La bambina. Sul tornare bambini con la consapevolezza del male e del bene
( errata corrige: "dopo la consapevolezza" al posto del cacofonico e poco chiaro "con la consapevolezza"
Orazio suggerisce: “carmen reprehendite quod non/ multa dies et multa litura coercuit atque/ praesectum decies non castigavit ad unguem” (Ars poetica, vv. 292-294), biasimate la poesia che né un lungo tempo né molte cancellature hanno rifinito, e, dopo averla sfrondata una decina di volte, non ha corretto fino all'unghia, alla perfezione.)
Sabato
4 agosto andammo in gita a Eger, famosa per avere respinto un assalto
dei Turchi e per i suoi vini: l’Egri
bikavér,
il sangue di toro di Eger, già noto a chi mi legge e l’Egri
leánika,
e la fanciulla - una baccante? - di Eger, splendidi doni di Bacco
alla Pannonia. Dioniso e il toro, Dioniso e le menadi. Non mi limitai
a bere però; dialogai con Silvia, la tedesca dell’est già
menzionata sopra, la giovane bionda e un poco opulenta che sapeva
parlare e pure ascoltare. Quel giorno, facendo attenzione a tutto
quanto udivo e vedevo, compresi che la maturità mentale consiste,
tra l’altro, nel ridiventare com’eravamo da bambini, prima delle
diverse crisi di identità dell’adolescenza o dei primi vent'anni.
L’età
tragica della mia vita e di tanti altri umani.
Mentre
osservavo e ascoltavo, mi accorsi che da qualche
tempo l’intelligenza, le esperienze e un demone buono mi
stavano riconducendo alla mia antica natura infantile qual era prima
di venire contraffatta e aulterata dai luoghi comuni dell’epoca. Ci
venne vicino una giovane donna con una bambina di quattro o cinque
anni che disegnò il disco solare con i raggi e disse: “questa è
la testa del fuoco, è la faccia di Dio”. Mi tornò in mente
Platone, il mito della caverna e il sole che è nel visibile quello
che è l’idea del bene, il massimo oggetto di scienza
nell’intellegibile[1].
Poi ricordai Leopardi quando scrive che la filosofia ci ha
insegnato “quello che da fanciulli ci era connaturale” [2],
e che poi avevamo dimenticato e perduto
La
bambina aveva disegnato il mare con un pesce enorme, una rete, tanti
pesci piccoli, e disse: “Questa è la balena che cattura i
pesciolini con una ragnatela”.
“Il
diritto del più forte - pensai - uccellacci e uccellini. I bambini
intelligenti capiscono molte cose. Intuiscono la parentela di tutto
con tutto, dell’intera natura con se stessa, siccome hanno dentro
qualche cosa di sacro, e lo manifestano fino a quando non temono i
giudizi mortificanti degli adulti mortificati ”.
Voglio
dire che arrivato vicino ai 35 anni, dopo tante esperienze e letture,
mi sentivo simile a quella creatura nel senso che avevo recuperato il
coraggio infantile di dire quanto pensavo e sentivo: non temevo più
i giudizi della gente meccanica, formata sui luoghi comuni, mimetica
della pubblicità, una imitazione del diavolo che andrebbe proibita.
Elogiai la piccola alla madre, una bella signora bruna, con gli
zigomi alti e gli occhi chiari, dal taglio magiaro rendente al
chirghiso. Mi disse il suo nome e mi chiese chi fossi. Mi presentai e
dissi che ero un uomo contento e che mi piaceva l’ umanità: facevo
un lavoro che mi soddisfaceva, amavo una donna contraccambiato,
godevo di una buona salute mentale e fisica e volevo rendermi utile
al prossimo mio, a partire dagli adolescenti che educavo a diventare
ciascuno quello che era davvero, possibilmente bello e buono.
A
Silvia, quando mi chiese dei chiarimenti su quanto aveva sentito,
aggiunsi che stavo riprendendo coscienza dell’ottimismo mio,
connaturato eppure smarrito durante la crisi postliceale, siccome in
quel tempo sciaguratissimo avevo creduto nei bruti servi
dell’assuefazione più che in me stesso. Dopo un biennio di quasi
disperazione, senza bicicletta né corsa, con studio fatto male e
controvoglia, nessun amore, nessuna amicizia, niente tranne
ingrassare e lamentarmi, avevo cominciato a ritrovare quello che
ero e ce l’avevo fatta aiutato anche dal Sessantotto e dai collegi
universitari di Bologna e di Debrecen grazie ai quali ero uscito
dall’isolamento.
I
colpi di grazia, generosi latori di vita bella, non certo di
morte come si usa dire, erano stati i miei primi allievi, l’amicizia
di Fulvio, le tre finniche benedette da Dio Helena, Kaisa, Päivi
e alla fine dei conti Ifigenia la bella che mi aspettava,
speravo, in Italia sull’Adriatico osservando gli innumerevoli
sorrisi della distesa marina e pensando a me come io la pensavo.
giovanni
ghiselli
p.s.
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Procederò
con la narrativa se vedrò che viene letta. Anche questa è una prova
del Ghiselli agonista.
Non
trascurerò comunque la parte parlata e scritta del conferenziere. Le
prossime: il 19 aprile nella biblioteca Ruffilli con Ammiano
Marcellino e Giuliano Augusto, poi il 29 aprile nella Scandellara con
Svevo.
Saluti
a quanti mi leggono. Siete tanti e contribuite anche voi a rafforzare
la mia identità. Vi sono grato.
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