L’amore d’inverno
Mercoledì ventinove
novembre, fin dalle prime ore del pomeriggio, su Bologna, dove lunghi sono gli
inverni, cadde a bioccoli grandi la neve, che in poco tempo rese canuta la
terra.
Ifigenia fece suonare il
campanello verso le cinque, quando era già buio; corsi ad aprire il
portone, poiché ero impaziente di fare l’amore; ma, come la vidi, mi
fermai stupito, senza toccarla, senza invitarla a entrare, senza dire parola:
non avevo mai visto una tale unione di inverno e calore di vita variopinta: i
capelli bruni bruni, bagnati, a tratti innevati, le scorrevano giù per le
spalle come un ruscello montano cupo di gelide ombre, e aspro di pietre
biancastre, facendola rabbrividire, ma gli occhi violacei, lucenti mi versavano
addosso una morbida luce che fluiva calda dal cuore. La osservavo in silenzio,
mentre i fiocchi larghi continuavano a caderle addosso, evidenziandosi sulle
ciocche scure, come sulle chiome perenni degli abeti montani, e trasformando la
luminosa ragazza in una creatura dei boschi: un dolce cerbiatto dalla
pelle screziata, oppure una bella baccante che dopo la dolce fatica della corsa
sui monti si riassetta la nebride multicolore onorando il dio suo, Bacco,
signore della gioia di vivere, della festa lieta, delle grazie tutte, del
desiderio. Mentre nella fredda oscurità della notte precoce contemplavo la
vivida fiamma della mia giovane amante, mi riempivo e scaldavo di gioia. Dopo
qualche momento di stupito silenzio, la ragazza mi sorrise e disse: “posso
entrare? Sento un poco di freddo”.
Mi scostai dall’ingresso:
Ifigenia entrò senza indugiare e, poiché l’ascensore non funzionava, cominciò a
salire i cinque piani di scale spedita, facendo ondeggiare le anche sulle gambe
robuste molleggiate dalle caviglie sottili, mentre i piccoli piedi, nella
fretta di ascendere i molti gradini di corsa, si appoggiavano e sollevavano con
leggerezza, potenza e agilità. Le correvo dietro ammirato e felice. Quando
fummo arrivati davanti alla porta dell’appartamento, la aprii con la destra un
poco tremante, poi con la sinistra le feci segno di entrare. Ero pieno di
desiderio amoroso. Lo sentiva concordemente anche lei, poiché procedette fino
alla sponda del mio grande letto dove si svestì con rapide mosse. Mentre, con i
vestiti sul pavimento, cadeva la neve, la splendidissima amante mi chiese di
spogliarmi subito e di abbracciarla senza i preamboli solitamente graditi: il
marito, un tipo per niente amoroso però assai sospettoso e piuttosto manesco, non
poteva crederla a spasso nel caos bianconero della notte nevosa, né doveva
perciò immaginarsi che passasse il tempo nell’alcova di un uomo: sicché gli era
proprio dovuto che la moglie rientrasse non oltre mezz’ora dopo la lezione di
yoga, che terminava alle sei e distava un chilometro circa da casa sua. Ci
eravamo spogliati.
Il suo corpo statuario
incarnava la dignità forte di Fidia e la morbida
grazia di Prassitele.
L’abbracciai senza
dire parola: il seno si era già intiepidito, anzi conservava gli odori
della terra benedetta dal cielo estivo: pensai che non era il tepore della mia
povera casa a renderla così calda e vivace appena si era sottratta all’iniqua,
mortificante stagione, ma il suo giovane sangue fervido sotto la pelle ancora
abbronzata e profumata dal sole che durante la nuda estate doveva averla
baciata con lucida forza amorosa, lasciandole addosso indelebili segni di
bellezza, di salute e di gioia. La baciai anche io per succhiare una parte di
quel calore; quindi la distesi sul letto inclinando il mio corpo avido, scuro e
magro su quello armonioso di lei: ne trassi piacere e voglia di vivere, eppure
pensai a quando le sue magnifiche membra, coperte dall’ultima veste, la nera
terra, l’avrebbero fatta fiorire di sanguigni papaveri, o di rose rosse,
profumate di carne. Previdi i fiori dal colore acceso che promettevano l’eterno
ritorno di quel momento felice e di tutta la vita.
Da quell’incontro breve di
un pomeriggio nevoso sono sgorgate sorgenti di lucida gioia che mi hanno
illuminato per anni e mi hanno insegnato la via del procedere, appunto
metodicamente, verso la bellezza naturale e morale delle persone, dell’arte e
del cosmo
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