NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 9 aprile 2019

La "Lisistrata" di Aristofane. Parte 2

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Elena e Menelao

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La donna qui non è causa della guerra, come Elena di Troia nell’Agamennone di Eschilo (458) o nelle Troiane di Euripide (415), bensì fautrice della pace attraverso lo sciopero del sesso.
Interessanti in questa commedia sono anche motivi femministici ante litteram.
L’ateniese Cleonice afferma, come già la Medea di Euripide, che per le donne è difficile uscire di casa (v. 16), mentre l’ideatrice Lisistrata dichiara che la salvezza dell'intera Ellade è nelle loro mani di loro che sono donne (vv. 29 - 30). Al progetto collaborano la spartana Lampitò, una tebana e una corinzia.
La parola d'ordine è:"dobbiamo astenerci dal bischero" (v.124).
Il giuramento: "nessuno mai, né amante né marito" (vv. 212 - 213). Lisistrata rinfaccia al Probùlo intervenuto il tributo di dolore, solitudine e lacrime pagato dalle donne durante le guerre.
Il Coro è diviso in due: le vecchie difendono le donne e i vecchi le attaccano:"non c'è belva più indomabile della donna, nemmeno il fuoco, e nessuna pantera è così impudente" (vv. 1014 - 1015).
Alla fine prevalgono le ragioni della solidarietà e dell'istinto: nessun regime e nessuna guerra potrà mai sciogliere il vincolo naturale che allaccia femmine e maschi né annullare l'eterno richiamo dei sessi.
Questi sono i motivi principali
Ma vediamo questa commedia nei particolari

Prologo 1 - 253
Lisistrata e Cleonice hanno le case sulla pendice nord est dell’Acropoli. Le due donne ateniesi si incontrano.
Lisistrata è inquieta e Cleonice che va a trovarla le chiede perché sia sconvolta - tiv suntetavraxai; (7). Lisistrata è accigliata e l’amica le dice ouj ga;r prevpei soi toxopoiei'n ta;" ojfru'" (8) non ti si addice arcuare le sopracciglia.
Lisistrata risponde che mentre le donne sono reputate dagli uomini panou'rgoi (12) capaci di tutto, ora che lei le ha convocate per decidere ouj peri; fauvlou pravgmato" (14) su una faccenda di non poco conto, non sono venute.
Cleonice ribatte calephv toi gunaikw'n e[xodo" (16) è difficile per noi donne uscire. Infatti, spiega, una di noi deve stare china sul marito, l'altra deve svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo, l'altra imboccarlo (vv. 17 - 20).

Cfr. quanto dice la Medea di Euripide

E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,

il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,

la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.

Un uomo poi, quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,

uscito fuori, depone la noia dal cuore 245

(volgendosi a un amico o a un coetaneo);

per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona (Medea, 241 - 247).

 

Nella Danae di Nevio[1] leggiamo: Desubito famam tollunt, si quam solam videre in via (fr. 6 Marmorale) se hanno visto una donna sola per strada, la coprono subito di infamia.

