Scuola di Raffaello, Gli dei dell’Olimpo |
Dalla conferenza Leopardi e gli Antichi, 15 aprile 2019, biblioteca Scandellara di Bologna
Nel Discorso
di un italiano intorno alla poesia romantica composto nel
1818 Leopardi scrive parole in favore delle “favole
greche”
“I
romantici ricusano le credenze antiche e rappresentano credenze
esotiche e barbare”
“Certo
ch’il rifiutare e deridere e bestemmiare le favole greche (…) e
intanto così facendo , pescar l’oriente e il settentrione e
qualunque paese barbaro è illuminato dal sole, e far materia
sostanzialissima di poesia le favole loro, in grandissima parte
mostruosissime e ridicolissime, tutte oltremodo ripugnanti alle
credenze nostre, tutte disprezzate, perch’essendo vanità per se
stesse, niuna cosa estrinseca le fa venerande, non l’averle noi
studiate e venerate da fanciulli, non memoria degli avi nostri, non
pregio né fama insigne né uso frequente appresso noi di scrittori
che le abbiano adoprete” e così via
La
paura degli dèi
Parto
dal culto della Magna Mater di Lucrezio
Viene
descritta la processione orrendamente superstiziosa. "tympana
tenta tonant palmis, et cymbala circum-concava, raucisonoque minantur
cornua cantu" 618-9, i tamburelli tesi tuonano sotto i palmi
e i cembali concavi-piatti di metallo- intorno, con il rauco suono
minacciano i corni,
e
il cavo flauto con frigia cadenza esalta le menti. Cava tibia
stimulat mentes (620)
Inoltre
brandiscono le armi (telaque praeportant, 621), segni di furia
che
possano atterrire, con lo spavento conterrēre metu della
potenza della dea gli animi ingrati e i petti ribaldi del volgo impia
pectora vulgi.
Allora
le genti aere atque argento sternunt iter omne
viarum (626), lastricano tutto il percorso di
bronzo e d'argento, arricchendoli di copiosa offerta largifica
stipe ditantes e fanno nevicare fiori di rosa, coprendo di
ombra la madre e le orde del seguito.
Quindi
Leopardi: “Gli antichi dèi della Grecia ec. erano
nell’immaginazione de’ greci ec. e ne’ loro simulacri ec., di
figura mostruosa e spaventevole; abbellita a poco a poco col
progresso della civiltà: segno che l’origine della religione fu il
timore ec…(14 Ottobre 1828)”[1].
Cfr.
anche il dramma Sisifo (di Crizia)
Zibaldone di
Leopardi: “Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva
secondo l’immaginazione umana e viva umanamente cioè abitata o
formata di esseri uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si
giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e i fauni e i
silvani e Pane ec. ed entrandoci e vedendoci tutto solitudine pur
credevi tutto abitato e così de’ fonti abitati dalle Naiadi ec. e
stringendoti un albero al seno te lo sentivi quasi palpitare fra le
mani, credendolo un uomo o donna come Ciparisso ec! e così de’
fiori ec. Come appunto i fanciulli” (Zibaldone, 63-64).
Odissea I, 11-12: "Allora
tutti gli altri, quanti evitarono la morte scoscesa/erano a
casa, schivata la guerra ed il mare"
L'
aggettivo aijpuv" fa
vedere la morte come un precipizio. A tale immagine si può accostare
quella di Leopardi:"infin ch'arriva/colà dove la via/e
dove il tanto affaticar fu volto:/abisso orrido, immenso,/ov'ei
precipitando, il tutto oblia"[3].
Ma forse è ancora più calzante La
morte di Ivàn Ilìc :"egli
smaniava dentro quel sacco nero, nel quale implacabile, invisibile,
la forza di qualcuno continuava a spingerlo… Egli sentiva che il
suo gran patire era di dovere entrare in quella buca buia...Ad
un tratto una forza lo urtò nel petto, nel fianco, ancora più forte
oppresse il suo respiro, ed egli sprofondò nella buca"[4].
L’eroismo
sta nel non cedere
Della
definizione oraziana dell'eroe si ricorda Leopardi nel Bruto
Minore:" Guerra mortale, eterna, o fato indegno,/teco il
prode guerreggia,/ di cedere inesperto"(vv. 38-40).
