Il mito e la pubblicità. Anche questa ha la sua genesi nel mito
La propaganda nella storia antica
I miti sono
quasi sempre racconti sulle origini e spesso danno forma, per dirla con
Nietzsche a “un’immagine concentrata del mondo”[4], un’immagine che può essere spiegata e attualizzata fino a
darci chiarimenti su eventi cui assistiamo o partecipiamo ogni giorno.
C. Pavese:
“Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella
che si è superata. Zeus contro Tifone, Apollo contro Pitone (…) chi non ha
grandi ripugnanze non combatte”[5].
Il mito fa
parte della nostra vita, realmente: Pasolini nel film Medea fa
dire al Centauro il quale istruisce il piccolo Giasone che dovrà andare in
cerca del vello d’oro “ andrai in un paese lontano al di là del mare. Qui farai
esperienze di un mondo che è ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua
vita è molto realistica come vedrai perché solo chi è mitico è realistico e
solo chi è realistico è mitico”[6].
A proposito
della pubblicità, il più effimero degli eventi, anche questa è collegabile al
mito: la prima réclame scritta è quella inviata da Aconzio a
Cidippe.
Bettini afferma
che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[7]. Il giovane Aconzio obbligò Cidippe a sposarlo scrivendo
delle parole e facendole leggere alla ragazza che era sul punto di maritarsi
con un altro.
"La
scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per
sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è
possibile?"[8].
Nella
festa di Apollo a Delo, Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e vincola
a sé la ragazza gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per
Artemide: io sposerò Aconzio”.
Questo
racconto si trova negli Aitia di Callimaco.
Febo rivelò
a Ceuce, il padre di Cidippe che la ragazza in procinto di sposare il fidanzato
si ammalava a morte poiché un giuramento grave (baru;~
o{rko~, Aitia fr. 75 Pf., v. 22) impediva le
nozze alla fanciulla la quale fu sentita da Artemide in visita a Delo quando
giurò che avrebbe avuto come sposo Aconzio e non altri ( jAkovntion
oJppovte sh; pai`~ - w[mosen, oujk a[llon, numfivon ejxemevnai[9] (vv. 26 - 27).
La storia è
narrata anche da Ovidio nelle Heroides (XX e XXI)
Aconzio
scrive a Cidippe e le ricorda “volubile malum - verba ferens doctis
insidiosa notis” (211 - 212), la mela che rotolava portando parole
insidiose in formule dotte. Queste furono lette nella sacra presenza di Diana e
la fides di Cidippe ne rimase vincta.
Cidippe
risponde ad Aconzio che sta morendo, si sente sballottata come una nave, ipsa
velut navis iactor (v. 43), veneficiis tuis (54) per
le tue parole avvelenate. Ricorda che navigava verso Delo impaziente di
arrivare. Aconzio ne vide la semplicità e gli sembrò che potesse essere facile
preda: “visaque simplicitas est mea posse capi” (v. 106). Le venne
gettata davanti ai piedi una mela con quei versi che Cidippe non vuole ripetere
“mittitur ante pedes malum cum carmine tali ” (v. 109).
La nutrice raccolse l’ingannevole frutto e lo fece leggere alla ragazza: “insidias
legi, magne poeta, tuas” (112). Aconzio non deve essere fiero
di avere preso con ‘inganno una fanciulla poco esperta :“ sumque parum
prudens capta puella dolis” (v. 124). E’ stata ingannata come
Atalanta da Ippòmene. Vedi il dipinto di guido Reni con Atalanta che si china a
raccogliere la seconda mela d’oro mentre Ippomene detto anche Melanione procede
nella corsa. Risale agli anni 1620 - 1625 e si trova al Museo capodimonte di
Napoli
Aconzio
avrebbe dovuto convincerla more bonis solito (v. 129), come
fanno i galantuomini, non ingannarla costringendola a proferire sine
pectore vocem (143), una voce senza anima. Ora, invece della fiaccola
di nozze c’è quella di morte: “et face pro thalami fax mihi mortis adest”
(v. 174). “mirabar quare tibi nomen Acontius esset” (v. 211), mi
domandavo con stupore perché ti chiamassi Aconzio , ora lo so[10]: “quod faciat longe vulnus, acumen habes” (v.
212), hai una punta che provoca ferite anche da lontano. La ragazza ferita sta
morendo: “concidimus macie, color est sine sanguine, qualem/in pomo refero
mente fuisse tuo” (vv. 217 - 218), sono estenuata dalla magrezza, il colore
è senza sangue, quale, come ricordo, era il tuo pomo.
Ecco dunque
il paradigma mitico del tossico pubblicitario delle parole ingannevoli e
velenose continuamente scagliate da chi vuole indurci a consumare di tutto
spacciando l’interesse proprio come se fosse il nostro.
