non può dire se sia felicissimo prima di avere avuto la notizia che ha finito bene la vita[2]. Tucidide viceversa avrebbe la pretesa di assicurarci, dandoci regole per i fatti che si ripresenterebbero sempre nello stesso modo.
 Mazzarino mette in rilievo che nell'opera di Erodoto è ricorrente il quesito:"Son felici il ricco e il monarca?...A questa domanda rispondono i discorsi tra Creso e Solone...anche Anassagora si sforzava di rispondere alla stessa domanda...secondo Anassagora il dotto soprattutto era felice"[3]. Su questa linea anche Platone che nel Gorgia (470e) fa dire a Socrate di non sapere se il gran re dei Persiani sia felice poiché non sa come stia quanto a paideia e a giustizia:"ouj ga;r oi\da paideiva" o{pw" e[cei kai; dikaiosuvnh" , quindi, a Polo che lo incalza, chiedendogli se la felicità consista in questo, risponde che l'uomo e la donna sono felici quando sono belli e buoni, quando sono ingiusti e malvagi invece sono infelici. Nelle Leggi (VII, 801e, 802a) più in generale  Platone afferma che "non è cosa sicura onorare i viventi con inni e canti prima che ciascuno abbia percorso fino in fondo tutta la vita". 
 Essere felici secondo Strabone, geografo dell'età di Augusto, è un atto di pietas :"gli uomini imitano benissimo gli dèi quando fanno del bene, ma si potrebbe dire ancor meglio quando sono felici (o{tan eujdaimonw'si)"[4].
 Infernale è colpevole allora può essere considerata l'infelicità:" E' una vergogna essere infelici. E' una vergogna non poter mostrare a nessuno la propria vita, dover nascondere e dissimulare qualcosa"[5]. Anche le malattie talora vengono considerate segno di colpa. Quando il principe Andrej Bolkonskij domanda al padre :"Come va la vostra salute?", il vecchio risponde:"Mio caro, solo gli stupidi e i viziosi si ammalano. Tu però mi conosci: dalla mattina alla sera sono occupato, sobrio, e quindi sano"[6]. Laboriosità e pietas dunque si addicono molto alla salute.  In effetti la Salus per i latini era una divinità, di antica origine italica.
 Plauto la menziona più volte (Captivi 529; Poenulus 128).
 Vediamo ancora la formulazione del tovpo" data da Ovidio:"Iam stabant Thebae, poteras iam, Cadme, videri/exilio felix: soceri tibi Marsque Venusque[7](…) sed scilicet ultima semper /expectanda dies hominis, dicique beatus/ante obitum nemo supremaque funera debet" (Metamorfosi , III, 135-137), già era costruita Tebe, e tu Cadmo potevi sembrare felice nell'esilio: avevi come suoceri Venere e Marte…ma certo bisogna sempre aspettare l'ultimo giorno dell'uomo e nessuno può dirsi beato prima dell'ultima funebre pompa!

In conclusione: la pretesa odierna di assicurarsi dalle sventure è fasulla e non rende la vita più sicura né più sana né felice.       
"Ognuno deve essere pienamente consapevole che la propria vita è un'avventura anche quando la crede chiusa in una sicurezza da burocrate: ogni destino umano comporta un'irriducibile incertezza anche nella certezza assoluta, che è quella della sua morte, poiché ne si ignora la data. Ognuno deve essere pienamente consapevole di partecipare all'avventura dell'umanità, che è, ormai con una velocità accelerata, proiettata verso l'ignoto"[8].
Ho insistito su questo tovpo" dandone parecchie testimonianze poiché adesso i più cercano disperatamente, e risibilmente, di assicurarsi su tutto, da tutto.

giovanni ghiselli

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[1] M. Cacciari, L'arcipelago, p. 53.
[2] In un testo  più recente, le Metamorfosi  di Ovidio, troviamo la medesima sentenza della tragedia e di Erodoto, a proposito di Cadmo:"sed scilicet ultima semper/exspectanda dies hominis, dicique beatus/ante obitum nemo supremaque funera debet "(III, 135-137), ma certo bisogna sempre aspettare l'ultima ora dell'uomo e nessuno deve essere chiamato felice prima della morte e delle esequie estreme. 
[3]S. Mazzarino, Il pensiero storico classico  I, pp. 178 e 179.
[4] Strabone (64 ca a. C.-24 ca d. C.), Geografia, X, 3, 9.
[5] H. Hesse, Rosshalde (del 1914), p. 78.
[6] L. Tolstoj, Guerra e pace, p. 146.
[7] In quanto aveva sposato la loro figliola Armonia.
[8] E. Morin, La testa ben fatta,, p. 64.

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