L’eroismo
del “non cedere” viene attribuito da Omero ad Achille
(ouj lhvxw) da
Lucrezio a Epicuro.
Ma
sentiamo Leopardi: “L’eroismo ci trascina non solo
all’ammirazione, all’amore. Ci accade verso gli eroi, come alle
donne verso gli uomini. Ci sentiamo più deboli di loro, perciò gli
amiamo. Quella virilità maggior della nostra, c’innamora. I
soldati di Napoleone erano innamorati di lui, l’amavano con amor di
passione, anche dopo la sua caduta: e ciò malgrado che avevano
dovuto soffrire per lui, e gli agi di cui taluni godevano dopo il suo
fato. Così gli strapazzi che gli fa l’amato, infiammano l’amante.
E similmente tutta la Francia era innamorata di Napoleone. Così
Achille c’innamora per la virilità superiore, malgrado i suoi
difetti e bestialità, anzi in ragione ancora di queste. (22
Settembre 1828)”[5].
Contro
la filosofia
Leopardi
smonta la filosofia: “Che cosa dunque abbiamo imparato con tanti
studi, tante fatiche, esperienza, sudori, dolori? E la filosofia che
cosa ci ha insegnato? Quello che da fanciulli ci era connaturale, e
che poi avevamo dimenticato e perduto a forza di sapienza; quello che
i nostri incolti e selvaggi bisavoli, sapevano ed eseguivano senza
sognarsi d’esser filosofi (…) E perciò solo è utile la sommità
della filosofia, perché ci libera e disinganna dalla filosofia”[6].
Gli
occhi
“Espressione
degli occhi. Perché si ha cura fino ab antico di chiudere gli occhi
ai morti? Perché con gli occhi aperti farebbero un certo orrore. E
questo orrore da che verrebbe? Non da altro che da un contrasto tra
l’apparenza della vita, e l’apparenza e la sostanza della morte.
Dunque la significazione degli occhi è tanta, ch’essi sono i
rappresentanti della vita, e basterebbro a dare una sembianza di vita
agli estinti” (Zibaldone,
2102).
L'importanza
capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita più
volte dal poeta di Recanati: "Le
Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da
Omero bow'pi" (bowvpido")
cioè ch' ha occhi di
bue . La grandezza
degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo
sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci
intendentissimi del bello, non temevano di usare questa
esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e
appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente
anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché
contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per
tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono
molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo
eccesso di questa grandezza (...) Dalle quali cose deducete
1°.Quanto
sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana,
e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E
che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli
animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce
realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né
quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la
grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e
dimostrando maggior quantità e misura di vita" (2546-2548).
La
felicità
Sulla
felicità sentiamo sempre, nello Zibaldone, il diverso
concetto che ne hanno avuto i Greci e i Cristiani.
“La
religion Cristiana fra tutte le antiche e le moderne è la sola
che o implicitamente o esplicitamente, ma certo per essenza,
istituto, carattere e spirito suo, faccia considerare e consideri
come male quello che naturalmente è, fu, e sarà sempre bene
(anche negli animali) e sempre male il suo contrario; come la
bellezza, la giovanezza, la ricchezza ec. e fino la stessa felicità
e prosperità a cui sospirano e sospireranno eternamente tutti gli
esseri viventi. E li considera come male effettivamente, perciocché
non si può negare che queste tali cose non sieno molto pericolose
all’anima, e che le loro contrarie (come la bruttezza c.) non
liberino da infinite occasioni di peccare. E perciò quelli che fanno
professione di devoti chiamano fortunati i brutti ec. e considerano
la bruttezza ec. come un bene dell’uomo, una fortuna della società,
e come una condizione, una qualità, una (2457) sorte
desiderabilissima in questa vita (…) E quindi l’opinione che
le disgrazie (o come le chiamano le croci), sieno favori di Dio, e
segni della benevolenza Divina: opinione stranissima e affatto nuova;
inaudita in tutta l’antichità e presso tutte le altre religioni
moderne (tutte le quali considerano anzi il fortunato solo, come
favorito di Dio, onde fra gli antichi beato, makavrioς o[lbioς ec.
erea un titolo di rispetto e di lode, e tanto a dire come sanctus,
o come vir
iustus ec. L’etimologia
di eujdaivmwn è favorito
dagli dèi,
o che
ha buon Dio,
cioè favorevole.