Senza i classici rimaniamo indifesi da ogni forma di prpaganda e dalla
pubblicità, come Cidippe.
Le voci di
questi auctores, veri e propri accrescitori della nostra anima,
della nostra capacità di intendere il mondo, conservano la loro eco attraverso
i secoli e tutta la letteratura europea forma un corpo, del quale, come scrisse
T. S, Eliot, il latino e il greco sono il sangue.
"Il
latino e il greco[11] costituiscono la corrente sanguigna della
letteratura europea: e come un solo, non già due distinti sistemi di
circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra
parentela con la Grecia"[12].
Il fatto è
che se non saliamo sulle spalle dei classici e ci lasciamo confondere dal
frastuono ignorandoli, rimane assai limitata la nostra visione, non solo quella
esterna del mondo, ma anche quella interiore, di noi stessi.
A questo
proposito ricordo un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo attribuisce
a Bernardo di Chartres[14]:"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi
nanos gigantum humeris insidentes, ut possīmus plura eis et remotiora videre,
non utĭque proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum
subvehimur et extollimur magnitudine gigantēa" (Metalogicon III,
4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle
spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più
lontane, senza dubbio non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo
ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca.
Aggiungo
Schopenhauer
“L'uomo che non conosce
il latino somiglia a colui che si trova in un bel posto, mentre il tempo è nebbioso:
il suo orizzonte è assai limitato; egli vede con chiarezza solamente quello che gli sta
vicino, alcuni passi piu in là tutto diventa indistinto. Invece l'orizzonte del
latinista si stende assai lontano, attraverso i secoli piu recenti, il Medioevo
e l'antichita. - Il greco o addirittura il sanscrito allargano certamente ancor
piu l'orizzonte. Chi non conosce affatto il latino, appartiene al volgo, anche se fosse un grande virtuoso nel campo dell'elettricità e avesse
nel crogiuolo il radicale dell'acido di spato di fluoro"1.
I grandi
autori sono tutti collegati tra loro
La coscienza
di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi:
Eschilo[15] diceva che
le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}"
ta;" auJtou' tragw/diva" temavch[16] ei\nai
e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[17]); e Callimaco[18] afferma: "ajmavrturon
oujde;n ajeivdw"[19], non canto nulla che non sia testimoniato.
Necessità della conoscenza della storia
Un grave
difetto, un’altra carenza capitale è quella della conoscenza della storia.
L’ignoranza
del passato è una limitazione mentale che impedisce di progettare il futuro
Lo afferma
Cicerone nell'Orator [20]: "Nescire autem quid ante quam natus sis
acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă
memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120),
del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad
essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si
allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
“Maturità
della mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia”[21].
Il
senso storico e quello letterario di T. S. Eliot impongono una visione
d’insieme e costringono a scrivere: "with a feeling that the whole of
the literature of Europe from Homer and within it the whole of the literature
of is own country has a simultaneous existence and composes a simultaneous
order[22], con la sensazione che tutta la letteratura europea da
Omero, e, all'interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha
un'esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo.
La
Memoria è madre delle Muse e la perdita della Memoria significa anche la
rinuncia alla bellezza e alla poesia. Del resto la poesia è a sua volta madre
della storia.
La propaganda nella storia antica
Alessandro
Magno non rifiutava la diceria che lo magnificava come figlio di Zeus. Questa
fama vera o falsa che sia, diceva, aiuta a vincere le guerre: “Famā[24] enim
bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit”
(Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 8, 15), Le guerre sono fatte di
quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è
creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità. Cfr. 3, 8, 7 dove Dario
dice “fama bella stare”.
[4] La nascita
della tragedia, cap.22.
[5] Il mestiere di
vivere, 28 dicembre 1947.
[6] P. P. Pasolini,
Medea in Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, p. 545 -
[7]Con i libri ,
p. 9.
[8]M. Bettini, op. cit.,
p. 10.
[11] Io metterei
prima il greco.
[12] Che cos’è un classico?
(del 1944) In T. S. Eliot, Opere, p. 975.
[13] Scrisse un Metalogicon che
non ci è arrivato.
[14] Filosofo
scolastico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su Porfirio.
[15] 525 - 455 a. C.
[17] Ateneo (II - III
sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[18]305 ca - 240ca a. C.
[19] Fr. 612
Pfeiffer.
[20] Del 46 a. C.
[21] T. S.
Eliot, Che cos’è un classico? (del 1944) In T. S. Eliot, Opere,
p. 965.
[22] Tradition and
the Individual Talent (del 1919),
[23] La Scienza
Nuova Pruove filologiche, III.
[24] Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e mangia ma
pure fa e interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca:"nulla res
nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De
vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del
fatto di regolarci secondo il "si dice".
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