foto di Flavio Kessler |
Un altro
antidoto al veleno pubblicitario, a ogni veleno, può essere la natura:
osservare il cielo splendente, il mare che riflette i raggi del sole o
della luna e amare la grande madre terra.
Nelle Baccanti di
Euripide, Cadmo suggerisce alla figlia Agàve impazzita di guardare il cielo: “ej~ tovnd j
aijqevr j o[mma so;n mevqe~” (v. 1264), lascia il tuo occhio aperto qui al cielo.
Guardare il
cielo apre gli occhi dell’anima a Bill Loman, il figlio di Willy Loman, il
commesso viaggiatore di Arthur Miller. Il padre, infuriato in seguito a un
aspro diverbio, gli dice: “E allora impiccati! Fammi quest’ultimo dispetto!
Impiccati!” e il giovane risponde: “No, Willy, nessuno s’impicca! Oggi mi sono
precipitato per dodici piani con una penna in mano. E tutt’a un tratto mi sono
fermato, capisci? In mezzo alle
scale mi sono fermato e ho visto il cielo. Ho visto le cose che mi
piace fare a questo mondo. Lavorare e mangiare e sdraiarmi, fumare una
sigaretta. E stavo lì con questa penna in mano e mi sono detto: ma che Cristo
l’ho rubata a fare?”[1]
Non solo il cielo. Prometeo incatenato, per
sopravvivere, invoca l’aiuto delle sorgenti, l’innumerevole sorriso delle onde
marine e la terra madre di tutti noi[2].
Non possiamo
dimenticare Talete: tutto è pieno di dèi. Qalh'"
wj/hvqh pavnta plhvrh qew'n ei\nai"[3].
A volte dovremmo trovare il coraggio di tornare fanciulli come in un certo
senso erano i Greci.
Un sacerdote
egizio, parlando con Solone, gli disse: “Un Greco vecchio non esiste, voi Greci
siete sempre fanciulli”. Lo racconta Platone nel Timeo[4]”[5].
“Che
bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva secondo l’immaginazione umana
e viva umanamente cioè abitata o formata di esseri uguali a noi, quando nei
boschi desertissimi si giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e
i fauni e i silvani e Pane ec. ed entrandoci e vedendoci tutto solitudine pur
credevi tutto abitato e così de’ fonti abitati dalle Naiadi ec. e stringendoti
un albero al seno te lo sentivi quasi palpitare fra le mani, credendolo un uomo
o donna come Ciparisso ec! e così de’ fiori ec. Come appunto i fanciulli” (Zibaldone,
63 - 64).
[1] Morte di un commesso
viaggiatore, in A. Miller, Teatro, trad. it. Einaudi, Torino,
1959, p. 294.
[2] Cfr. Eschilo, Prometeo
incatenato, vv - 88 - 90 pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon
gevlasma. Cfr. anche D’Annunzio, Elettra:
“Il riso innumerevole delle onde marine”.
Quando i
suoi aguzzini si allontanano, il Titano invoca le forze della natura a
comprenderlo e compiangerlo: “o etere divino e venti dalle ali veloci,/e
sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso/delle onde marine (pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'),/e il
disco del sole che vede tutto, invoco:/vedete quali pene soffro, io che sono un
dio, da parte degli dèi”(Eschilo, Prometeo incatenato, 88 - 92). La
natura ridente e soleggiata contiene una promessa di riconciliazione. Cfr. per
converso il luogo infernale dell'Oedipus di Seneca dove non c'è
luce[2] né speranza:" Tristis sub illa lucis et Phoebi
inscius/restagnat humor, frigore aeterno rigens;/limosa pigrum circumit fontem
palus" (vv. 545 - 547), sotto la quercia ristagna un'acqua cupa, che
non conosce la luce del sole, irrigidita dal freddo eterno; una palude
limacciosa circonda la morta sorgente.
[5] Salvatore Settis, Pericle,
nostro vicino di casa, “Il sole 24 ore”, domenica 31 agosto 2008, p. 27.
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