Ma, ribatte Lisistrata, ci sono cose più importanti per loro. Le donne (v. 20).
Cleonice domanda se si tratta di un affare (pra'gma) di qualche grandezza. Lisistrata risponde mevga. E Cleonice, non senza malizia, “kai; pacuv;” e grosso?
Cleonice si stupisce, dato l’affare grande e grosso, dell’assenza delle donne.
Si tratta di porre termine alla guerra, spiega Lisistrata. Noi donne di Atene, con quelle di Beozia e con quelle del Peloponneso, sostiene la protagonista, insieme salveremo la Grecia (koinh'/ swvsomen th;n JEllavda"[2] (v. 41).
Cleonice dubita che le donne le quali se ne stanno dipinte come fiori - ejxhnqismevnai (43) e vestite di color zafferano e imbellettate kekallwpismevnai, e indossano tuniche dritte, possano fare qualcosa di intelligente
Ma replica Lisistrata, io mi aspetto il successo proprio da questi mezzi: vesti color zafferano (krokwtivdia) e profumi kai; ta; muvra, e scarpine peribarivde" e rossetto (a[gcousa - anchusa tinctoria dalle radici rosse) e diafanh' citwvnia, chitoni trasparenti (47 - 48).
Così gli uomini smetteranno di correre alle armi e correranno a donne.
Cleonice vuole subito imbellirsi. Ma altre non se ne vedono.
Poi però alcune arrivano.
Mirrina si scusa: nel buio ha durato fatica a trovare la cintura movli" ga;r hu\ron ejn skovtw/ to; zwvnion (72). Il nome della donna significa “piccolo muvrto". Il mirto, sacro ad Afrodite simboleggia la vagina, fichina dunque.
Arriva poi la spartana Lampitò con una Beota e una Corinzia.
Lisistrata saluta Lampitò con w\ filtavth Lavkaina (78) e le dice che il suo corpo è bello e fiorente (wJ" eujcroei'" - wJ" de; sfrigga'/ to; sw'ma sou). Poi aggiunge: potresti strangolare un toro (ka]n tau'ron a[gcoi", 80).
Lampitò risponde, lo credo bene: gumnavddomai , faccio palestra io e salto sulle natiche poti; puga;n a{llomai.
Belle anche le tette fa Lisistrata - wJ" dh; kalo;n to; crh'ma tw'n titqw'n e[cei" (83).
Poi la caporiona dice alla Beota che ha un kalo;n pedivon un bel campo.
La solita metafora per vagina. Insomma le incoraggia.
Lampitò nota che la beota è pure depilata paratetilmevnh - parativllw - th;n blhcwv, (blhcwv è un’erba aromatica (puleggio, varietà di menta) che rimanda al pelo del pube). E’ depilata komyovtata, molto elegantemente.
Poi c’è la Corinzia di buona famiglia come si vede dal sedere.
Lisistrata chiede alle donne se non sentono la mancanza dei padri dei loro figli, padri assenti per la guerra (tou;" patevra" ouj poqei'te tou;" tw'n paidivwn - ejpi; stratia'" ajpovnta"; 99 - 100). Uno è in Tracia, uno a Pilo, e lo spartano di Lampitò imbraccia lo scudo anche per il poco tempo in cui sta in casa.
Lisistrata lamenta anche la carenza di un ganzo (moicou', 107)
E nemmeno l’o[lisbo" si trova, il fallo di cuoio, di otto dita ojktwdavktulo" che le aiuti o{" h\n a]n hJmi'n skutivnh jpikouriva (110) che era per noi un soccorso di cuoio 110. Non si trovano più “da quando i Milesi ci hanno tradito” (108).
La defezione dei Milesi provocata da Alcibiade nel 411 si legge in Tucidide (VIII, 17)
Lo scoliasta dice che se ne servivano aiJ ch'rai gunai'ke", le donne vedove, e non solo loro.

 Ritroviamo questo strumento di piacere triste nel Mimiambo VI di Eroda (III secolo)[3]. Ci sono due donne che parlano: Metro chiede a Coritto chi è che le ha cucito to;n kovkkinon baubw'na il fallo di cuoio scarlatto.
Questo artigiano lavora in casa (kat j oijkivhn ejrgazet j, 63) e vende di nascosto (ejnpolevwn lavqrh/) siccome oggi ogni porta rabbrividisce riguardo agli esattori: tou;" ga;r telwvna" pa'sa nu'n quvrh frivssei (64).
Coritto le descrive il calzolaio Cerdone falakro;", mikkov", calvo piccolino.
Ma è bravissimo a fare questi strumenti: gli uomini non fanno diventare ou{tw" ojrqav così dritti loro bischeri. (ta; bavllia=tou;" fallouv").
E’ rigido e pure morbido come il sonno, ha rilegature di lana, non di cuoio. Non c’è un altro calzolaio così provvido verso le donne. Dialetto ionico con qualche mistura dorica e attica. Eroda come Menandro è conosciuto per i papiri trovati in anni non tanto lontani (1891)
Il metro è lo scazonte o coliambo, giambo zoppo.

Le donne greche si trovano d’accordo nel voler porre fine alla guerra.
Lampitò salirebbe sul Taigeto se da lassù potesse vedere la pace.
Lisistrata dice “se vogliamo davvero la pace, noi donne dobbiamo astenerci dal bischero” - ajfekteva toivnun ejsti;n hJmi'n tou' pevou" (ajpevcw124). A queste parole le altre due piangono e cambiano colore. Poi dicono oJ povlemo" ejrpevtw (129 - 130), continui pure la guerra.
Cleonice dice che piuttosto camminerà in mezzo al fuoco: dia; tou' puro;" - ejqevlw badivzein. tou'to ma'llon tou' pevou" (133 - 134) questo è meglio della mancanza del bischero. Pure Mirrina rilutta.
 Lampitò invece dice che è duro rimanere senza glande, ma c’è bisogno della pace. Cleonice allora ci ripensa. Lisistrata quindi istruisce le altre: dovranno aspettare i mariti con belle tuniche trasparenti depilate nel pube devlta paratetilmevnai (151) e quando gli uomini avranno un’erezione stuvointo d’ a[ndre" (151) kajpiqumoi'en splekou'n e abbiano voglia di fottere noi ajpecoivmeqa, ci scostiamo. Allora faranno la pace.
Così Menelao quando vide le tette di Elena nuda, gettò via la spada (Lisistrata, 155 - 156).