Al contrario dusdaivmwn,
infelice, che ha mali
Dei”)[7].
Quindi:“Giovinette
di quindici o poco più anni che non hanno ancora incominciato a
vivere, né sanno che sia la vita, si chiudono in un monastero,
professano un metodo e una regola di esistenza, il cui unico scopo
diretto e immediato si è d’impedire la vita. E questo è ciò che
si procaccia con tutti i mezzi. Clausura strettissima, fenestre
disposte in modo che non se ne possa vedere persona, a costo della
perdita dell’aria e della luce, che sono le sostanze più vitali
all’uomo (…) Macerazioni, perdite di sonno, digiuni, silenzio:
tutte cose che unite insieme nocciono alla salute, cioè al ben
essere, cioè alla perfezione dell’esistenza, cioè sono contrarie
alla vita”[8]
“E
questo raziocinio e la risoluzione che ne segue, e la vita che le
tien dietro, sono assolutamente e dirittamente nello spirito del
Cristianesimo, e inerenti alla sua perfezione. Lo scopo di essa e
dell’essenza del Cristianesimo si è il fare che l’esistenza non
s’impieghi, non serva ad altro che a premunirsi contro l’esistenza:
e secondo essa il migliore, anzi l’unico vero e perfetto impiego
dell’esistenza si è l’annullarla quanto è possibile all’ente;
e non solo l’esistenza non dev’essere il primo scopo
dell’esistente nell’uomo (…) ma anzi il detto scopo dev’essere
la nonesistenza.
Assolutamente
nell’idea caratteristica del Cristianesimo, l’esistenza ripugna e
contraddice per sua natura a se stessa” ( 2 Febbraio, dì della
Purificazione di Maria Santissima, 1822)”[9]
Sentiamo
Nietzsche:
I
Greci erano”commedianti impenitenti (…) ognuno era con la sua
virtù in
gara con
la virtù di un altro o di tutti gli altri (…) a questi commedianti
della virtù mise un freno il cristianesimo: inventò in compenso lo
sfoggio e la ributtante ostentazione del peccato”[10].-
“Il
nascondiglio, il luogo oscuro è il cristiano. In esso il corpo viene
disprezzato, l’igiene respinta come sensualità; la Chiesa si
oppone perfino alla pulizia (-la prima misura cristiana, dopo la
cacciata dei Mori, fu la chiusura dei bagni pubblici, e la sola
Cordova ne possedeva 270). Cristiano è un certo gusto per la
crudeltà verso di sé e verso gli altri; l’odio per i
dissenzienti; la volontà di perseguitare (…) Cristiano è l’odio
mortale per i signori della terra, per i “nobili” (…) Cristiano
è l’odio per lo spirito,
per l’orgoglio, il coraggio, la libertà, per il libertinage dello
spirito; cristiano è l’odio per i sensi,
per le gioie dei sensi, per la gioia in generale (…) Il
cristianesimo vuole dominare su belve
predatrici;
il suo espediente è farne dei malati,-la ricetta cristiana
per ammansire,
per la “civilizzazione” è l’infiacchimento (…) Il prete
valuta, dissacra la
natura: è solo a questa condizione che egli esiste (…) il
prete vive dei
peccati, egli ha bisogno che si “pecchi”(…) il cristianesimo,
forma fino ad oggi insuperata di mortale avversione contro la realtà
(…) Tutti i concetti della Chiesa (…) sono la più malvagia
falsificazione di moneta che esista, intesa a svilire la
natura, i valori di natura (…) Quando uno colloca il peso della
vita non nella
vita, ma nell’ “al di là” - nel nulla - ha tolto alla vita in
generale il suo peso (…) Al cristianesimo la malattia è necessaria,
pressappoco come alla grecità è necessaria un’esuberanza di
salute- rendere malati è la vera intenzione recondita dell’intero
sistema di procedure di salvezza della Chiesa (…) Si legga
Lucrezio, per capire che cosa ha combattuto Epicuro: non il
paganesimo, ma il “cristianesimo”, intendo dire la corruzione
delle anime per mezzo dei concetti di colpa, pena e immortalità. Egli
combatteva i culti sotterranei,
l’intero cristianesimo latente(…) Ed Epicuro avrebbe vinto ( …)
in quella apparve Paolo (…) il cristianesimo come formula per
superare-e per assommare - i culti sotterranei d’ogni sorta, quelli
di Osiride, della gran Madre, di Mitra, per esempio: in questa
intuizione sta il genio di Paolo…la croce quale segno di
riconoscimento per la più sotterranea congiura mai esistita-contro
salute, bellezza, costituzione bennata, coraggio,
spirito, bontà dell’anima, contro
la vita medesima (…)
il prete domina grazie all’invenzione del peccato[11]”.
Cristo non c’entra con tale supersizione: questo è il
cristianesimo dei bigotti dei pervertiti e dei manipolatori in vista
del potere; Papa Bergoglio impersona un cristianesimo
diverso, al punto che molti sedicenti cristiani, pseudocristiani lo
definiscono Anticristo e i meno ignoranti lo identificano con quello
raffigurato da Luca Signorelli nell’affresco del Duomo di
Orvieto: Predicazione
e fatti dell’Anticristo,
1499-1502.
L’asino o di
Machiavelli (1517) è menzionato, con quelli di Apuleio e
di Firenzuola, da Leopardi nell’Operetta morale Proposta di
premi fatta dall’accademia dei sillografi.
Questa
accademia di scrittori di satire (sivlloi)
ha deciso di chiamare il nostro tempo “età delle macchine, non
solo perché gli uomini di oggi vivono forse più meccanicamente di
tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero delle
macchine inventate di fresco” al punto “che oramai non gli uomini
ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere
della vita”. Si può pensare ai telefonini da me aborriti e già
più volte deprecati o anche al film espressionista Metropolis (1927)
di Fritz Lang o a Tempi
moderni (1936)
di Chaplin.
Torniamo
ai sillografi di Leopardi
Tre
premi veranno dati a chi avrà trovato le macchine che sottentrino
agli uomini in determinate funzioni oramai cadute in disuso.
“L’intento
della prima sarà di fare le parti e la persona di un amico, il quale
non biasimi e non motteggi l’amico assente” e non lo umili,
prevarichi, danneggi in nessuno dei vari modi possibili.
“L’inventore
di questa macchina riporterà in premio una medaglia d’oro di
quattrocento zecchini di peso, la quale da una banda rappresenterà
le immagini di Pilade e di Oreste, dall’altra il nome del premiato
col titolo: PRIMO VERIFICATORE DELLE FAVOLE ANTICHE”.
“
La
seconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vapore, atto
ordinato a fare opere virtuose e magnanime (…) Il premio sarà una
medaglia d’oro di quattro cento zecchini di peso, stampatavi in sul
ritto qualche immaginazione significativa dell’età d’oro, e in
sul rovescio il nome dell’inventore della macchina con
questo titolo ricavato dalla quarta egloga di Virgilio, QUO FERREA
PRIMUM- DESINET AC TOTO SURGET GENS AUREA MUNDO”[12].
“La
terza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di
una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte Baldassar
Castiglione, il quale descrisse il suo concetto nel libro del
Cortegiano, parte da altri”.
Leopardi
ricorda poi il mito di Pigmalione che “in tempi antichissimi ed
alieni dalle scienze si poté fabbricare la sposa colle proprie mani,
la quale si tiene che fosse la miglior donna che sia state insino al
presente”.
All’autore
di questa macchina, la donna perfetta, “Assegnasi una medaglia
d’oro in pesso di cinquecento zecchini, in sulla quale sarà
figurata da una faccia l’araba fenice del Metastasio posata sopra
una pianta di specie europea, dall’altra parte sarà scritto il
nome del premio col titolo: INVENTORE DELLE DONNE FEDELI E DELLA
FELICITA’ CONIUGALE”.