Nell’Andromaca di Euripide, Peleo rinfaccia a Menelao che come vide il seno (masto;n) di Elena, gettata la spada, si è fatto baciare lusingando la cagna traditrice - prodovtin aijkavllwn kuvna (629 - 630).


CONTINUA


[1] 270 - 201
[2] Il 3 marzo del 2003 ho ricevuto questo messaggio dagli USA: "Oggi, in almeno 600 città americane, leggeranno Lysistrata (non lo so come si scrive in italiano) come una forma di lotta contro la guerra. Purtroppo non ho informazione piu precise, la cosa e organizzata da un gruppo di femministe, l'ho sentita su CNN. Tanti saluti. Agatha.  
[3] Poeta del III secolo, forse di Cos dove si svolge l'azione di almeno due mimi ( il II, il Lenone, e il IV, le donne che sacrificano ad Asclepio). Questi mimi detti anche mimiambi sono scritti in coliambi, giambi zoppi, usati già da Ipponatte(VI sec.). Sono otto, in dialetto ionico. Il coliambo, detto anche scazonte, è uguale al giambo nei primi due metri; nel terzo metro, all'ultimo piede, spezza la cadenza giambica sostituendola con la trocaica. Si crea così una metabola e un ritmo che sembra volere andare contro corrente come la poesia di Ipponatte ed Eroda. Snell, Poesia e società, 1965: Sono brevi scene drammatiche paragonabili a quelle da cabaret. Ebbero giudizi favorevoli da parte di chi interpretava i mimiambi nello spirito del naturalismo dominante quando questi furono scoperti. Ma se Ibsen frugava nel fango, dietro c'era l'accusa sociale. Qui non c'è traccia né di questa, né di ottimismo pedagogico. Quando parlano il pornoboskov" (II) o la mezzana Gillide (I) o lo skuteuv" (VII), in nessun punto appare che queste siano povere creature degne di compassione: non sono brave persone impedite da dure condizioni di vita, ma è gente inferiore per natura.
Particolarmente sgradevole è il didavskalo" (III) dove una madre insiste con il maestro affinché picchi il figlio (cfr. invece Quintiliano: "Caedi vero discentes ...minime velim. Primum, quia deforme atque servile est et certe... iniuria est". Institutio oratoria , I, 14). Quei colpi di bastone non fanno ridere come quelli di Tersite o della commedia; essi suscitano solo disgusto. La madre vorrebbe che gli venisse data un'educazione letteraria e dice:"scorticalo finché non tramonta il sole, anche se è molto più screziato di una serpe". Sembra che Eroda trovi più divertente e vivace la bruttura morale della rettitudine insignificante. Eroda vorrebbe essere un secondo Ipponatte di Efeso che aveva dato voce ad un mondo turpe e laido. I padri della chiesa anzi lo chiamavano la lingua più laida della letteratura greca. Esprime miseria e risentimento:"tenetemi il mantello; voglio dare un pugno a Bupalo nell'occhio!". Eroda non ha fini etici, come del resto Teocrito e Callimaco. I suoi personaggi non sono nemmeno odiosi, ma solo volgari e brutali. Manca loro la cultura e l'arguzia dei personaggi teocritei. I mimiambi di Eroda rivelano chiaramente una cosa: tutta l'affettazione erudito - sentimentale - intellettuale dell'Ellenismo è un imbroglio. (cfr. Giovenale e Plinio il giovane). Egli procede molto oltre Euripide nel distruggere le illusioni e nello smascherare i valori. Per lui la vita è solo stupida e brutale e l'agire egoistico dei personaggi è insensato. Già Eteocle nelle Fenicie liquidava come chiacchiere le convenzioni morali e indicava l'unica realtà autentica nella volontà di potenza (v. 524). Se infatti bisogna commettere ingiustizia è bellissimo commetterla per il potere. Ma in Euripide c'è una reazione: Tiresia al v. 867, sempre delle Fenicie , dice che la terra è malata:"nosei' ga;r hJvde gh' pavlai". Gli uomini di Euripide, sebbene privati delle illusioni, sapevano ancora come si dovrebbe essere. Aristofane negli Uccelli faceva credere che la vita razionale e naturale sarebbe tornata, se fossero stati mandati via i millantatori ajlazovne", i chiacchieroni, i ciarlatani, insomma le esistenze deformi che una volta non si usavano nemmeno come farmakoiv. Forse Eroda vuole dire a Callimaco e Teocrito che l'arte fine a se stessa è qualche cosa di artificiale. Menandro studia la psicologia, Eroda l'istinto sessuale primitivo, la barbarie che non si eleva al di sopra del livello ferino. Le possibilità della poesia greca erano esaurite quando Eroda arrivò a tanto disgusto per l'uomo e a tanto scetticismo davanti al raffinamento della vita. Dopo Eroda i Greci non trovarono nuove forme essenziali.

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