E
veniamo ai fondi dai quali Sillografi trarranno gli zecchini per i
premiati: “L’Accademia ha decretato che alle spese che
occorreranno per questi premi suppliscasi con quanto fu ritrovato
nella sacchetta di Diogene[13],
stato segretario di essa Accademia, o con uno dei tre asini d’oro
che furono di tre Accademici sillografi, cioè a dire di Apuleio, del
Firenzuola e del Machiavelli, tutte le quali robe pervennero ai
Sillografi per testamento dei suddetti, come si legge nelle Storie
dell’Accademia.”
Mi
sono dilungato su questa operetta siccome ha previsto il nostro
vivere di oggi sempre più “più
meccanicamente”. La macchina “inventata di fresco” a me
particolarmente odiosa è quello dei telefonini i quali, usati come
li usano i più, contribuiscono ad annientare i rapporti umani,
l’educazione la cultura e, quindi, lo stesso Umanesimo di cui si
tratta in La mente quieta di Cacciari. I cellulari
sono tra i latori del nichilismo che prima trasvaluta, poi annienta
tutt i valori, infine annienta la vita.
Con
questo cerco per lo meno di ricordare i valori che potenziano,
abbelliscono e lietificano la vita: l’amore, l’amicizia, la
cultura, la solidarietà, l’aiuto reciproco, l’attenzione per gli
uomini e per la natura.
Io,
non essendo capace né desideroso di una vita egoista, ci metto anche
il comunismo in senso etimologico: vivere con gli altri, per gli
altri, fatto che ritorna accresciuto sul proprio benessere e sulla
propria felicità.
Concludo
con un’altra citazione tratta da Leopardi: “così a scuotere la
mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi
dell’affetto e dell’entusiasmo e dell’eloquenza e
dell’immaginazione nella lirica; le armi della ragione, della
logica, della filosofia, ne’ Trattati filosofici ch’io dispongo;
e le armi del ridicolo ne’ dialoghi e novelle Lucianee che sto
preparando” (27. luglio 1821), Zibaldone, 1394
Leopardi
con la lettera a Giordani del 4 settembre 1820 annunciava l’inizio
di composizione delle sue Operette
morali: «Consoliamoci
della indegnità della fortuna. In questi giorni, quasi per
vendicarmi del mondo, e quasi anche della virtù, ho immaginato e
abbozzato certe prosette satiriche…»
Cfr. Marco
Aurelio che vuole congedarsi dalla vita con gratitudine come
un’oliva che una volta matura ( ejlaiva
pevpeiroς genomevnh )
cade al suolo benedicendo la terra che l’ha prodotta e ringraziando
l’albero che l’ha generata (IV, 48).
Il kalovn
Leggiamo
alcuni versi del I stasimo dell’Antigone: “ Possedendo il
ritrovato della tecnologia - to;
macanoven e[cwn,/
che è un qualche sapere - sofo;n
ti - oltre l'aspettativa/ora si volge al male, ora al bene/e le leggi
della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella
città - ujyivpoli" bandito
dalla città (a[poli") è
quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale (to;
mh; kalovn), per
la sfrontatezza (tovlma"
cavrin). /Non
mi stia accanto sul focolare/né sia uno che ha lo stesso
pensiero/chi compie queste azioni" (365-375).
Ho
tradotto to; mh; kalovn (v.
370 “il non bello”) con “la negazione del bello morale” per
l’associazione la crasi tra bello e buono che troviamo
nella kalokajgaqiva così
commentata da Leopardi: Quello dei Greci era : “un popolo che,
eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al
bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
"Le
Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da
Omero bow'pi"[14] (bowvpido")
cioè ch'
ha occhi di bue.
La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è
certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci
intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione
in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo
titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e
come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una
sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli
uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di
gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo
eccesso di questa grandezza (...) Dalle quali cose deducete
1°.Quanto
sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana,
e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E
che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli
animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce
realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né
quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la
grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e
dimostrando maggior quantità e misura di vita" (2546-2548).
[1] Zibaldone,
4410.
[12] Con
il quale (puero
nascenti, per
il quale - Virgilio prega Lucina, casta
fave Lucina)
cesserà la generazione ferrea e in tutto il mondo sorgerà quella
aurea
[13] Cioè
nulla data la povertà di diogene ndr.
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